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Il Codice Napoleonico, lo Stato Civile e l’eredità legislativa di Napoleone Bonaparte in Italia

Codice Napoleonico, Stato Civile ed eredità legislativa di Napoleone in Italia: ecco come l'imperatore francese ha influenzato i codici degli stati italiani.

di Riccardo De Rosa
8 Dicembre 2021
TEMPO DI LETTURA: 5 MIN
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CONTENUTO

  • Il Codice napoleonico
  • Lo Stato Civile
  • Il Codice napoleonico in Italia

Il Codice napoleonico

Il Code  Napoléon, così chiamato perché voluto da Napoleone Bonaparte, rappresenta uno dei più consistenti e duraturi lasciti del periodo napoleonico, tuttora in vigore in Francia, è uno dei più celebri codici del mondo ed ha influenzato quasi tutti quelli emanati in molti paesi a partire dalla Restaurazione.

Redatto da una commissione nominata da Napoleone nei primi anni dell’800, viene emanato il 21 marzo 1804 ed è ricordato ancora oggi per essere stato il primo codice civile moderno, con norme giuridiche chiare e di semplice applicazione e la riduzione ad unità del soggetto giuridico.

Lo scopo che si prefigge il legislatore è quello di dar vita a un testo che ponga fine alla tradizione giuridica dell’Ancien Régime, caratterizzata da molteplicità giurisprudenziale e frantumato particolarismo giuridico, che affondava le proprie radici nell’ormai arretrato e farraginoso sistema del diritto comune. Con esso scompaiono obsoleti istituti giuridici come maggiorascato, primogenitura e ciò che sopravvive dell’antico istituto feudale.

Il codice si ispira al diritto consuetudinario della tradizione franco-germanica, caratteristico del nord della Francia dei pays de droit coutumier, senza tralasciare come modello di riferimento il diritto romano prevalente nel centro-sud del paese dei pays de droit écrit, così come interpretato dai giuristi medievali glossatori e dai commentatori di questa parte del paese.

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In questo senso i primi giuristi positivisti dell’epoca ritengono la codificazione napoleonica il trionfo della ragione giuridica di stampo illuminista, in grado di trasfondere il diritto naturale e consuetudinario nei codici, plasmando i princìpi del diritto precedente.

A tempo di record, ossia in soli quattro mesi, dall’agosto al novembre 1800, è presentata una bozza, inviata alla Corte di Cassazione, con lo scopo di ottenere osservazioni in merito. In essa si confermano le principali conquiste della Rivoluzione, come l’uguaglianza dei cittadini davanti alla legge e l’abolizione del feudalesimo, e soprattutto la protezione del diritto di proprietà, particolarmente importante per la borghesia imprenditoriale e affaristica.

Lo Stato Civile

Altra importante eredità del periodo napoleonico è la creazione dello Stato Civile: introdotto in Italia con il decreto del 27 marzo 1806 n. 27 a seguito dell’annessione di diverse regioni all’Impero francese, rimane in vigore fino al 1815. Il decreto stabilisce che in ogni comune del Regno venga attivato un ufficio di Stato Civile presso cui devono essere registrati tutti gli atti di nascita, matrimonio e morte.

In conseguenza di questa massiccia operazione di registrazione, viene emanato dal Viceré Eugenio Napoleone, l’11 giugno 1813, un ulteriore decreto che impone ad ogni cittadino residente l’assunzione del cognome, segno tangibile della volontà di porre fine all’incertezza che ha caratterizzato i cognomi sino a quel momento.

Caduto l’impero napoleonico nel 1814, durante il periodo della Restaurazione le registrazioni anagrafiche tornano ad essere, in Italia, di competenza dei parroci, anche se si registrano delle notevoli differenze nelle legislazioni dei vari governi scaturiti dal Congresso di Vienna. La varietà delle situazioni ambientali, politiche, culturali, il diverso grado di sviluppo sociale hanno generato nella nostra penisola molteplici soluzioni normative ai problemi istituzionali che i governi devono affrontare dopo il 1815.

Occorre quindi dare un nesso unitario a tali vicende, indispensabili per comprendere se e fino a che punto la Restaurazione abbia rappresentato una soluzione di continuità nel processo di codificazione nazionale, oppure sia stata una brusca battuta di arresto. Questo filo conduttore esiste ed è dato proprio dal codice francese, il quale rappresenta, agli occhi del ceto intellettuale e dei giuristi consapevoli della realtà dei tempi nuovi, un modello di tecnica normativa cui è possibile accostarsi nella redazione dei codici nuovi divenuti indispensabili.

Il Codice napoleonico in Italia

Negli Stati italiani, pur essendo stato applicato per un periodo relativamente breve, circa un decennio, il Codice napoleonico, formalmente abrogato, è infatti destinato ad una seconda e più durevole vita attraverso l’influenza che esercita dapprima sui Codici Civili della Restaurazione, poi sul Codice Civile italiano del 1865.

