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Cesare Lombroso: vita e pensiero
Le controverse teorie di Cesare Lombroso (1835 –1909), tra i pionieri degli studi sulla criminalità, hanno influenzato il pensiero del Novecento, generando pareri contrastanti. È noto per essere il fondatore dell’antropologia criminale, una disciplina fortemente influenzata dalla fisiognomica e dalla frenologia, oggi considerate pseudoscientifiche.
Esponente della scuola positiva e promotore del determinismo biologico, Lombroso è figlio dello scientismo ottocentesco e del darwinismo sociale. Se da una parte è considerato un fautore di teorie antiscientifiche, dall’altra ha il merito di aver tentato un primo approccio sistematico allo studio della criminalità considerando i fattori ambientali, educativi e sociali.
La prima formazione di Cesare Lombroso
Cesare Lombroso nasce a Verona il 6 novembre 1835 in una famiglia ebrea benestante. Infatti, il suo nome di battesimo sarebbe Marco Ezechia, poi cambiato in “Cesare”. Nonostante la radicata religiosità della famiglia, il giovane Lombroso decide presto di avvicinarsi alle teorie positiviste tramite il poeta risorgimentale David Levi, suo cugino.
La libertà di pensiero lo porta ad interessarsi anche all’interpretazione della linguistica del medico Paolo Marzolo, intesa come un mezzo antropologico per delineare la storia naturale dell’essere umano. A causa di queste prime influenze, all’età di quindici anni Lombroso decide di intraprendere gli studi privatamente, perché contrario all’istruzione pubblica.
Ottenuto il diploma, nel 1853 si iscrive alla Facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Università degli Studi di Pavia, dove si interessa principalmente di anatomia e di storia naturale. Segue i corsi di Giuseppe Balsamo Crivelli e di Bartolomeo Panizza e frequenta anche gli atenei di Padova e di Vienna. In questo periodo si avvicina all’antropologia, una scienza ancora nascente.
Mentre frequenta l’università scoppia la Seconda Guerra d’Indipendenza italiana (1859-60), durante la quale offre il suo supporto sanitario alle truppe sabaude. Ottiene così la possibilità di studiare i soldati affetti da cretinismo, gotta e pellagra.
Il brigantaggio e le prime pubblicazioni
L’avvicinamento alla criminalità avviene quando, dopo aver completato gli studi universitari, si arruola come medico militare durante la campagna contro il brigantaggio post-unitario, fenomeno diffuso negli ex territori del Regno delle Due Sicilie a causa del malcontento verso il processo di unificazione per il peggioramento delle nuove condizioni economiche e per lo scetticismo riguardo all’anticattolicesimo intrinseco nel Risorgimento.
In particolare, i mesi che trascorre nel 1862 in Calabria nel corpo sanitario dell’esercito regio segnano profondamente le sue riflessioni etnologiche, oltre ad accrescere le conoscenze sanitarie ed epidemiologiche. Scrive le sue intuizioni che spaziano dalle analisi storiche alle considerazioni sociopolitiche nella sua prima pubblicazione intitolata In Calabria (1862).
In seguito all’esperienza bellica, Lombroso approfondisce i soggetti criminali dal punto di vista antropologico lavorando inizialmente nella clinica psichiatrica di Pavia, città dove ottiene anche la cattedra universitaria. Rientrato quindi nel contesto accademico, nel 1864 pubblica Genio e follia, un libro che avrà diverse edizioni e cambierà il titolo ne L’uomo di genio (1882). In questo periodo sviluppa le sue ricerche sulle malattie mentali, operando al confine tra psichiatria e medicina legale.
Lombroso acquisisce visibilità in ambito medico anche grazie ai suoi studi riguardo ai deliri causati dalla pellagra, una malattia diffusa tra i contadini di Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna. Se ne interessa perché lo stato avanzato della patologia porta alla demenza e alle allucinazioni fino al ricovero in manicomio. Lombroso ne individua la causa in un fungo presente nel mais, alimento alla base della dieta dei contadini nella pianura padana. Nonostante si scoprirà che è dovuta ad una carenza vitaminica data dall’alimentazione a base di mais, gran parte dei meriti vanno al suo intuito e alla sua capacità di osservazione.
