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Il 3 febbraio del 1831, a Modena, il Duca Francesco IV D’Asburgo-Este sventa un’insurrezione capeggiata da Ciro Menotti. Il patriota italiano viene fatto prigioniero dal Duca e successivamente impiccato a Modena il 23 maggio dello stesso anno.
I moti del 1830 e la figura di Ciro Menotti
I moti rivoluzionari scoppiati in Francia nel luglio del 1830 provocano in tutta Europa sollevazioni contro i regnanti dei vari paesi. In Italia sono gli aderenti alla Carboneria a muovere le fila del nuovo tentativo insurrezionale che ha il suo epicentro nel Ducato di Modena, dove è attivo Ciro Menotti.
Quest’ultimo appartiene ad una famiglia che si è arricchita con il commercio in età napoleonica e egli stesso è un ottimo uomo d’affari, tanto da aver fondato a Modena una filanda e una ditta di spedizioni, con notevole esportazione sul mercato inglese. Affiliato alla Carboneria già dal 1817, Menotti matura forti sentimenti democratici e patriottici, che lo portano a mal sopportare la dominazione austriaca nella penisola. A questo proposito a partire dal 1820 intreccia contatti con i circoli liberali francesi e con gli esuli democratici italiani.
Menotti riesce nel dicembre 1830 a istituire vari comitati rivoluzionari in Emilia; scrive, inoltre, un programma di azione che invia agli esuli italiani in Francia dal titolo “Idee per organizzare delle intelligenze fra tutte le città d’Italia“, nel quale auspica una soluzione unitaria e monarchica del problema italiano:
“Lo spirito pubblico in Italia è disposto interamente per un cambiamento di reggimento politico. A tale oggetto in ogni città d’Italia vi saranno delle intelligenze fra alcuni dei migliori o più influenzanti abitanti; questi capi di ogni città si formeranno in comitati locali e questi saranno tanti raggi di un Comitato Centrale Italiano. Lo scopo di questi comitati deve essere l’adempimento di tutta l’Italia.
A questo fine tutti devono intendere a formare poscia dell’Italia una Monarchia Rappresentativa, dando la Corona a quel soggetto che verrà scelto dall’assemblea a Congresso Nazionale e che Roma sia la Capitale, quella Roma che non ebbe l’eguale e che non l’avrà mai nell’opinione dei presenti e dei posteri. Indipendenza, Unione e Libertà siano il grido dell’Italia rigenerata, e lo stendardo dei tre colori, verde, rosso e bianco sia composto ancora della croce, che così avvicina il simbolo del trionfo della Libertà e della Religione”.
Ciro Menotti e l’insurrezione nel Ducato di Modena
Ciro Menotti, insieme all’altro cospiratore Enrico Misley, entra in contatto con il Duca di Modena Francesco IV, credendo di averlo come alleato nella battaglia contro il predominio austriaco. Personaggio ambiguo, intrigante e ambizioso, il Duca spera in realtà di approfittare di un’insurrezione italiana per diventare il sovrano di un regno dell’Italia centro-settentrionale.
Dopo aver incoraggiato le speranze dei patrioti liberali Francesco IV si spaventa delle possibili conseguenze delle sue azioni e, soprattutto, della reazione militare dell’Austria; decide quindi di smettere di appoggiare i cospiratori senza però informare questi ultimi.
Nella notte tra il 3 e il 4 febbraio 1831 Ciro Menotti riunisce in casa sua circa quarantatré rivoluzionari, ma Francesco IV, che viene informato della riunione, fa circondare l’abitazione e ordina l’arresto dei cospiratori. Ciro Menotti, insieme ad altri compagni, viene così catturato. Bloccata a Modena l’insurrezione scoppia però a Bologna, Parma e nei territori pontefici delle Marche e della Romagna. Francesco IV è costretto a rifugiarsi a Mantova, dove porta con sé come prigioniero Ciro Menotti.
Il fallimento dei moti del 1831: la morte per impiccagione di Ciro Menotti
I patrioti di tutti i territori insorti danno vita al “Governo delle Province unite italiane” e arruolano dei volontari per prepararsi a difendersi dall’intervento militare austriaco. Tuttavia, le diatribe tra moderati e democratici rivoluzionari, insieme al mancato intervento francese, sui cui si poggiano tutte le speranze degli insorti, segnano la rapida fine del moto rivoluzionario.
A marzo tutto si conclude: le truppe austriache incontrano ovunque deboli resistenze e il cancelliere dell’impero asburgico Klemens von Metternich può riconfermare il ruolo di gendarme dell’ordine costituito in Europa. La restaurazione porta con sé la solita scia sanguinosa di arresti e condanne. Una delle vittime illustri della repressione è proprio Ciro Menotti. Dopo aver passato del tempo nella prigione di Mantova il giovane patriota rientra a Modena con Francesco IV; qui viene processato da una speciale Commissione Militare che lo condanna a morte.
