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Carlos Caszély e Jorge Carrascosa: dire no ai dittatori
Gli anni Settanta sono stati anni “caldi” della Guerra fredda: la fine della rivalità tra le due Superpotenze è ancora lontana e sembra non voler finire. Il Mondo è sempre sul chi va là, conscio del fatto che la guerra nucleare tra Stati Uniti d’America e Unione Sovietica è sempre in agguato. A rendere ancora più duri quegli anni sono anche le vicissitudini di alcuni Paesi che sono schierati con l’una o con l’altra parte. In particolare gli anni Settanta in Sudamerica, considerato da sempre il “giardino” degli Usa, la Guerra fredda vanno a braccetto con una grande confusione sociale, economica e politica che portano in quella parte di Mondo diversi governi autoritari e dittatoriali attraverso colpi di stato più o meno cruenti che rovesciano i governi in carica. I due casi più emblematici sono il Cile e l’Argentina, due Paesi confinanti che nel giro di tre anni vedono al potere due dittature sanguinarie.
Durante rispettivamente diciassette (1973-1990) e sei anni (1976-1983), le dittature di Augusto Pinochet e della Junta militar guidata dal triumvirato Videla-Massera-Agosti prima e da altri tre “giunte” fino al 1983, passano alla storia come due tra le più cruente dittature del secondo dopoguerra. Per tanti anni Santiago del Cile e Buenos Aires devono fare i conti con questi due regimi che mettono al bando la libertà dei propri cittadini, chiudendo tutti i partiti di opposizione, i sindacati, le televisioni, i giornali, le radio e perseguitando gli oppositori attraverso arresti, torture, sparizioni e uccisioni. Nonostante il periodo crudo e buio, due calciatori non hanno abbassato la testa e hanno detto “no” a queste dittature: il cileno Carlos Humberto Caszély e l’argentino Jorge Carrascosa. Vediamo per cosa sono ricordati, partendo innanzitutto da come si sono imposte nei loro Paesi le due dittature.
11 settembre 1973: l’attacco alla Moneda. Muoiono Allende e la democrazia cilena. Inizia il regime di Augusto Pinochet
Nel 1970 in Cile si tengono le trentatreesime elezioni presidenziali della storia del Paese: essendo una repubblica presidenziale, i cittadini sono chiamati alle urne per eleggere il nuovo Capo dello Stato. Si sfidano Salvador Allende di Unidad Popolar (partito di ispirazione marxista ed erede del Fronte di Azione Popolare scioltosi un anno prima), l’ex presidente Jorge Alessandri del nazionalista e conservatore Partido Nacional e Radomiro Tomic, espressione del Partito Democratico Cristiano del Cile, movimento cristiano-sociale.
Nelle precedenti elezioni, tenutesi nel 1964, a sfidarsi sono lo stesso Allende e Eduardo Frei, esponente del Partido Democratico Cristiano del Cile, con la vittoria di quest’ultimo. Se sei anni prima Frei vince con il 56% dei voti, ora la situazione è un po’ complicata perché nessuno dei tre candidati ha la maggioranza assoluta e, in base ad un regolamento costituzionale, è il parlamento a sceglie il futuro presidente tra i primi due più votati, ovvero Allende e Alessandri (già presidente tra il 1958 ed il 1064): a vincere (con 153 voti contro 35 e 7 astenuti) è Allende.
Union popolar ottiene il 36 % dei consensi e per la prima volta in Sud America (il cosiddetto “giardino” degli Stati Uniti) un partito di chiara ispirazione marxista vince una tornata elettorale. Per Washington quella vittoria, legittima, è vista come il fumo negli occhi: è forte la paura che dopo l’Asia. anche il Sud America possa subire l’”effetto domino”, ovvero via via un Paese dopo l’altro può cadere sotto il controllo comunista mettendo in difficoltà il Mondo occidentale. Il Cile ha però una particolarità: è l’unico Paese sudamericano dove c’è una democrazia consolidata e dove mai sono apparsi segnali antigovernativi.
La politica di Allende è definita “la vìa chilena al socialismo” (la via cilena al socialismo), ovvero permettere al Cile di raggiungere i dettami del socialismo reale attraverso una serie di politiche che avrebbero portato il paese a diventare il faro del socialismo nel Mondo, strizzando sempre più l’occhiolino a Mosca. Il governo nazionalizza tante imprese (soprattutto quelle del rame, la fonte primaria di ricchezza del Cile), attua una riforma del sistema sanitario, una nuova riforma agraria e scolastica. Queste politiche portano, nel giro di due anni, ad un malcontento generale soprattutto dai proprietari terrieri, dalla chiesa e dalle forze di destra.
