CONTENUTO
Nella notte fra l’11 e il 12 gennaio del 49 a.C. Caio Giulio Cesare varca il Rubicone, il torrente che segna il confine tra la Gallia Cisalpina e il territorio civico di Roma. L’attraversamento del fiume rappresenta l’inizio della guerra civile romana che vede contrapposti il generale conquistatore della Gallia e la fazione più tradizionalista e conservatrice del Senato, capeggiata da Gneo Pompeo Magno. Ma perché Cesare attraversa il Rubicone?
Cesare contro Pompeo
Con la scomparsa di Marco Licinio Crasso, che perde la vita nel 53 a.C. durante la guerra contro i Parti, viene meno l’equilibrio politico che è stato mantenuto per alcuni anni grazie alla stipula del primo triunvirato tra Cesare, Pompeo e lo stesso Crasso. Alla morte di quest’ultimo si aggiunge anche quella di Giulia, la giovane figlia di Cesare, data precedentemente in sposa a Pompeo per solidificare il rapporto tra i due. Da questo momento Pompeo inizia ad accostarsi in maniera graduale alla fazione ottimale presente a Roma e accesamente anti-cesariana:
“Con la morte di Crasso presso i Parti e di Giulia, che sposata a Pompeo conservava con il vincolo matrimoniale la concordia tra genero e suocero, subito esplose la rivalità. Ormai a Pompeo era sospetta la potenza di Cesare e a Cesare era insopportabile il prestigio di Pompeo. Il primo non tollerava uno pari a sé né il secondo uno superiore. Essi si tormentavano per ottenere il primo posto, come se la fortuna di un così grande impero non fosse in grado di contenere due capi.” (Floro, Epitome di Storia Romana)
A partire dal 52, infatti, i nemici di Cesare, preoccupati dal prestigio e dal potere accumulati dal comandante militare, iniziano a discutere in Senato sulla possibilità di rimuoverlo in anticipo dalla sua carica di proconsole, ininterrottamente ricoperta dall’anno 58, e di farlo tornare a Roma da privato cittadino per poterlo accusare sui metodi spietati utilizzati durante le guerre di conquista in Gallia.
Inizia così tra Cesare ed i suoi avversari una lotta psicologica fatta di espedienti interpretativi e giuridici con l’obiettivo da parte di Cesare di ottenere l’estensione del suo comando per tutto il 49, per potersi poi candidare al consolato nel 48, e da parte degli oppositori di sostituirlo con un’altra figura.
Verso la seconda guerra civile romana
Il 1 dicembre del 50 a.C., per cercare di sbloccare l’impasse, il tribuno della plebe Gaio Scribonio Curione propone in Senato di abolire contemporaneamente gli incarichi straordinari di Cesare e Pompeo:
“Poiché le armi di Cesare fanno paura a qualcuno, ma anche l’egemonia e le legioni di Pompeo fanno paura ad altri, propongo che entrambi congedino i loro eserciti. Questo restituirà libertà alla politica.”
La proposta viene votata a maggioranza dal Senato; tuttavia alla votazione non seguono fatti concreti in tal senso. Una testimonianza importante sul clima che si respira a Roma nelle ultime settimane del 50 viene fornita dall’avvocato Marco Tullio Cicerone, che in una lettera scritta ad un amico, esprime tutta la propria preoccupazione per la situazione politica:
“La questione principale sulla quale si scontreranno coloro che detengono il potere è che Cneo Pompeo ha deciso di non consentire che Cesare venga eletto console se prima non ha abbandonato l’esercito e la provincia. Cesare d’altronde è persuaso che non vi possa essere salvezza per lui se si separa dall’esercito. Tuttavia ha proposto il seguente compromesso: che entrambi consegnino gli eserciti. Così quegli amori e quella tanto detestata alleanza finiranno per degenerare non in un astio segreto, ma in guerra aperta. In questa contesa mi sembra che Pompeo abbia dalla sua il senato e il potere giudiziario, con Cesare si schiereranno tutti coloro che vivono nel timore o che sperano nel peggio. Ci è dato soltanto il tempo appena necessario per valutare le forze di ciascuno dei due e scegliere da che parte schierarsi.”