La sentenza della pena capitale è eseguita per impiccagione il 23 maggio 1831. La sua figura di rivoluzionario impavido ha fatto di Menotti il precursore del Risorgimento italiano. Basti pensare che Giuseppe Garibaldi ha chiamato il figlio primogenito Menotti, proprio per ricordare l’estremo sacrificio del patriota.
Un monumento a Ciro Menotti viene commissionato da un comitato di cittadini modenesi allo scopo di ricordare gli avvenimenti della notte del 3 febbraio 1831 e realizzato dallo scultore modenese Cesare Sighinolfi nel 1879. La statua in ricordo del patriota è localizzata proprio di fronte all’ingresso del Palazzo Ducale della città, con lo sguardo rivolto verso la stanza dove è stata firmata la sua condanna a morte.
Ciro Menotti, l’ultima lettera alla moglie
Due ore prima di salire sul patibolo Menotti scrive un’ultima lettera alla moglie che, però, non viene recapitata e sarà ritrovata nell’archivio di Modena solo nel 1848:
“Carissima moglie, La tua virtù e la tua religione siano teco, e ti assistano nel ricevere che farai questo mio foglio. Sono le ultime parole dell’infelice tuo Ciro. Egli ti rivedrà in più beato soggiorno. Vivi ai figli e fa’ loro anche da padre; ne hai tutti i requisiti. Il supremo amoroso comando che impongo al tuo cuore è quello di non abbandonarti al dolore. Studia di vincerlo, e pensa chi è che te lo suggerisce e consiglia. Non resterai che orbata di un corpo che pur doveva soggiacere al suo fine: l’anima mia sarà teco unita per tutta l’eternità.
Pensa ai figli e in essi continua a vedere il loro genitore; e quando saranno adulti da’ loro a conoscere quanto io amava la patria. Fo te l’interprete del mio congedo colla famiglia: Io muoio col nome di tutti nel cuore; e la mia Cecchina ne invade la miglior parte. Non ti spaventi l’idea della immatura mia fine. Iddio che mi accorda forza e coraggio per incontrarla come la mercede del giusto, Iddio mi aiuterà fino al fatale momento. Il dirti d’incamminare i figli sulla strada dell’onore e della virtù, è dirti ciò che hai sempre fatto: ma te lo dico perché sappiano che tale era l’intenzione del padre, e così ubbidienti rispetteranno la sua memoria.
Non lasciarti opprimere dal cordoglio: tutti dobbiamo quaggiù morire. Ti mando una ciocca de’ miei capelli; sarà una memoria di famiglia; Oh buon Dio! Quanti infelici per colpa mia! Ma mi perdonerete. Do l’ultimo bacio ai figli; non oso individuarli perché troppo mi angustierei, tutti quattro, e i genitori, e l’ottima nonna, la cara sorella (Virginia) e Celeste, insomma dal primo all’ultimo vi ho presenti. Addio per sempre, Cecchina. Sarai finché vivi una buona madre de’ miei figli! In quest’ultimo tremendo momento le cose di questo mondo non sono più per me. Sperava molto; il sovrano…. Ma non son più di questo mondo. Addio con tutto il cuore, addio per sempre; ama sempre il tuo Ciro.”
La morte di Ciro Menotti e la crisi della Carboneria
Il fallimento dei moti emiliani costituisce una dura ma salutare lezione e segna la crisi irreversibile della Carboneria. Si incomincia a capire che non ci si deve più fidare della lealtà costituzionale dei principi che per ben tre volte hanno tradito la fiducia riposta in loro: prima Ferdinando I, poi Carlo Alberto e Francesco IV.
La stessa organizzazione settaria, fondata sulla segretezza e sul simbolismo, sembra oramai essere qualcosa di superato. Si comprende, inoltre, che i moti locali, limitati a poche zone della penisola, non hanno possibilità di successo e per questo inizia a farsi strada l’idea di un’azione più vasta che possa coinvolgere l’intero territorio peninsulare in un vasto movimento unitario.
Tutto ciò viene trasformato in una dottrina organica e in un concreto programma d’azione grazie all’opera di Giuseppe Mazzini, che così si esprime nel 1831 sui fallimenti delle insurrezioni italiane:
“Furono brillanti, unanimi, confidenti, audacemente intraprese, prosperamente operate; languirono, si mostrarono incerte, paurose. Sorsero come stella, svanirono come fuochi di cimitero, poiché mancarono i capi, mancarono i pochi a dirigere i molti”.
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- Celestino Bianchi, Ciro Menotti e le cospirazioni di Modena nel 1831, Legare Street Press, 2023.