I primi due anni della presidenza Allende sono molto positivi, ma a partire dal 1973 il Paese sudamericano entra in crisi tra inflazione in risalita e la difficoltà di reperimento di molti beni alimentari di prima necessità e calarono le esportazioni. La luna di miele tra Allende ed il popolo sembra essere già terminata, con l’inizio di un’ondata di scioperi. Eppure alle elezioni parlamentari del 1973 l’Up arriva al 43% dei consensi, anche se i cristiano-sociali (che nel 1970 avevano votato Allende presidente grazie a quell’accordo accordo parlamentare) si avvicinano al Partito Nazionale dando il via alla Confederazione Democratica.
La mattina del 29 giugno 1973 succede un qualcosa di particolare per le vie di Santiago del Cile: una serie di carri armati si muove per le vie della capitale e circonda il Palazzo della Moneda, sede della presidenza del Paese. Alla guida di quell’azione (chiamata “Tanquetazo”) c’è colonnello Roberto Souper Il tentativo dura poche ore e i rivoltosi sono arrestati. Il 9 agosto Allende nomina il generale Carlos Prats ministro della Difesa che diventa vice-Presidente. Il 22 agosto Prats si dimette da ministro e da comandante dell’esercito a seguito di un increscioso episodio automobilistico. Al suo posto Allende nomina Augusto Pinochet, il militare che ha contribuito alla resa dei rivoltosi del “tanquetazo”.
Pinochet, quarantasettenne comandante dell’esercito cileno dal 23 agosto 1973 dopo che da un anno è nominato capo di stato maggiore, si è sempre contraddistinto come uno dei militari più fedeli alla patria. Eppure, nonostante le tante medaglie ed una fede di ferro verso le istituzioni, la mattina dell’11 settembre 1973 Augusto Pinochet guida un colpo di stato che rimuove Salvador Allende dalla guida del Paese. Il Palazzo della Moneda è bombardato dalle forze golpiste. Allende non si consegna ai golpisti e lotta fino alle fine, annunciando per via televisiva e radiofonica che non avrebbe lasciato la Moneda e avrebbe combattuto con tutte le sue forze contro i golpisti. Allende resiste fino all’ultimo, indossando anche un caschetto protettivo ed impugnando anche un fucile AK-47 regalatogli dal leader cubano Fidel Castro.
In quel colpo di stato, che durò tra le ore 06:30 e le ore 14, si è sempre pensato che dietro ci fosse la longa manu del governo americano (allora guidato dal Presidente Richard Nixon e dal suo Segretario di Stato Henry Kissinger) in quanto Washington non voleva che nel suo “giardino” potessero instaurarsi regimi comunisti vicini a Mosca. Ed il golpe cileno rientra in quella che è stata l’”operazione Condor”; una serie di operazioni che riguardano nei primi anni Settanta Uruguay, Paraguay, Perù, Argentina, Brasile, Bolivia e, appunto, Cile affinché si affermino regimi militari vicini agli USA attraverso regimi antidemocratici che perseguitano le opposizioni attraverso torture, arresti e sparizioni degli oppositori stessi.
A guidare il Paese una sorta di quadrumvirato con a capo della giunta militare il capo dell’esercito (Augusto Pinochet), il capo dell’aeronautica (Gustavo Leigh), il capo della marina (Toribio Merino) ed il capo dei “carabineros”, Carlos Mendoza. E’ sospesa la Costituzione, è sciolto il parlamento, tutti i partiti sono banditi come tutta la stampa e sparisce la libertà. Il regime di Pinochet è improntato sin da subito su un cambiamento radicale delle politiche economiche che diventano totalmente liberiste e molte vicine agli Stati uniti d’America, il Paese da sempre in aiuto del Cile e di quella parte di Mondo.
Il regime agisce contro gli oppositori tanto da instaurare un regime di paura e terrore con l’arresto degli anti-pinochetisti e la loro carcerazione non solo nelle prigioni di stato ma anche negli stadi (in particolare dentro lo stadio Nazionale di Santiago del Cile). Sino perseguiti gli oppositori e i membri dei movimenti rivoluzionari di ispirazione comunista e marxista come il MIR. Sono chiusi giornali, radio e collettivi di sinistra. La paura è il marchio di fabbrica del regime di Pinochet. Lo sdegno internazionale fu enorme e il Paese interruppe le relazioni con tantissimi Stati, in particolari quelli affini alla sfera di Mosca.
