CONTENUTO
Un giovane maggiore su Hiroshima
La carriera militare di Claude Robert Eatherly inizia nel 1940, quando il futuro maggiore di origini texane ha 22 anni. Si arruola entrando nella United States Army Air Corps, la scuola per piloti di bombardiere e, meno di un anno dopo, nell’agosto 1941, diventa sottotenente.
Evidentemente Eatherly era bravo, molto bravo, tanto che viene scelto per la partecipazione alla spedizione voluta dal nuovo presidente Harry Truman per il bombardamento atomico del nemico giapponese, riluttante alla resa, nonostante i bombardamenti strategici avviati dagli Stai Uniti a partire dalla fine del 1944. Il giovane texano viene messo al comando del B-29 incaricato di perlustrare il cielo sopra Hiroshima per valutare quando e se sganciare la celeberrima Little Boy, questo il nome dell’ordigno. L’Enola Gay, il velivolo che la ospita, parte dalla base di Tinian nelle prime ore del mattino. Lo Straight Flush, questo il nome dell’aereo sul quale vola il maggiore Eatherly, parte dalla stessa base un’ora prima, insieme ad altri due aerei per la ricognizione.
Gli americani hanno infatti previsto più opzioni, in una riunione tenuta già nel maggio 1945: le città prescelte sono quelle di Kyōto, Hiroshima, Yokohama, Kokura e Nagasaki, oppure gli arsenali militari. Si decide di risparmiare Kyōto, in quanto noto centro intellettuale giapponese e si mantengono come opzioni Kokura, Nagasaki e Hiroshima.
“Stato del cielo su Kokura coperto. Su Nagasaki coperto. Su Hiroshima sereno, con visibilità dieci miglia sulla quota di tredicimila piedi”. Una fredda e militaresca comunicazione quella di Eatherly che, una volta giunto sopra Hiroshima – centro ideale da colpire per il fatto che non ospita campi per prigionieri e che il ministro della guerra americano Henry Stimson la considera in una posizione perfetta per colpire altre città – la sorvola per una quindicina di minuti nell’attesa del perfetto rasserenamento del cielo. Sono le 8 e 15 del mattino quando la città viene distrutta e le stime calcolano un numero tra i 70mila e 100mila morti all’istante, a cui si aggiungono negli anni successivi gli effetti delle radiazioni, che portano le vittime, secondo alcune stime, fino a un numero di vittime tra le 200mila e le 250mila.
“Ho volato su Hiroshima per 15 minuti per studiare i gruppi di nuvole; Il vento le spingeva allontanandole dalla città. Mi pareva il tempo e il luogo ideale, cosí trasmisi il messaggio in codice e mi allontanai in fretta come mi era stato detto, ma non abbastanza. La potenza della bomba mi terrorizzò. Hiroshima era sparita dentro una nube gialla“.
Così ricorderà poi Eatherly quei momenti. E quando realizza la drammaticità della situazione, una volta rientrato alla base, i minuti passati a sorvolare Hiroshima si trasformano nel calvario della coscienza che lo accompagna fino alla morte.
Il rientro e l’inizio dei problemi
Dopo il Giappone Eatherly ritorna negli Stati Uniti e prosegue la sua brillante carriera militare. Questo sarebbe il normale decorso della sua vicenda. Non fosse che Eatherly non è, in coscienza, un qualsiasi uomo del suo tempo e non è, per inclinazione, pronto a perdonarsi per il male che ha compiuto e che è l’unico a riuscire a riconoscere davvero. Non come lui reagiscono infatti gli altri partecipanti alla stessa spedizione, per esempio il pilota dell’Enola Gay, Paul Tibbets, che commenta poi: “Non mi posi un problema morale, feci quello che mi avevano ordinato di fare. Nello stesse condizioni lo rifarei”.
