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Mappa del Messico
I cartelli della droga messicani hanno avuto un’evoluzione complessa nel corso degli anni, che li ha portati ad essere una minaccia per la stabilità del Paese centro-americano ed una possibile lesione per l’economia legittima di numerosi Stati nel mondo nonché per la salute dei loro abitanti.
Genericamente parlando i cartelli della droga non operano solo in Messico, ma anche in Colombia e altri paesi del Sud America, e sono responsabili di una vasta gamma di attività illecite. La loro principale attività lucrativa, che per il coordinamento delle operazioni illegali spinge ad accordi a livello nazionale ed internazionale, è fuor di dubbio la produzione, la distribuzione e la vendita di stupefacenti.
Queste organizzazioni possono anche essere coinvolte in attività di corruzione, estorsione, omicidio e altri crimini gravi quali il riciclaggio di denaro “sporco”, finalizzati ed a corollario del loro core business, nonché impegnate in un serrato controllo del territorio su cui operano, sì da sfruttare le rotte già consolidate per svolgere il contrabbando di armi e il traffico di migranti.
Innanzitutto, cosa si intende per “cartello”? Possiamo definirlo come un insieme di organizzazioni criminali, operanti a livello transnazionale nel campo del traffico di droga. Il cartello può strutturarsi sulla base di semplici accordi di gestione per la produzione e la cessione di ingenti quantitativi tra narcotrafficanti, sino a costituire formali gruppi criminali, impegnati sia nell’importazione che nell’esportazione di stupefacenti.
Tutto ciò ha avuto nel passato e continua ad avere un impatto devastante sulla società. La violenza legata ai cartelli ha portato nei Paesi centro e sud-americani ad un alto tasso di omicidi, minato la fiducia nelle istituzioni e causato la destabilizzazione di intere regioni. La corruzione diffusa ha compromesso l’integrità delle forze dell’ordine e delle istituzioni governative.
Peculiarità dei cartelli messicani
Nonostante abbiano scopi simili, i cartelli colombiani, noti per essere stati i primi ad affacciatsi sulla scena del crimine internazionale, e quelli messicani presentano caratteristiche distintive. Mentre gli uni si sono concentrati principalmente sulla produzione di cocaina e sul traffico globale, i cartelli messicani hanno ampliato le loro attività coinvolgendo anche il commercio di oppiacei e la produzione di metanfetamine.
Dalla loro evoluzione storica alla loro struttura gerarchica e territoriale, questi ultimi rappresentano una sfida significativa, non solo per le autorità locali ma per l’intera comunità internazionale.
Si prenda il recente caso del fentanil. Viene definita come la minaccia farmaceutica più grande e più urgente degli Stati Uniti. Due milligrammi di fentanil sono considerati per chi lo consuma una dose potenzialmente letale. Il suo commercio illegale è in costante aumento negli States. Gli oltre 79 milioni di pillole di fentanil sequestrate dalla DEA (Drug Enforcement Administration) nel 2023 sono quasi il triplo di quelle sequestrate nel 2021. Nel novembre 2023, i due leaders statunitense e cinese Biden e Xi Jinping raggiunsero un accordo per limitare l’esportazione di sostanze chimiche precursori, utilizzate per la produzione di fentanil, e la Cina promise di aumentare la cooperazione con gli Stati Uniti per contrastare il traffico di tale oppiaceo.
I cartelli messicani si sono quindi inseriti nel florido affare, costruendo partnership reciprocamente vantaggiose con aziende chimiche aventi sede in Cina, per ottenere gli ingredienti necessari per produrre “in house” farmaci sintetici. In più, lavorano anche in collaborazione con organizzazioni cinesi di riciclaggio di denaro per trasformare i proventi della droga, utilizzando sempre più le criptovalute.
La produzione di oppio di fine Ottocento
Per individuare il primo mercato di stupefacenti si deve risalire alla fine dell’Ottocento e all’inizio del Novecento, quando in Messico era legittimo e comune il consumo di preparati a base di oppio o marijuana, che potevano essere venduti in farmacia per scopi medicinali. Secondo lo storico Luis Astorga: “l’uso dell’oppio, sotto forma di laudano e altri composti oppiacei, era legittimo e consuetudinario. I vini di coca e le sigarette di marijuana erano tra i prodotti normalmente offerti nelle farmacie”.