La dittatura militare dura fino all’esito del plebiscito del 5 ottobre 1988 quando un referendum, indetto dallo stesso generale seguendo la costituzione cilena del 1980, stabilì che i cileni avrebbero deciso loro se continuare o meno…con il regime: vinse il “no” con il 56% dei voti ed i cileni si espressero in favore di un ritorno della democrazia. Democrazia che effettivamente torna con le elezioni del 14 dicembre 1989 quando le elezioni presidenziali sono vinte da Patricio Aylwin della coalizione di centro-sinistra della “Concertación” mentre le elezioni parlamentari (tenutesi lo stesso giorno) vedono il successo del Partito Democratico Cristiano del Cile (di ispirazione cristiano sociale) ottenere la maggioranza relativa alla Camere e al Senato.
Carlos Caszély, il “re del metro quadro”: dalla “partita fantasma” al video per il “no” a Pinochet
Carlos Humberto Caszély è un “hijo del pueblo” (trad. figlio del popolo). Nato a Santiago del Cile il 5 luglio 1950, è figlio di un ferroviere di origine ungherese e di una donna della classe media cilena. Carlos ama il calcio ed è particolarmente bravo, anche se fisicamente non è un gigante. In Cile, nel Cile degli anni Sessanta, se si è forti si va a giocare nella squadra più forte e più nota del Paese, una squadra che ha sede nella capitale e che si chiama come il più famoso guerriero mapuche che ha combattuto contro l’esercito spagnolo: il Colo-Colo.
Nel 1967 Caszély entra far parte della prima squadra e nel 1970 vince il suo primo titolo nazionale. 1970, un anno importante per il Cile: Salvador Allende vince le elezioni presidenziali e Caszély è un suo fervido sostenitore. Caszély pensa che Allende farà il bene del Paese. Caszély è determinante ed il Colo-Colo vince anche il titolo nel 1972. Tra l’altro ancora prima di vincere il primo titolo nazionale della sua storia, Caszély è anche convocato in Nazionale: la Roja è una buona selezione a livello continentale (dove conta due finali di Copa America e quattro terzi posti), ma a livello mondiale ha ottenuto come miglior risultato solo il terzo posto nel Mondiale ospitato in casa nel 1962.
Nel 1973 il Colo-Colo diventa la prima squadra cilena ad arrivare in finale di Copa Libertadores, la Coppa dei Campioni sudamericana: a sfidarlo l’Independiente de Avellaneda che si impone alla terza partita sul neutro di Montevideo. Prima del match di andata del 22 maggio giocato al “Libertadores”, Allende incontra la squadra presso il consolato cileno a Buenos Aires e si fa ritrarre abbracciato a Caszély. Nella stagione 1973/1974 Caszély lascia il Colo-Colo per andare a giocare nel Levante, la seconda squadra di Valencia, allora militante in Segunda División, dove vi rimase due stagioni. Caszély è in Spagna quando Pinochet prende il potere.
Non qualificata per il Mondiale messicano del 1970, la Roja è in lotta per qualificarsi al Mondiale tedesco occidentale del 1974. La Nazionale guidata dal Commissario tecnico Luis Álamos (e con Caszély faro dell’attacco) si classifica al terzo posto nel girone Conmebol dietro a Argentina e Uruguay (il Brasile è campione uscente e quindi qualificato di diritto). La regola (un po’ astrusa del tempo) prevede che la terza qualificata del girone sudamericano avrebbe giocato un play off qualificazione contro la vincitrice del girone 9 Uefa composto da Francia, Irlanda e Unione Sovietica. A vincere il girone sono i sovietici.

A giocarsi un posto tra le 16 finaliste di quel Mondiale ci sono i vice-campioni d’Europa dell’Unione sovietica, una delle Selezioni più forti al Mondo, e i cileni. La partita di andata si gioca a Mosca il 26 settembre 1973 allo stadio “Lenin”, mentre quella di ritorno il 21 novembre 1973 allo Stadio Nazionale di Santiago del Cile. Per la prima volta nel calcio, durante una qualificazione mondiale, la Guerra fredda entrò in tackle: da una parte, il Cile, guidato dal generale Pinochet a capo di una giunta militare autoritaria e dittatoriale, dall’altra l’Unione sovietica, nemica acerrima di un regime come quello cilena.