Vediamo più nel dettaglio cosa accade nei vari stati italiani dopo il 1815. Nel Ducato di Modena e Reggio, come è già accaduto nel Regno di Sardegna, la Restaurazione significa il ripudio della codificazione napoleonica e il ripristino dell’antico sistema delle fonti del diritto, incentrato sulle Costituzioni modenesi del 1771, integrate da talune insostituibili innovazioni in materia ipotecaria e successoria.

Il primo degli Stati preunitari che giunge alla codificazione è il regno delle Due Sicilie, dove la legislazione napoleonica viene dapprima mantenuta in vigore e poi sostituta con una nuova compilazione entrata in vigore nel 1819 che però, sul piano sostanziale, imita quasi integralmente il modello napoleonico.

L’esempio napoletano è seguito ad un anno di distanza, ossia nel 1820, dal Ducato di Parma e di Piacenza, dove però, a differenza di quanto successo nel Regno delle Due Sicilie, si preferisce elaborare non un unico testo, ma quattro distinti codici, dedicati al diritto civile, alla procedura civile, al diritto penale e alla procedura penale, tutti pubblicati fra il 1820 ed il 1821. Manca però un codice di commercio, poco confacente ad una realtà economica di tipo soprattutto rurale, e le poche norme dedicate al commercio vengono fatte confluire o nel codice civile o in quello di procedura civile.

L’archivio dello Stato Civile di Toscana conserva invece le carte prodotte nel periodo che va dal 1808 al 1865, vale a dire da quando, in età napoleonica, lo Stato Civile come istituzione viene introdotto in Toscana fino a quando, dopo l’Unità d’Italia, il compito di tenere i registri di nascite, matrimoni e morti è assunto dai singoli comuni. In Toscana lo Stato Civile di origine francese ha vita breve, poiché la sua attività termina nel 1814, ma, nonostante dopo la caduta di Napoleone molte delle sue innovazioni amministrative siano soppresse, l’ordinamento dello Stato Civile viene ripristinato anche se in forme diverse.

Anche qui si assiste al ritorno in luogo del Maire (il sindaco), che presso ogni comunità ricopriva l’incarico di Ufficiale di Stato Civile, dei parroci per la compilazione dei registri di battesimo, matrimonio e morte (che del resto hanno continuato a compilare i propri registri anche in epoca napoleonica). Viene istituito un Ufficio dello Stato Civile centrale, con sede a Firenze, attivo dal 1817 al 1865, con compiti di raccolta, controllo e tenuta dei registri per l’intero Granducato.

Devono passare due decenni e più dal Congresso di Vienna perché un’altra monarchia assoluta della penisola riprenda la via della codificazione: il Regno di Sardegna. Essa ha mostrato una condotta nettamente conservatrice all’indomani della caduta del regime napoleonico, abrogando l’intera legislazione francese vigente in Piemonte dopo l’annessione all’impero napoleonico e ripristinando le superate fonti giuridiche subalpine, ossia la legislazione regia, gli statuti locali, le sentenze e il diritto comune.

È solo con l’ascesa al trono di Carlo Alberto, nel 1831, che la situazione cambia promuovendo un nuova codificazione per l’intero regno, anche se i lavori si protraggono a lungo: nel 1837 è promulgato il Codice Civile, ampiamente ispirato a quello napoleonico, seguito nel 1839 da quello Penale; nel 1842 è la volta di quello commerciale, nel 1847 del Codice di Procedura Penale e nel 1854 di quello di Procedura Civile. A partire dall’Unità la legislazione piemontese viene estesa a tutto il neonato Regno d’Italia, ma i principi di base dei codici e delle leggi napoleoniche sono tuttora presenti nella nostra legislatura.

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  • G. Astuti, Il Code Napoleon in Italia e la sua influenza sui codici degli stati italiani successori, Giapichelli, Torino 2015.
  • M. Soresina, L’Età della Restaurazione 1815 – 1860. Gli Stati Italiani dal Congresso di Vienna al crollo, Mimesis, Sesto S.Giovanni 2016.
Tags: Napoleone
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Commenti 1

  1. Gianni Scrimieri says:
    12 mesi fa

    Scusate, ma ritengo utile una precisare che oltre allo stato civile, una fondamentale eredità che il codice napoleonico ha lasciato è quella del sistema della pubblicità immobiliare attraverso la istituzione d quelli che originariamente furono chiamati “uffici ipotecari” o “uffici delle ipoteche” che nel codice del 1942 divennero le “conservatorie dei registri immobiliari”.
    Tale fu l’importanza di questo sistema che nel Regno di Sardegna, che aveva per il resto abrogato il codice napoleonico, Carlo Felice si premurò di emanare un apposito editto per il suo mantenimento (editto del 16 luglio 1822, e conseguente biglietto del 8 agosto 1822 n. 1372).
    Peraltro, il sistema della trascrizione vige ancor oggi in numerosi stati nel mondo, seppur con le dovute differenze dettate dal singolo contesto socio-politico.

    Rispondi

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