Dall’inizio del secolo scorso discendono anche le registrazioni statistiche nella flora di Sinaloa, una regione geografica situata nel nord-est costituita in Stato della Federazione, dell’esistenza del papavero da oppio (da cui oppio, eroina e morfina, ampiamente utilizzati come sedativi) e prima ancora di cannabis da cui estrare marijuana. Gli immigrati cinesi arrivarono in Messico nelle ultime decadi dell’Ottocento-inizio del nuovo secolo per costruire la ferrovia e sfruttare le miniere, prima in Baja California e poi a Sinaloa, nel grande scalo portuale di questo territorio, Mazatlán, traendo con sé costumi ed usi.
Tra questi spiccava il consumo dell’oppio inalato attraverso il fumo. Iniziò la coltivazione della pianta grazie alle condizioni climatiche favorevoli nella regione. In quella città sarebbero poi sorte le prime fumerie d’oppio, che presto avrebbero proliferato in tutto il paese, così come si espanse la semina dei semi di papavero. Non vi era però allora discredito sociale. Sui quotidiani veniva indicata la “oppiomania come un vizio elegante, costoso, sontuoso, aristocratico”.
Le guerre dell’oppio in Cina
Si trattò dell’inizio di una sorta di contrappasso per gli occidentali, seppure i messicani nella storia che brevemente vi illustreremo nulla avessero a che fare. L’oppio era conosciuto dai cinesi poiché lì introdotto secoli prima da mercanti arabi. Era denominato “spezia nera”, ed utilizzato per curare malattie, rinvigorire il desiderio sessuale, lenire dolori, ma le autorità cercavano di vietarne l’utilizzo ricreativo.
Nel 1729 il dilagare della dipendenza nella popolazione aveva indotto l’imperatore Yongzheng a proibirne la vendita e l’uso, permettendone l’importazione solo a fini terapeutici. Nel 1810 la dinastia Qing emanò un decreto che vietava la gomma da oppio e puniva con la pena di morte chi la vendeva. Gli inglesi però lo producevano nella colonia delle Indie. Poiché la legge britannica ne vietava il commercio in patria e nelle colonie, cercarono forzatamente di esportarlo in Cina, attraverso contrabbandieri locali.
Nella primavera del 1839 fu inviato a Canton – la porta di accesso del traffico – il commissario imperiale Lin Zexu. La sua lotta senza quartiere al commercio illegale portò a forti frizioni con i mercanti inglesi e le forze militari di Sua Maestà lì schierate, tanto che nell’estate del 1840 ebbe inizio la prima Guerra dell’Oppio, che condusse – tra l’altro – la marina britannica ad occupare l’allora piccolo borgo di Shanghai. Nell’agosto del 1842 la guerra fu malamente persa dai cinesi, che subirono quelli da loro definiti “trattati ineguali”. Il Trattato di Nanchino comportò il versamento di una elevatissima somma di dollari d’argento nonché dazi fissi per l’importazione di merci straniere, con annessa apertura dei porti alle navi inglesi, e la cessione dell’isola di Hong Kong.
Le Guerre dell’oppio secondo una vignetta dell’epoca
Mercè la debolezza dell’impero cinese, nel 1856 scoppiò una seconda guerra dell’oppio, con il pretesto della morte di un missionario francese e l’arresto dell’equipaggio di una nave inglese accusata di pirateria. Anche questa si concluse con la sconfitta cinese e la coartata apertura alla libera circolazione di merci, mercanti e missionari stranieri, esenzioni doganali e dulcis in fundo la legalizzazione dell’oppio. Di interesse per la nostra storia messicana segnalare che a partire dal 1890 si sviluppò una produzione interna cinese nella regione dello Yunnan, cosa che per altro fece cessare l’importazione dall’India ed evidentemente sviluppò le capacità di quei contadini cinesi che si erano trovati ad emigrare verso il centro-America e lì importarono la coltivazione.
Nei primi anni del Novecento proseguì l’azione di contrasto all’oppio, sotto la spinta di Hamilton Wright, un politico radicale dell’Ohio puritano e ambizioso, nominato nel 1908 commissario per l’oppio degli Stati Uniti, che individuò la minaccia come esterna, chiedendo agli USA di diventare leader della campagna globale contro la produzione e il consumo di droga, sì da convincere il presidente Theodore Roosevelt, che nel 1909 convocò la Conferenza di Shanghai, riunendo i rappresentanti di 13 paesi (oltre gli stessi Stati Uniti tra gli altri parteciparono Cina, Giappone, Francia, Regno Unito e l’Italia) preoccupato dal fatto che la Cina era nel frattempo diventato il principale produttore di oppio, e con lungimiranza si ravvisava la necessità di una iniziativa internazionale contro il traffico di droga.