L’andata in Europa termina 0-0 e quindi il ritorno avrebbe deciso quale Nazionale sarebbe partita per la Germania ovest. Mosca impedisce ai propri calciatori di partire per il Sudamerica, in quanto il Cile era un paese nemico con cui, dal 12 settembre 1973, ha interrotto ogni relazione diplomatica. I motivi del rifiuto sono prettamente due: giocare in un Paese guidato da un dittatore sanguinario ed in uno stadio che si dice essere un campo di concentramento con oppositori torturati, arrestati e uccisi.
Per fugare ogni dubbio, due emissari della FIFA, la Federcalcio mondiale che organizza i Campionati mondiali, sono inviati a Santiago per monitorare la situazione nel Paese e nello stadio: il vice-Presidente Abilio de Almeida ed il segretario generale Helmuth Kaeser segnalano che tutto va bene anzi c’è “tranquillità totale”. In pratica, la Santiago del Cile del 1973 è come la Berlino del 1936 quando emissari del CIO andarono nel Paese guidato da tre anni da Hitler per vedere se era davvero un Paese liberticida, razzista e oppressivo. L’Unione sovietica non ci sta ancora e chiede che la partita venga giocata in un altro impianto cileno oppure in campo neutro in Germania Ovest, Paese ospitante del Mondiale. Pinochet rifiuta e dice che la partita di deve giocare a Santiago del Cile.
Il regolamento impone che le due squadre devono presentarsi sul campo: chi non si presenta, perde 2-0 a tavolino. L’Unione Sovietica, allora guidata in panchina dal Ct Gorjanskij ed in campo dal talentuoso Oleg Blochin, non si presenta e quindi i padroni di casa vincono a tavolino e sono qualificati per il Mondiale. Si decide però che dovrà essere segnato un gol. Sarà un gol simbolico visto che il portiere avversario, Alyosha Abrahamyan, non c’è. L’undici cileno si muove verso la porta avversaria e a pochi metri dalla porta, dopo che la palla è passata tra i piedi di tutta la quadra, c’è da segnare il più facile dei gol. A chi il compito?
L’ultimo a toccare la palla è proprio Caszély che ha tra i piedi anche un appuntamento con la storia e anche con la politica: il Cile dopo due edizioni avrebbe giocato il Mondiale e la Nazionale cilena ne sarebbe uscita bene in un incontro surreale a dimostrare che i sovietici sono stati dei codardi e dei mistificatori, accusando ingiustamente la giunta pinochetista di commettere efferatezze. Caszély vorrebbe calciare la palla fuori come segno di protesta, ma ha paura che il regime possa perseguire lui e i suoi familiari e decide di passare la palla al capitano della squadra, Francisco Valdes, che segnò. Negli spogliatoi Valdés, filo-socialista come Caszély, si mette a piangere e sta male perché ha fatto una cosa spregevole. Caszély lo abbraccia e piange con lui.
Prima di partire per l’Europa destinazione Germania Ovest, la Nazionale cilena è convocata al Palazzo della Moneda per incontrarsi con il Capo dello Stato, una cosa che si fa molte volte: una sorta di buona fortuna con foto con il politico più importante del Paese. Tutta la Roja è schierata davanti a Pinochet. Il dittatore, anche per farsi buono tutti, passa in rassegna ogni giocatore e gli stringe la mano. Quando arriva davanti a Cazsely (che Pinochet conosce molto bene sia come calciatore che come persona impegnata per l’izquierda), il dittatore allunga la mano ma il giocatore non gliela stringe e passavanti. Un gesto non da poco per Caszély che, come allo stadio Nacional sei mesi prima aveva deciso di non essere parte integrante della farsa. Il gesto di Caszély fa il giro del Mondo ed il giocatore diventa un simbolo di resistenza.
Peccato che il Mondiale di Caszély e del Cile sono un disastro: la Roja, inserita nel girone con i padroni di casa, l’Australia e i tedeschi dell’Est conquista due punti e viene eliminata. Caszély ne esce davvero male in quanto nel match contro la Germania Ovest viene espulso: è il primo giocatore espulso “materialmente” in una fase finale di un Mondiale di calcio. Subito si sprecano le dietrologie per spiegare il gesto: nella seconda partita il Cile avrebbe affrontato la Germania Est e i “cugini” dei padroni di casa dal 1949 che erano guidati da un regime comunista e Caszély si sarebbe sentito a disagio giocare contro dei “fratelli”. E da quel momento e fino al 1979 Caszély non è più convocato in Nazionale: il giusto capro espiatorio che aveva causato l’eliminazione della Nazionale in un girone non complicato.