Le ricerche accademiche di Lombroso
Dal 1870 diventa il direttore del manicomio di Pesaro, dove si concentra maggiormente sullo studio dell’antropologia dei malati mentali e dei criminali, i quali vede contraddistinti da uno spiccato primitivismo. Per esempio, inizia ad esaminare il cadavere del brigante Giuseppe Villella, confrontando la sua fossa cranica con i primati e applicando così l’analisi evoluzionistica alla medicina legale nelle patologie. Secondo l’ipotesi di Lombroso è presente un nesso tra l’evoluzione naturale della specie e i comportamenti del singolo nel contesto sociale.
Nel 1875 si trasferisce a Torino dove ottiene il ruolo di ordinario di medicina legale in carcere e la cattedra di Medicina legale e igiene pubblica. Diventa inoltre membro della neonata Società freniatrica italiana e fonda il Laboratorio di medicina legale e di psichiatria sperimentale che lo renderà celebre anche all’estero.
Grazie alle esperienze maturate in manicomio e in carcere, elabora le teorie riguardo ai soggetti criminali, attuando la ricerca sui detenuti, sui malati psichiatrici e sui loro cadaveri. Integrando la sua passione per lo storicismo agli studi di fisiologia del pensiero, dalle ricerche scaturisce la sua visione dell’influenza psichica nelle patologie. Secondo lui, i malati psichiatrici rappresentano i diversi modelli umani che si sono evoluti nella storia.
Sviluppa quindi il concetto di convinzione atavica basandosi sul caso del contadino Vincenzo Verzeni, omicida e cannibale. Secondo Lombroso i comportamenti devianti del soggetto derivano dalle anomalie fisiche, date dalla mancata evoluzione. La convinzione dell’involuzione come causa di istinti omicidi si sviluppa quindi sulla base di sperimentazioni discutibili che intrecciano il determinismo assoluto e gli studi psichiatrici.
Nasce così la teoria dell’uomo delinquente, contenuta ne L’uomo delinquente (1876), la quale contrasta però con il libero arbitrio e quindi con la responsabilità delle azioni violente. Lombroso istituisce la nuova disciplina dell’antropologia criminale, basata sulla concezione che i delinquenti siano portatori di tratti somatici distintivi.
Nel 1880 fonda con il suo allievo Enrico Ferri e il criminologo Raffaele Garofalo l’Archivio di psichiatria, scienze penali e antropologia criminale. Il controverso percorso accademico e professionale lo porta però, due anni dopo, ad essere radiato dalla Società italiana di Antropologia ed Etnologia. Nel 1893 pubblica La donna delinquente, la prostituta e la donna normale e nel 1895 Grafologia.
Lo spiritismo e la morte di Cesare Lombroso
Nei suoi ultimi anni, Lombroso si interessa inoltre allo spiritismo, avvicinandosi alla medium Eusapia Palladino e sostenendo le sue capacità paranormali, poi pubblicate nel suo libro Dopo la morte-cosa? (1909). Da convinto positivista cerca di studiare i fenomeni medianici nel tentativo di ricondurli in ambito scientifico. Già nel novembre 1895, però, il British Medical Journal aveva confutato la credibilità della Palladino nell’articolo Exit Eusapia!. Lombroso riceve critiche efferate riguardo alle sue teorie e credenze. Il fatto che si faccia ingannare così facilmente dimostra il peggioramento della sua salute mentale, oltre che fisica, a causa dell’arteriosclerosi che caratterizza gli ultimi anni della sua vita.
Nel 1898 inaugura il Museo di psichiatria e criminologia a Torino, che diventerà il Museo di Antropologia criminale, costituito da reperti anatomici, scritti di criminali e di malati psichiatrici, fotografie, documenti medici e addirittura armi utilizzate da assassini. Per lungo tempo rimasto accessibile limitatamente per motivi di ricerca, soltanto nel novembre 2009 verrà aperto al pubblico, non senza qualche polemica. Alcuni muoveranno diverse critiche al museo a causa delle discriminazioni verso il Sud Italia contenute nel pensiero di Lombroso fin dalle sue prime opere.