Seguì nel 1912 all’Aja la Convenzione Internazionale sull’oppio (tra i firmatari anche l’Italia), che stabilì norme per il controllo della produzione e della vendita di morfina, cocaina e dei loro derivati, e istituì un sistema statistico supervisionato dall’Organo internazionale per il controllo degli stupefacenti. Gli Stati firmatari si impegnarono a fare “ogni sforzo per controllare o fare controllare tutti coloro che fabbricano, importano, vendono, distribuiscono ed esportano la morfina, la cocaina e i loro rispettivi sali, nonché gli stabilimenti dove queste persone esercitano tale industria o commercio” e a proibire l’esportazione di tali sostanze verso i Paesi che ne avessero fatto specifico divieto. Tra questi vi era il Messico, che partecipò e ratificò i trattati proposti. La Convenzione fu incorporata nel 1919 dal Trattato di Versailles, da cui, come noto, nacque la Società delle Nazioni.
Cosa comportò questo per il Messico? Il presidente Venustiano Carranza (1917-1920) cercò di vietare il traffico di oppio in Bassa California, confinante con la California statunitense. Esteban Cantú, il governatore dello Stato (ricordiamo che il Messico è una federazione), era però legato alla criminalità organizzata e ad attività illegali come la prostituzione, il gioco d’azzardo e il traffico di droga, destinata proprio al mercato statunitense. I presidenti Álvaro Obregón (1920-1924, soprannominato El General Invencible, un rivoluzionario già braccio destro di Carranza con il quale entrò poi in contrasto) e Plutarco Elías Calles (1924-1928) perseguirono lo stesso obiettivo.
Il primo vietò l’ingresso di qualsiasi sostanza stupefacente nel Paese e ordinò la costruzione di una base aerea a Ciudad Juárez per impedire il contrabbando alla frontiera con gli Stati Uniti, mentre il secondo vietò lo spaccio di eroina e marijuana, proibendo l’importazione dell’oppio. Ciò perché comunque venivano sequestrati quantitativi ingenti di tale sostanza, il che fa ritenere che sussistessero contatti degli immigrati cinesi con il paese d’origine per favorire l’importazione. Per altro, nei primi anni del divieto del commercio legale, le farmacie gestite da messicani proseguirono la vendita di sostanze divenute illegali, come la marijuana prodotta in loco a livello quasi industriale.
Un censimento del 1930 registra su scala nazionale un totale di 4.142 cinesi impegnati in attività agricole, di cui 509 erano proprietari di un campo coltivabile o di una fattoria. I cinesi, quindi, continuavano ad avere la terra, la manodopera e le conoscenze per la produzione del papavero e la sua trasformazione in oppio. In quegli anni proprio da Sinaloa si sviluppò poi il traffico verso gli Stati Uniti, grazie ai legami che permisero alla comunità cinese di intessere una rete di contatti che facilitò il passaggio della frontiera, e la vendita ai compatrioti che si trovavano dall’altra parte. Questo rese tale comunità la prima esportatrice di oppio negli USA.
Ignacia Jasso
Quindi: coltivazioni e vendita sia di oppio che di marijuana. Per questo secondo prodotto (genericamente definito yerba) è interessante notare che nel periodo antecedente la Seconda guerra mondiale a capo di gruppi criminali vi erano delle donne. Felisa Velázquez era soprannominata la Reina de la marihuana, gestendo lo spaccio nei quartieri centrali della capitale; María Dolores Estévez Zulueta, detta Lola la Chata, da venditrice di chicharrones e caffè si trasformò in una trafficante, mentre il commercio sulla frontiera con gli Stati Uniti era gestito da Ignacia Jasso, alias La Nacha.
L’espulsione dei produttori cinesi dall’affare dell’oppio
Intanto, mentre la coltivazione di yerba ed il suo commercio rimanevano saldamente in mano ai messicani, era giunto evidentemente il momento di espellere i cinesi dall’affare dell’oppio. Per ottenere ciò, venne sfruttato l’odio razziale per mobilitare la popolazione, che peraltro lo esercitò a tali livelli di crudeltà da raggiungere il grado di una vera e propria pulizia etnica. Aumentò l’antagonismo nei confronti dei cinesi, accusati di immoralità proprio a causa del commercio di oppio. Il razzismo fu incoraggiato da eminenti politici e naturalmente sostenuto dai criminali indigeni.
