Il terzo Governo Andreotti, un “monocolore” della Democrazia Cristiana, nasce nel mese di luglio 1976 concretamente come un “governo della non sfiducia”, ovverosia con la formula della non opposizione del secondo partito italiano, il PCI di Enrico Berlinguer. In seguito verrà ricordato come un governo di “solidarietà nazionale”, cioè di una larga intesa tra tutti i principali partiti dell’arco costituzionale italiano.
Questo esecutivo è anche considerato la prima tappa di quel “compromesso storico” tra le due
maggiori forze politiche del dopoguerra italiano, il cui ispiratore é proprio il segretario del PCI
Enrico Berlinguer.
Con un saggio pubblicato in tre parti sulla rivista “Rinascita”, in occasione del Colpo di Stato in Cile del 1973, il leader comunista si apre a delle profonde riflessioni sul contesto italiano e propone un nuovo modello di socialismo, basato su un programma di profonde trasformazioni sociali e di rinnovamento politico. Tale processo deve passare attraverso una collaborazione delle forze popolari di ispirazione comunista e socialista con le forze di ispirazione cattolica e di altro orientamento democratico.
Per rinnovare la nazione é necessario giungere ad un compromesso storico tra tutte le principali forze rappresentative del popolo italiano. Quello che progetta Berlinguer é dunque l’accordo tra i partiti disposti a realizzare una nuova politica governativa, un’alternanza democratica al “regime democristiano” che ha governato gli ultimi trent’anni.
Il segretario del PCI candida il suo partito come forza di governo, dal quale é stato sempre escluso
sul presupposto dell’inidoneità ideologica a partecipare alla definizione dell’indirizzo politico; in
verità, la sua esclusione ha chiare motivazioni di politica internazionale legate alla “Guerra Fredda”.
Il contesto storico
Il problema “potenzialmente più grave che abbiamo in Europa”, questa é la considerazione del governo americano in merito alla situazione politica italiana nella seconda metà degli anni ’70. In Italia sono entrati in crisi gli equilibri politici ed economici, il terrorismo imperversa sfidando le istituzioni democratiche come in nessun altro paese europeo ed ha due opposte connotazioni, di destra e di sinistra.
Ad un terrorismo “nero”, che si propone di spargere il panico attraverso attentati dinamitardi contro la popolazione, allo scopo di creare nell’opinione pubblica le condizioni per una svolta autoritaria ed un forte governo di destra, si contrappone un terrorismo “rosso” che si identifica con la nascita delle BR (Brigate Rosse) e che ha un terreno di cultura nella crisi economica, nella disoccupazione giovanile e nel movimento studentesco di quegli anni.
Dal 1976 in poi, il terrorismo di sinistra ha una tragica impennata che sfocia nella programmazione dei primi omicidi politici, strategia che segna quel periodo come “gli anni bui della Repubblica” o, con il termine più suggestivo, gli “anni di piombo”.
In campo internazionale la “Guerra Fredda” tra le superpotenze Usa ed Urss vive la sua fase di distensione, ossia un processo di dialogo e negoziato avviato nei primi anni ’70 grazie anche all’abilità geopolitica del presidente americano Nixon e del suo consigliere per la sicurezza Henry Kissinger e culminato nel vertice di Mosca del ’72, con la firma dei Negoziati SALT I (Strategic Arms Limitation Talks, ovvero Negoziati per la limitazione di armi strategiche).
L’era della distensione fra i due blocchi contrapposti ha degli effetti importanti anche nei rapporti fra i tre maggiori partiti comunisti occidentali (italiano, francese e spagnolo), che si sentono meno vincolati a seguire la supremazia della guida sovietica, pur non rinnegandola, e avviano un progetto politico che prende il nome di “eurocomunismo”. Il termine viene pronunciato per la prima volta dallo stesso Enrico Berlinguer a Parigi, nel gennaio del ’76, ed indicherebbe una storica svolta socialdemocratica dei più importanti partiti comunisti dell’Ovest. In linea di massima, la formula prevede l’apertura politica anche alle altre forze non marxiste dei rispettivi Stati, allo scopo di realizzare programmi comunisti nell’osservanza dei principi della democrazia parlamentare.
Sotto l’insegna dell’eurocomunismo, in Italia Berlinguer viene sempre più candidato ad entrare al governo come un necessario garante dell’unità nazionale, di una più efficace politica economica e di un maggiore impegno nella lotta al terrorismo. Il principale interlocutore del leader comunista è il presidente democristiano Aldo Moro, già protagonista negli anni ’60 dei primi esperimenti di apertura a sinistra della storia repubblicana con i suoi tre governi a guida DC e con la diretta partecipazione del Partito socialista.
Moro attua la cosiddetta “strategia dell’attenzione” nei confronti del PCI, che nasce dal bisogno di rendere possibile il più ampio dialogo in vista di una nuova e qualificata maggioranza; tale strategia è un chiaro invito alle trattative verso il compromesso storico elaborato da Berlinguer. Ma anche altri autorevoli esponenti politici italiani, come il leader dei repubblicani Ugo La Malfa, sono ormai convinti che sia indispensabile la presenza del PCI nell’area di governo, perché la vecchia coalizione a guida democristiana non riesce più a garantire un corretto funzionamento del sistema politico.