Cesare varca il Rubicone
All’inizio del 49 a.C. Cesare invia tramite il fidato Marco Antonio e Quinto Cassio Longino una lettera al senato nella quale si dichiara disposto a deporre il comando militare, a patto che anche Pompeo faccia lo stesso. Nella seduta cruciale che si tiene in senato il 7 gennaio Marco Antonio e Quinto Cassio Longino sono costretti ad abbandonare l’aula e i senatori emanano contro Cesare il “senatusconsultum ultimum“, affidando con questo provvedimento ai due consoli in carica e a Pompeo poteri straordinari per difendere lo Stato.
Cesare nel frattempo segue le trattative con il Senato da Ravenna, la città della cisalpina più vicina al confine con lo stato romano. In realtà, però, non si fa troppe illusioni in merito alla possibilità di raggiungere un compromesso con gli avversari. Tra il 10 e l’11 gennaio, informato sugli ultimi eventi avvenuti a Roma, prende la sua decisione e manda avanti fino al fiume Rubicone alcune coorti.
Egli si intrattiene con i fedeli qualche ora e poi raggiunge i suoi soldati nei pressi del Rubicone, il torrente che segna il confine tra la Gallia Cisalpina e il territorio civico di Roma. Plutarco racconta che a questo punto il condottiero ha un’esitazione finale prima di compiere il passo che avrebbe portato alla rottura definitiva con gli avversari:
“Valutava insieme ai suoi uomini e cercava di prevedere gli effetti che il passaggio di quel fiume poteva avere per tutti. A lungo soppesò il pro e il contro”.
Il discorso di Cesare: “Alea iacta esto!”
Stando a quel che riporta Svetonio, dopo l’ultima esitazione, Cesare varca il Rubicone con il suo esercito pronunciando la frase: “Andiamo dove ci chiamano i prodigi degli dei e l’ingiustizia degli avversari. Si getti il dado! (Alea iacta esto!)“. Attraversato il fiume il condottiero si reca con l’esercito a Rimini e qui si incontra con Marco Antonio e Quinto Cassio Longino, fuggiti da Roma la sera del 7 gennaio. A questo punto Cesare fa abilmente uso della sua oratoria soldatesca per far capire agli uomini che lo seguono come per lui non ci sia stata altra scelta:
“Presi con sé i tribuni, scacciati da Roma, che lo avevano raggiunto, fece schierare le truppe e strappandosi le vesti dal petto e commuovendosi fino alle lacrime, chiese la loro fedeltà. Nel corso dell’arringa alzò più volte la mano sinistra mostrando l’anello che aveva la dito dicendo: mi priverò volentieri persino di questo pur di soddisfare tutti quelli che mi aiuteranno a difendere il mio onore!”.
I soldati, una volta ascoltato il discorso e convinti dalle parole persuasive di Cesare, si dichiarano subito disposti a seguirlo nella sua nuova missione per aiutarlo a vendicarsi delle offese che gli sono state lanciate dai nemici.
Appena giunta la notizia del passaggio del Rubicone da parte di Cesare a Roma si crea il panico. Pompeo, insieme ai consoli e a buona parte dei senatori, abbandona in fretta e furia la città dirigendosi a Brindisi per imbarcarsi per l’Oriente. Tra i fuggiaschi c’è anche Cicerone il quale pochi giorni dopo il passaggio del Rubicone da parte di Cesare invia un breve biglietto all’amico di sempre Attico per metterlo al corrente sulla sua partenza:
“Ho deciso improvvisamente di uscire dalla città prima dell’alba, per evitare sguardi indiscreti o pettegolezzi. Quanto al resto non so che fare né che farò; tanto sono sconvolto dalla temerarietà della mia folle decisione. Quale consiglio vuoi che dia a te, da cui aspetto io stesso consiglio? Non so quale decisione abbia preso o stia prendendo il nostro Pompeo, che è ancora rinchiuso nelle fortezze, instupidito. Se si attesta in Italia, saremo tutti con lui; se, invece, si ritira dobbiamo prendere una decisione. Finora certamente ha compiuto molte sciocchezze e imprudenze. In partenza da Roma, 18 gennaio 49 a.C.”(Lettera di Cicerone ad Attico)
Ha da quel momento inizio la seconda guerra civile romana.