La tensione razziale esplose nelle strade. Fu così che i messicani – liberatisi dei cinesi – iniziarono a dominare la coltivazione ed il traffico di droga dalla Sierra Madre fino alle città di confine. Sul fronte del contrasto, la precarietà dello Stato di diritto (le autorità locali non solo tolleravano, ma regolamentavano o proteggevano le attività criminali in cambio di vantaggi economici e della subordinazione politica dei nuovi imprenditori criminali) facilitò la corruzione che i trafficanti iniziarono a praticare agevolmente, e la partecipazione di propria iniziativa di vari organi politici e agenti di polizia nel mercato illegale della droga. Fu così che Il traffico iniziò a svilupparsi come l’espressione più forte del crimine organizzato in Messico, basato su organizzazioni impegnate principalmente nell’esportazione di marijuana e oppio negli Stati Uniti.
La Seconda Guerra Mondiale portò paradossalmente un aumento della produzione di oppio e del suo derivato morfina, poiché le necessità curative belliche erano tali che l’industria farmaceutica statunitense era impegnata nell’inviare al fronte le scorte, e dal Messico parve opportuno aumentare la fornitura nel mercato illegale. Fiutò l’affare un gangster di primissimo piano, Benjamin “Bugsy” Siegel, socio in gioventù dell’altrettanto noto Meyer Lansky, figure cui si ispirò Sergio Leone per il film C’era una volta in America. Il governatore Rodolfo Loaiza iniziò a contrastare il traffico. Alle due di notte del 21 febbraio 1944, nel gran salone dell’Hotel Belmar, a Mazatlán, Sinaloa, durante i festeggiamenti del carnevale, fu il sicario El Gitano (vero nome Rodolfo Valdez Valdez), che lavorava per Siegel, a sparare mortalmente al politico, mentre questi ballava con una reginetta di bellezza.
Il boom della marijuana e la prima organizzazione dei trafficanti di Sinaloa
Come detto, accanto alla costante coltivazione e produzione dell’oppio e dei suoi derivati si deve porre del pari quella di marijuana: il boom del suo consumo negli anni ’60 e ‘70 dello scorso secolo fu il più potente catalizzatore del traffico di droga nel paese. Parliamo di un periodo di profondo sconvolgimento sociale e politico, una rivoluzione culturale che trasformò i valori morali conservatori e rigidi della società americana. L’aumento del consumo di marijuana fu un fenomeno che esprimeva ribellione e ricerca di un “nuovo modo di vivere”.
E naturalmente i trafficanti messicani ne trassero enorme vantaggio, contestualmente facendo un significativo salto di qualità dal punto di vista organizzativo. Le condizioni economiche, sociali e politiche delle campagne messicane impoverite ed abbandonate dallo Stato facilitarono l’inserimento di migliaia di famiglie contadine nel mercato illegale della yerba, così come molte altre avevano già fatto con il papavero. All’inizio degli anni ’70, la produzione di papavero e marijuana era comunque ancora concentrata nella Sierra de Sinaloa o nel cosiddetto Quadrilatero d’Oro, una regione della Sierra Madre compresa tra i confini di Durango, Sonora, Chihuahua e Sinaloa. Nel 1978, alcuni trafficanti crearono un’enclave a Jalisco come roccaforte naturale, ma la dispersione comprendeva anche gli stati di Sonora, Baja California, Michoacán, Guerrero e il sud-est.
Fu in questi anni che si ebbe la necessità di sviluppare una organizzazione efficiente per la direzione ed il coordinamento di una catena di produzione in grado di consegnare tempestivamente le tonnellate di marijuana e oppio richieste dai loro clienti ai distributori in tutti gli Stati Uniti. Vi era necessità di risorse finanziarie, logistiche, informative, nonché sofisticati processi organizzativi che non tutte le singole aziende o i produttori potevano avere.
La sfida che si presentava era quella di avere un’organizzazione ai principali valichi di frontiera ed in tutti gli stati di produzione, provvedendo ad una distribuzione geografica dispersiva delle coltivazioni, in risposta alla politica di eradicazione sponsorizzata dagli Stati Uniti per il tramite prima della così detta Operación Cooperación e successivamente Cóndor. Furono i trafficanti di Sinaloa a realizzare una tale impresa commerciale, sviluppando uno schema di partecipazione e controllo, stabilendo alleanze con politici locali delle varie regioni e con gangster cubani e statunitensi che avevano maggior esperienza in attività criminali, espandendo il business con l’uso della violenza nei riguardi dei competitors.