Come scrive il filosofo Gunther Anders in una lettera del 1959 indirizzata proprio al maggiore, “Eatherly, è una vittima di Hiroshima”. Oppure, per dirla con le parole dell’intellettuale Robert Junk, curatore dell’introduzione americana del volume contenente un carteggio tra il pilota statunitense e il filosofo tedesco, “le bombe atomiche colpiscono anche chi le usa; e persino chi si limita a progettare seriamente il loro impiego” perché comportano “un carico psichico che non sono in grado di elaborare consapevolmente né inconsapevolmente”.
Così, mentre lo Stato gli offre almeno un’appetibilissima pensione dal momento che egli decide di ritirarsi, il maggiore non si fa convincere nemmeno ad accettare quei soldi e decide di devolverli alla causa del mantenimento delle vedove di guerra. Lavora per una società petrolifera a Houston dove torna a vivere con la moglie, Concetta Margetti, ma quella dell’onesto uomo di casa americano non è un’esistenza che riesce a tacitare i pentimenti e i rimorsi.
Inizialmente a turbarlo sono solo gli incubi, il nervosismo e l’irascibilità, ma ben presto questi sintomi si trasformano in un malessere sempre meno latente. Nel 1950 si lascia internare per la prima volta nell’ospedale psichiatrico di Waco dopo un tentativo di suicidio. Una secondo ricovero arriva quando, alcuni anni più tardi, si rende protagonista di alcuni crimini come falsificazione di assegni e rapine a mano armata. Finisce anche in prigione a New Orleans. Poi di nuovo in clinica. Rientrato a casa tenta nuovamente il suicidio, ma gli esperimenti di rimozione dei ricordi ossessionanti che a Waco vengono messi in atto tramite terapie a base di insulina poco valgono a farlo sentire meglio. La sua vita – non che gli importi molto della sua vita oramai – è andata a rotoli: la moglie ha chiesto il divorzio e l’impedimento di avvicinarsi ai figli.
L’attenzione degli intellettuali: Eatherly simbolo del movimento antinucleare
Sul fatto che Eatherly fosse un pazzo o un criminale comune si apre un dibattito. Il filosofo Bertrand Russell sostiene per esempio che la sua vicenda non sia scaturita da altro che da una punizione per essersi sottratto alle richieste del sistema:
Il caso di Claude Eatherly non è solo un caso di ingiustizia enorme e prolungata ai danni di un individuo, ma è anche simbolico della follia suicida dei nostri tempi. Nessuno che sia privo di pregiudizi, dopo aver letto le lettere di Eatherly, può onestamente dubitare della sua salute mentale, e stento a credere che i dottori che lo dichiararono pazzo fossero convinti dell’esattezza di quella diagnosi. Egli è stato punito solo per essersi pentito della sua partecipazione relativamente innocente a una folle azione di sterminio. I passi che egli compì per ridestare la coscienza degli uomini alla nostra follia attuale non furono sempre, forse, i più saggi, ma furono compiuti per motivi che meritano l’ammirazione di chiunque sia capace di sentire umanamente. Il mondo era pronto ad onorarlo per la sua partecipazione al massacro, ma, quando si pentì, si rivolse contro di lui, vedendo nel suo pentimento la propria condanna. Spero sinceramente che, dopo la campagna che è stata fatta, le autorità possano indursi ad adottare una più giusta valutazione del suo caso e a fare quello che possono per riparare i torti che gli sono stati inflitti.