Dopo anni ad occupare la cattedra di medicina legale, nel 1907 ottiene la possibilità di insegnare proprio Antropologia criminale, ma l’aggravarsi della malattia non gli permette di svolgere il suo lavoro e neanche di partecipare ai vari congressi. La notte del 18 ottobre 1909 subisce l’ultimo attacco cardiaco e la mattina successiva viene trovato deceduto nella sua casa torinese di via Legnano 26. Il suo corpo viene seppellito nel cimitero monumentale di Torino e negli anni gli verranno dedicate diverse vie in varie città italiane. Quella più significativa è situata a Pavia nei pressi dell’ospedale Policlinico San Matteo.
La folla
Le teorie di Lombroso, seppur contrassegnate da un positivismo ingenuo, contribuiscono all’immaginario della folla con tendenze precivili, un concetto molto diffuso a cavallo tra Ottocento e Novecento. Alla fine del diciannovesimo secolo, infatti, la “folla irrazionale” inizia ad essere analizzata in contrapposizione alla “massa organizzata”, concezione che si sviluppa grazie alle teorie degli studiosi francesi Gabriel Tarde, Hippolyte Taine e Gustave Le Bon e dagli italiani Scipio Sighele ed Enrico Ferri.
A tal riguardo, Lombroso distingue tra la rivoluzione, inteso come un fenomeno normale e fisiologico causato da situazioni terribili, e quindi legittima e razionale, e la rivolta, un fenomeno patologico, dovuto a un comportamento deviante e criminale.
L’atavismo
Secondo Lombroso “il criminale è un essere atavistico che riproduce sulla propria persona i feroci istinti dell’umanità primitiva e degli animali inferiori”. Questo concetto alla base dell’antropologia criminale evidenzia il suo tentativo di costruire una scienza sulla base dei comportamenti difformi.
La tesi da lui sostenuta è riassumibile nella regressione all’atavismo, inteso come pratiche sociali remote, da parte di determinati tipi umani presenti nella società, definibili come non-civilizzati e quindi appartenenti ad epoche passate. Per Lombroso non tutti gli esseri umani sono inseribili nella stessa linea temporale. I criminali sono quindi una deviazione nel processo evolutivo. Il delinquente nato non è soltanto frutto della società e le sue devianze non dipendono dal soggetto, ma da una tara biologica. La volontà del singolo non può produrre un’azione repressiva ai suoi istinti primordiali.
La criminalità
Lombroso descrive il rapporto tra follia, alienazione e crimine separando la follia morale, un disturbo di origine sociale, dalla follia naturale, data dalla natura del delinquente e riscontabile nella sua fisionomia.
Allo stesso modo, la distinzione tra i criminali nati e i criminali occasionali si basa su un positivismo superficiale. Secondo Lombroso i primi sono caratterizzati da una degenerazione dell’intelletto condannato alla perdizione e segno di una criminalità innata, mentre i secondi sono succubi di estreme passioni momentanee. I criminali nati devono essere soppressi, mentre quelli occasionali vanno trattati umanamente e curati per correggere il loro comportamento.
Il delinquente occasionale è un uomo “normale” che commette un reato a causa dell’influenza dell’ambiente e delle circostanze. In questa categoria Lombroso introduce la variabile socio-ambientale, attenuando le accuse di determinismo e influendo sullo sviluppo della criminologia.
I fattori individuali innati però rimangono preminenti nella teoria del delinquente nato che si basa quindi sul fatto che il criminale sia fatalmente spinto al delitto dalla sua natura arretrata e feroce. Se la causa delle sue azioni violenti è data da determinate caratteristiche psicofisiche, si tratta quindi di una tendenza congenita.
Lombroso rileva la peculiarità determinante di queste tendenze criminali in una piccola anomalia ossea, cioè una fossetta cerebellare mediana o vermiana, riconosciuta come il tratto atavico tipico dei primati che verrà ribattezzata “fossetta di Lombroso”. Negli anni aggiunge diverse caratteristiche somatiche dei tratti atavici relative ad anomalie dello scheletro, del cranio e del viso: testa piccola, zigomi sporgenti, orecchie grandi, fronte alta, naso storto, sopracciglia folte, alto tasso di pigmentazione della pelle.
Oltre a questi tratti fisici, sostiene anche l’influenza di particolarità psicologiche come l’assenza di rimorso, la mancanza di moralità, l’uso di espressioni gergali, la crudeltà, la vanità, la precocità nei piaceri sensoriali. Aggiunge inoltre dettagli ancora più discutibili come la presenza di tatuaggi e l’epilessia.