Da Gallardo al Chapo Guzman, entrano in gioco le organizzazioni “federate”
Pablo Escobar (a sinistra) e Miguel Gallardo, El Padrino
Fu in questo contesto che emerse la figura di Miguel Ángel Félix Gallardo, che sarà noto come El Padrino. L’Operación Cóndor spinse questo ex poliziotto da Sinaloa a Guadalajara, consentendogli di fatto di estendere più a sud gli affari. Il Cartello da lui creato e guidato in tandem con Ernesto Fonseca Carrillo (don Neto) prese il nome della città di elezione, seppure fosse formato da criminali sinaloensi, godendo naturalmente della consueta rete di protezione politica e di polizia.
Egli unì diverse organizzazioni criminali in una federazione, nell’ambito della quale ogni famiglia controllava la sua area geografica, le sue aree di produzione di marijuana e papavero, i suoi sistemi di trasporto e di attraversamento della droga negli Stati Uniti, la sua polizia. Nel frattempo, era iniziato dalla Colombia un formidabile commercio di cocaina negli States, una droga “da discoteca” consumata dalla popolazione bianca, con la fallace parvenza di essere pulita, affascinante, sexy e alla moda.
Stante la guerra senza quartiere delle amministrazioni di contrasto USA, Gallardo fu capace di creare un ponte tra il Sud America e gli Stati Uniti, negoziando con trafficanti di droga colombiani come Pablo Escobar, boss del Cartello di Medellín, poiché questi erano forzati a sviare il traffico dalla via del Caribe (destinazione Florida) per transitare attraverso il Messico, che divenne il principale fornitore di droga per gli Stati Uniti. Da un iniziale mero apporto logistico ben remunerato, l’accordo divenne alla pari.
L’organizzazione messicana iniziò però a dividersi alla fine degli anni ’80, soprattutto a causa delle conseguenza del feroce omicidio all’inizio del 1985 dell’agente statunitense della DEA di origini messicane Enrique Kiki Camarena e di Alfredo Zavala, un pilota di aereo del Ministero dell’Agricoltura che volando per il suo lavoro sopra un ranch di proprietà di Rafael Caro Quintero (capo della “Divisione Marijuana” dell’organizzazione di Sinaloa) scoprì una vastissima piantagione di cannabis e lo riferì all’agente della DEA, perché non si fidava delle autorità messicane. Si innescò una vera e propria crisi binazionale: forse il punto più basso nelle relazioni tra Stati Uniti e Messico.
L’indignazione internazionale seguita alle torture ed all’assassinio a Guadalajara di Camarena e del suo confidente Zavala portò ad una caccia ai killers che fu definita la più grande nella storia della DEA, ed alla contestuale pressione degli Stati Uniti sul governo del Messico per combattere efficacemente il traffico di stupefacenti, spingendolo a riorganizzare ed espandere le forze di polizia federali, ivi compresa la ristrutturazione della Direzione federale della sicurezza. Ciò segnò anche la fine di un perverso modello di gestione pattizia della criminalità organizzata da parte dello Stato. La sentenza ufficiale di condanna per Gallardo arrivò ben 32 anni dopo gli omicidi.
Il frazionamento e la lotta tra organizzazioni
“El Chapo” Guzman
Il combinato degli eventi comportò il frazionamento in più organizzazioni (Tijuana, Juárez, Sinaloa, Mexicali, Nogales) e la nascita di nuove (El Golfo-Zetas, La Familia di Michoacán). L’accordo preso dopo la caduta di Gallardo – un cartello per ciascuna città – non resse: presto tra i sinaloensi si scatenò una battaglia che portò alla divisione in due del gruppo originale e durò una ventina di anni. Da una parte Joaquín El Chapo Guzmán Loera, con i suoi soci Ismael El Mayo Zambada Garcia, la famiglia Beltran Leyva, Héctor Luis Palma Salazar, detto El Güero, che formarono il Cartello di Sinaloa, e dall’altra i nipoti di Félix Gallardo e la famiglia Arellano, che operavano da Tijuana e si avvalsero dei narcojuniors, ovvero sicari di una ventina di anni d’età, reclutati da buone famiglie.