A interessarsi più di tutti al caso di Eatherly è il filosofo Günther Anders. L’attenzione a questo caso scaturisce quando il pensatore legge – su insistenza della moglie che gli illustra il caso esortandolo dicendo “tu devi fare qualcosa”, per svegliarlo dal suo iniziale disinteresse nei confronti del pezzo di carta che questa gli metteva ripetutamente sotto il naso – un articolo che parla della storia del maggiore. Da qui nasce, nel 1959, uno scambio epistolare pubblicato in Germania nel 1961 e uscito in traduzione italiana nel 1962. A questa è seguita una seconda edizione, del 2016, che raccoglie anche l’introduzione di Robert Jungk e la prefazione di Bertrand Russell all’edizione americana. In queste pagine il filosofo britannico riassume così la condizione di Eatherly: “il pentimento è stata la sua condanna”. Anders, nella prima lettera indirizzata al maggiore, così gli spiega il motivo per il quale la sua vicenda è così importante per lui e chi come lui si batte per il disarmo atomico e per il risveglio delle coscienze:
Non per curiosità, o perché il Suo caso ci interessi dal punto di vista medico o psicologico. Non siamo medici né psicologi. Ma perché ci sforziamo, con ansia e sollecitudine, di venire a capo dei problemi morali che, oggi, si pongono di fronte a tutti noi. (…) lei capisce il suo rapporto con tutto questo: poiché lei è uno dei primi che si è invischiato con questa colpa di un nuovo tipo, una colpa in cui potrebbe incorrere –oggi o domani – ciascuno di noi. A lei è capitato ciò che potrebbe capitare domani a tutti noi. È per questo che Lei ha per noi la funzione di un esempio tipico: la funzione di un precursore. Probabilmente tutto questo non piace. Vuole stare tranquillo, your life is your bisiness. (…) Se ci occupiamo delle sue sofferenze, lo facciamo come fratelli, come se Lei fosse un fratello a cui è capitata la disgrazia di fare realmente ciò che ciascuno di noi potrebbe essere costretto a fare domani.
La figura di Claude Eatherly diventa così per il movimento anti-atomico un punto di riferimento e rimane per la storia un simbolo della protesta contro il nucleare. Lui stesso si pone in quella prospettiva quando inizia il suo scambio con Anders. Scrive infatti in una lettera del giugno 1959, una delle prime:
“L’esperienza che ho fatto personalmente deve essere studiata da questo punto di vista, se il suo vero significato deve diventare comprensibile a tutti e dovunque, e non solo a me. Se Lei ha impressione che questo concetto sia importante e più o meno conforme al Suo stesso pensiero, Le proporrei di cercare insieme di chiarire questo nesso di problemi, in un carteggio che potrebbe anche durare a lungo”.
La morte in un ospedale psichiatrico
I tentativi di intercedere per Eatherly presso le isitituzion e la famiglia, da parte del filosofo tedesco Günther Anders sono numerose. Nel 1960 scrive al dottor Frank, psichiatra della clinica in cui è confinato l’ex maggiore dell’esercito statunitense. Arriva addirittura a rivolgersi al presidente degli Stati Uniti, John Fitzgerald Kennedy, quando una perizia del medico legale di Waco dichiara ufficialmente l’ex maggiore “malato di mente”, per cercare di portare la sua attenzione sull’errore che si stava commettendo nella struttura psichiatrica texana.
L’interesse e la comprensione proveniente dall’esterno aiutano Eatherly a sentirsi meglio e trasformarsi in un uomo rinnovato. Poco dopo l’inizio della corrispondenza con Anders, nell’agosto del 1959, scrive una prima lettera al Giappone e ai giapponesi nella quale
“dicevo loro che ero il maggiore che aveva dato il segnale di via libera per la distruzione di Hiroshima, che ero incapace di dimenticare quell’atto, e che la colpa di quell’atto mi aveva causato grandi sofferenze. Li pregavo di perdonarmi. Dicevo loro che gli uomini non dovrebbero combattere.”
A questa ne seguono altre, intervallate da risposte comprensive da parte del popolo giapponese. I miglioramenti delle sue condizioni avvenuti grazie al conforto dall’esterno e le azioni di “redenzione” non sono comunque sufficienti a farlo uscire dal manicomio, dove resta fino alla sua morte, causata da un cancro alla gola, nel 1979.
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- G. Anders, L’ultima vittima di Hiroshima. Il carteggio con Claude Eatherly, il pilota della bomba atomica, Mimesis, 2016