Le inclinazioni pericolose
Lombroso sostiene per tutta la vita che le caratteristiche psicofisiche dimostrano una spiccata ferocia di origine selvatica e quindi una predisposizione alla criminalità. Dopo la sua morte, l’antropologia criminale verrà confutata anche dagli stessi collaboratori di Lombroso ed entrerà a far parte delle discipline pseudoscientifiche come la fisiognomica e la frenologia, a cui si era ispirato.
L’applicazione di questa dottrina è chiaramente pericolosa in quanto discrimina chi presenta tratti “primitivi” e ne limita la libertà. Inoltre, considerando l’inclinazione al crimine come conseguenza di un fattore biologico non modificabile, basato sull’eugenetica, Lombroso reputava i criminali incapaci di qualsiasi riabilitazione. Sosteneva quindi la loro sterilizzazione e la pena di morte.
Il razzismo
Il suo approccio all’antropologia risente di una visione del darwinismo sociale impregnata di razzismo. Le conformazioni fisiche come dimostrazione di sottosviluppo sono molto vicine alle idee a lui contemporanee dell’epoca coloniale che giustificavano la sottomissione dei popoli africani basandosi sulla loro presunta inferiorità e arretratezza sia fisica sia morale.
Secondo lo storico George L. Mosse le teorie lombrosiane possono aver influenzato fortemente l’ideologia nazista e fascista. Come spiega ne Il razzismo in Europa (1992), la corrente psicologica promossa da Lombroso che interpreta le caratteristiche fisiche come prove delle devianze mentali sembra effettivamente alla base delle teorie razziali nazifasciste. Anche la pena di morte sostenuta da Lombroso per i soggetti criminali volta a rafforzare la selezione naturale e mantenere la normalità sembra essere stata accolta dai nazisti e dai fascisti, per i quali qualsiasi tipo di “degenerazione” fisiologica era condannabile.
L’eredità di Cesare Lombroso
Nonostante l’inattendibilità delle sue teorie, gli errori metodologici e il rischio discriminatorio intrinseco nella sua dottrina, Lombroso è parte della storia della criminologia e ha i meriti di aver stimolato lo studio del fenomeno criminale e di aver tentato di indagarlo in modo sistematico.
Il modello lombrosiano ha goduto di un diffuso successo contribuendo allo studio dei comportamenti criminali sia in Italia sia in Europa. Addirittura, Sigmund Freud e Carl Gustav Jung si sono ispirati ai concetti lombrosiani per delineare alcune teorie della psicoanalisi applicata alla società.
Negli anni, gran parte del pensiero di Lombroso è stato destituito da ogni fondamento scientifico, in quanto condizionato dal clima culturale ottocentesco, ma la sua dimostrazione dello stretto nesso tra l’uomo, la sua salute e l’ambiente ha stimolato diversi studiosi.
I suoi allievi, Ferri e Sighele, leggeranno l’antropologia criminale come qualcosa di psicodinamico, sostenendo che le caratteristiche devianti definite da Lombroso non sono innate, ma frutto di elementi sociali. Sosterranno che l’ambiente influenza la psiche del singolo e la criminalità è dunque un dato sociale.
Film consigliato: Larvae (2022), cortometraggio di Alessandro Rota.
Consigli di lettura: clicca sul titolo e acquista la tua copia!
- George L. Mosse, Il razzismo in Europa, Editori Laterza, Bari, 2010.
- Pierluigi Baima Bollone, Dall’antropologia criminale alla criminologia, Torino, G. Giappichelli Editore, 2003.
- Dario David, La vera storia del cranio di Pulcinella. Le ragioni di Lombroso e le verità della fisiognomica, Roma, Edizioni Magi, 2007.
- Cesare Lombroso, L’uomo delinquente (rist. quinta edizione, Torino, 1897) Bompiani, Milano, 2013.
- Roberto Vecchiarelli, Cronache dal manicomio. Cesare Lombroso e il giornale dei pazzi del manicomio di Pesaro, Oltre Edizioni, Milano, 2017.
- Livio Sansone, La galassia Lombroso, Laterza, Bari, 2022