Una caratteristica sociale quest’ultima che indusse alla conclusione che mai in precedenza i trafficanti di droga si erano infiltrati nell’alta borghesia di una città. Un episodio rimasto nella memoria dei messicani è quello del 24 di maggio del 1993 in un parcheggio antistante l’aeroporto di Guadalajara, allorquando uno scontro a fuoco tra le due bande costò la vita per cause mai del tutto chiarite al cardinale Juan José Posadas Ocampo: ucciso per il suo impegno contro i narcos o perché la vettura sulla quale viaggiava fu scambiata per quella del Chapo Guzmán? Fatto sta le che le Autorità federali e statali si posero alla caccia degli Arellano, montando la operación Ciudades, che fece sì che i fratelli fecero perdere le loro tracce per cinque anni.
Nell’altra fazione (denominata anche organización del Pacífico) pure El Chapo fu incarcerato nel 1993, seppure il regime di detenzione non possa dirsi fosse dei più duri. Comunque, all’inizio del 2001 attuò la prima rocambolesca fuga dal carcere. Per inciso fu poi protagonista in moto di un’altra fuga da un tunnel scavato sin sotto la sua cella. Attualmente è detenuto in un carcere di massima sicurezza negli Stati Uniti. Decaduti gli Arellano, nuovi scontri si iniziarono tra i sinaloensi con il Cartello del Golfo, basato nello stato di Tamaulipas (Nuevo Laredo) e sostenuto dal violentissimo gruppo paramilitare degli Zetas. Negli anni successivi il combattimento si acutizzò, sino a che – al compimento degli 80 anni di attività ininterrotta del narcotraffico – l’ascesa alla presidenza della Federazione di Felipe Calderón a fine 2006 portò ad una apparente più convinta lotta delle Autorità al narcotraffico, militarizzandola mediante l’intervento dell’Esercito e della Marina.
Ciò poiché la delinquenza organizzata si era innalzata da pur gravi forme corruttive ad un livello che gli studiosi del fenomeno hanno indicato come vera e propria “cattura dello Stato”, che aveva fatto saltare i patti con le Autorità territoriali (Federazione, stati, municipalità): oramai i gruppi criminali erano giunti attraverso l’uso della forza a trasformare i propri interessi negli interessi della società nel suo insieme, con la connessa soppressione dello Stato democratico di diritto.
Ma questa rottura pattizia tra Stato e Cartelli portò ad una escalation di violenza senza pari, con un elevatissimo numero di omicidi, contati in migliaia, dovuti al confronto tra organizzazioni tra di loro (i Beltrán Leyva lasciarono El Chapo per allearsi con gli Zetas, che a loro volta abbandonarono il cartello del Golfo per mettersi in proprio nel traffico verso gli USA) e tra queste e le forze federali e statali.
Il risultato fu che all’inizio della seconda decade del nuovo Millennio, Il paese si trovò in una situazione di violenza inaudita, caratterizzata da diversi conflitti tra numerose organizzazioni criminali, che hanno continuato il processo di frammentazione iniziato alla fine degli anni ’80. Il resto è storia di oggi. Il confronto è tra le due principali organizzazioni criminali: lo storico Cartello di Sinaloa e Il Cartello Jalisco Nueva Generation (CJNG), sviluppatosi dal 2011 dai resti di una costola dei sinaloesi, che ha guadagnato potere rapidamente.
Il beffardo ripetersi della storia
Ciò che traspare da un approfondimento sull’evoluzione delle feroci organizzazioni criminali messicane dedite al traffico di stupefacenti e la loro minaccia contrastata con grande forza dagli USA (anche per via della più recente introduzione del micidiale fentanil negli States) indica una beffarda lezione. La segnalata alleanza dei Cartelli con la chimica illegale e il riciclaggio cinese a più di due secoli di distanza dalle guerre occidentali dell’oppio e dalla lotta senza quartiere a tale derivato del papavero poi condotta dall’Amministrazione statunitense ci insegna che la storia torna a ripetersi con gli stessi protagonisti, sia che essi portino gli abiti di campesinos messicani e cinesi del tardo ottocento o che siano violenti tagliagole che seminano il terrore tra le strade e chimici in camice bianco, impegnati nei laboratori per preparare derivati oppiacei e metamfetamine.
BIBLIOGRAFIA
- L. Astorga, El siglo de las drogas, El narcotráfico, del Porfiriato al nuevo milenio, Plaza y Janés, México, 2005
- G. Valdés Castellanos, Historia del narcotráfico en México, Santillana Ediciones Generales, México, 2013
- Drug Enforcement Administration, National Drug Threat Assessment 2024