Malgrado ciò, gli Stati Uniti non possono permettersi un atteggiamento indifferente circa la posizione occupata da un Partito comunista all’interno di un Paese dell’Europa Occidentale e l’avvicinamento all’area di governo del PCI, il più forte tra tutti i suoi omologhi del blocco capitalista, viene visto a Washington come un notevole salto nel buio. Il Segretario di Stato americano Kissinger diffida di questa presunta distanza dall’ortodossia sovietica da parte del PCI, credendola una tattica per la conquista del potere e una minaccia per l’intera alleanza atlantica.
Il fallimento del compromesso storico
Le elezioni politiche del giugno ’76 decretano una flessione della Democrazia Cristiana, una netta sconfitta di tutti i partiti minori che formano il suo bacino di coalizione ed un netto balzo in avanti del Partito Comunista, che ottiene il suo miglior risultato di sempre con il 34% dei voti. Appare evidente che la DC non può più garantire una stabilità politica con lo stesso metodo con cui ha formato gli esecutivi negli ultimi trent’anni, ritenendosi dunque necessario un mutamento del vecchio sistema di governo.
Dal momento che tutte le forze parlamentari si rifiutano di associare il PCI a qualsiasi coalizione di maggioranza, ecco prospettarsi l’unica soluzione possibile, quella di formare un governo monocolore DC, vale a dire un esecutivo sorretto in Parlamento solo dal voto dei democristiani e che basa la sua fiducia sull’astensione dei comunisti, in primis, e degli altri partiti della rappresentanza parlamentare. In poche parole, un governo della non sfiducia e di “unità nazionale”.
Giulio Andreotti, che nei primi anni ’60 aveva avversato la formula dei governi di centrosinistra adottata da Aldo Moro, é chiamato a fare da Presidente del Consiglio garante e guida della suddetta solidarietà nazionale. Un chiaro segnale dell’apertura politica al PCI é realizzata a livello istituzionale con la nomina di Pietro Ingrao a Presidente della Camera (il primo comunista della storia) e con l’assegnazione al Partito di Berlinguer di alcune presidenze di importanti commissioni.
Il terzo Governo Andreotti rimane in piedi fino al termine dell’anno 1977, quando il leader del PCI chiede l’ingresso a pieno titolo nel governo per il suo Partito: i comunisti vogliono essere coinvolti in modo diretto nella maggioranza parlamentare, per dare un indirizzo nuovo alla politica italiana. La scelta di Berlinguer non riscontra però i favori dell’area più radicale del PCI e deve imbattersi anche nel rifiuto della Segreteria DC e del Dipartimento di Stato americano.
La nuova presidenza di Jimmy Carter, pur seguendo una linea più equilibrata di non interferenza nella politica interna italiana, dichiara espressamente di “non accogliere con favore la partecipazione comunista nei governi dei paesi occidentali”, un chiaro messaggio destinato alla situazione italiana e al pericolo reale di ingresso del PCI nel governo.
Il paventato passo successivo nella direzione del compromesso storico, che dovrebbe compiersi con la nascita del primo vero governo «consociativo», viene così di fatto bloccato. Si fa avanti la soluzione di un nuovo governo monocolore DC, sempre presieduto da Giulio Andreotti, ma stavolta sostenuto dal voto parlamentare dei comunisti e degli altri partiti. Il PCI, in questo modo, entra attivamente nella maggioranza, pur non facendo parte del governo; una strategia resa possibile grazie anche alla mediazione di Aldo Moro innanzi al suo partito.
Il 16 marzo 1978, il giorno previsto per il dibattito sulla fiducia in Parlamento, le BR contribuiscono a interrompere definitivamente il processo di cambiamento con il sequestro di Moro e la successiva esecuzione (9 maggio). Nel momento di massima crisi generato dall’attentato di Via Fani, il nuovo esecutivo ottiene la fiducia basandosi sull’astensione dei comunisti.
La stagione del compromesso storico e della solidarietà nazionale é tuttavia agli sgoccioli, il quarto Governo Andreotti rimane in carica per circa un anno, riuscendo solo in parte ad attuare le riforme necessarie (una su tutte la legge sanitaria). Nel gennaio del 1979 il PCI pone fine all’eterogenea e fragile alleanza di governo, per le divergenze in materia di politica economica ed estera; ad un successivo esecutivo Andreotti, che però non ottiene la fiducia in Senato, segue lo scioglimento anticipato delle Camere da parte del Presidente Pertini nell’aprile dello stesso anno. Il fallimento della svolta politica é a tal punto definitivo.
Le elezioni del ’79 vedranno un crollo dei voti del PCI, per il contrasto della sua corrente più radicale alla visione politica di Enrico Berlinguer. Dopo il momentaneo biennio di apertura ai comunisti, si ricostituiranno così in Parlamento quelle coalizioni con cui la DC ha guidato i suoi governi dal 1948.
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- F. Barbagallo, Enrico Berlinguer, il compromesso storico e l’alternativa democratica in Studi storici
anno 45 n.4, Roma 2004, pp. 939-949. - E. Berlinguer, La crisi italiana – Scritti su Rinascita, allegato al n. 22 di Rinascita, Roma 1985.
- E. Berlinguer, Per un nuovo grande compromesso storico, Castelvecchi, Roma2014
- A. D’Angelo, Andreotti, la Chiesa e la solidarietà nazionale, Stuium, Roma 2020.
- R. Gardner, Mission: Italy. Gli anni di piombo raccontati dall’ambasciatore americano a Roma, Mondadori,
Milano 2004. - P. Ginsborg, Storia d’Italia dal dopoguerra ad oggi, Einaudi, Torino 2006.