Nonostante questo, Caszély rimane in Spagna fino al 1979: dopo aver giocato due anni nel Levante, nel 1975 il “re del metro quadro” va a giocare a Barcellona, ma non nel Barça dei vari Cruijff, Neeskens, Sotil e Rexach ma nella seconda squadra della capitale catalana, l’Espanyol. Si vociferò di un interessamento del Real Madrid ma le merengues sono la squadra del dittatore Francisco Franco e non se ne fece nulla. Rifiutò anche un passaggio in Arabia Saudita, ma non accetta l’offerta per rispetto verso sua moglie che in quella parte di Mondo non avrebbe vissuto come avrebbe vissuto altrove.
Nel 1979 Caszély torna a giocare in Cile tra le file del Colo-Colo ed è convocato in Nazionale per partecipare alla Copa America: tra il 1979 ed il 1981 l’asso di Santiago vince tre classifiche marcatori della Primera División e guida la Roja fino alla finale della coppa continentale per Nazionali sudamericane che perde contro il sorprendente Paraguay di “Romerito”, ma Caszély fu nominato miglior giocatore del torneo. In Cile però Pinochet è ancora al potere anche se aveva cambiato il suo ruolo in quanto dal 1974 è diventato Presidente del Cile e nel 1981 lascia il ruolo di presidente della giunta militare (che detiene dal giorno del golpe) al comandante della marina militare José Toribio Merino.
Caszély ha ancora la possibilità di disputare un Mondiale, ancora in Europa: Spagna 1982. Il Cile si qualifica vincendo il girone sudamericano e nell’urna trova ancora una volta i tedeschi occidentali insieme ad Austria e Algeria. In Spagna il Mondiale della Roja è ancora peggio che in Germania ovest: tre partite, zero punti, tre gol fatti e otto subiti. La Germania Ovest ne fa quattro questa volta e Caszély è ancora protagonista perché nel match contro l’Austria ha la possibilità di raddrizzare la situazione con un rigore. Rigore che l’attaccante sbaglia e di fatto contribuisce all’eliminazione della squadra. Ancora una volta l’attaccante è il bersaglio della critica.
Nel 1985 in un evento pubblico Caszély e Pinochet si incontrano ancora una volta ad un evento pubblico e ancora una volta Caszély dimostra la sua personalità: i due si salutano, non si stringono la mano ed il dittatore nota che il giocatore indossa una cravatta rossa. Pinochet gli chiede del perché di quell’accessorio, lui gli risponde che la porta sempre vicino al cuore: il dittatore gli dice che se potesse gliela taglierebbe, mimando il gesto di una forbice ed usando un tono non molto pacifico.
Ma il regime di Pinochet è agli sgoccioli. Caszély si ritira nel 1986 dopo una stagione in Ecuador ed il regime di Pinochet non è più saldo come un tempo: il dittatore è ancora capo dello Stato e della giunta, ma teme che il suo potere è agli sgoccioli. E cosa fa? Nel 1988, sulla base della Costituzione, indice un referendum dove i cileni sono chiamati ad esprimersi se vogliono ancora il regime o preferiscono, in pratica, libere elezioni. Il referendum è vinto dal “NO” con 56% e nel 1990 il governo Pinochet cade e sono indette le prime elezioni democratiche dopo 17 anni.
Nel suo piccolo, Carlos Caszély contribuisce alla vittoria del “No” attraverso la sua partecipazione ad un video organizzato dal comitato per il “no”. In questo video si vede una signora seduta su una poltrona con la camicia bianca che dice che è stata sequestrata, picchiata e torturata, dicendo che se le torture fisiche sono guarite quelle morali no, dicendo che avrebbe votato “no”. Ad un certo punto entra in scena Caszely il quale dice:
“Perché la sua allegria è la mia allegria.
Perché i suoi sentimenti sono i miei sentimenti.
Perché il giorno di domani potremo vivere in una democrazia libera, sana, solidale, che tutti possiamo condividere. E perché questa bella signora è mia madre”.
Sua madre, Olga Garrido, dopo i Mondiali del 1974 ha modo di “conoscere” tutto il male della dittatura di Pinochet poiché è arrestata e torturata. Con quel grande gesto, Caszély contribuisce anche lui alla caduta del pinochetismo. E’ un grande gesto di coraggio e voglia di far tornare la democrazia in una Paese che l’ha vista calpestare l’11 settembre 1973. E una picconata al regime ha contribuito a darla anche un baffuto attaccante che ha portato sempre il Cile nel cuore e che si è battuto affinché quel regime di terrore, morte e calpestamento dei diritti umani e politici finisca al più presto.
24 marzo 1976: la Junta militar al potere. Desaparecidos e torture e morte
Il 24 marzo 1976 anche l’Argentina si trasforma in una dittatura come il Cile, il Brasile, l’Uruguay ed il Paraguay: un gruppo di militari rovesciano il governo di Isabela Martinez, al potere dal 1° luglio 1974. La Martinez è la moglie di Juan Domingo Peron, il politico argentino più noto ed idolatrato dai suoi connazionali progressisti e conservatori, già presidente dal 1946 al 1955 e mandato in esilio fino al 1973. Gli anni con Peron all’estero sono di instabilità economica, politica e sociale e tutti gli argentini sperano che un giorno possa tornare a casa e riprendere la guida del Paese.
Peron torna in Argentina nel giugno 1973, vince le elezioni politiche del settembre successivo con il Partito giustizialista (senza la parte “di sinistra”) e rimane al potere fino al 1° luglio 1974 quando muore ed il suo incarico passa alla moglie Isabel Martinez detta “Isabelita”, sua vice-. Nonostante gli sforzi, la Martinez non si dimostra all’altezza della situazione non tanto per la sua impreparazione o incapacità, ma perché il Paese sta vivendo molti problemi da qualche anno al suo interno di carattere economico, sociale, politico e sta facendo i conti con gli attentati e le violenze delle forze estremiste di destra e di sinistra.
Il Paese vede in lotta la Tripla A (Alianza Anticomunista Argentina) e l’Esercito Rivoluzionario del Popolo (ERP). La Tripla A è artefice dell’attentato all’aeroporto di Ezeiza dove, il 20 giugno 1973, tredici persone muoiono ed altre 365 rimangono ferite, proprio il giorno del ritorno di Peron dal suo esilio in Spagna: solo all’ultimo Peron cambia aeroporto di arrivo, ma uomini della Tripla A fanno fuoco sulla folla, colpendo esponenti della sinistra peronista e dei Montoneros. Il Paese diventa una bomba a orologeria e manca solo l’innesto per la sua “esplosione”.
Oltre a questo, anche i militari stanno pensando di insorgere per cercare di portare un po’ di ordine nel Paese. Proprio un gruppo di militari decide di risolvere le problematiche del Paese con un golpe che si tiene il 24 marzo 1976. Alla guida di questo gruppo di militari il generale Rafael Videla, da meno di un anno capo dell’Esercito ed in pessimi rapporti con la Peron. Il governo argentino passa nelle mani della Junta militar, composta dallo stesso Videla insieme ad Emilio Eduardo Massera e Orlando Ramon Agosti: il Paese ora è guidato dal capo dell’Esercito, della Marina e dell’Aeronautica. Inizia il periodo storico noto come Processo di Riorganizzazione Nazionale (Proceso de Reorganizacion Nacional), un periodo che serve a “riordinare” il Paese. Ma questo non avviene in maniera democratica, ma con la forza più bieca. Nel loro intento, i militari devono salvare il Paese dalla corruzione, dalla crisi economica e sociale ed invece fanno entrare gli argentini in un clima di paura e terrore.
I capisaldi dei dittatori sono l’autoritarismo, l’anticomunismo, il nazionalismo, il patriottismo ed il cattolicesimo (proprio come avviene nel vicino Cile guidato dal generale Pinochet). Dal punto di vista economico, i militari danno al Paese un forte stampo liberista, favorendo gli investimenti da parte di imprenditori ed investitori stranieri nel loro Paese, solo che il sistema economico è molto in difficoltà a causa di un’alta inflazione ed un deficit pubblico in salita vertiginosa.
Dal punto di vista della politica interna, la Junta militar è una vera e propria dittatura: sono chiuse le sedi dei partiti politici, la stampa è censurata, c’è il coprifuoco, i diritti umani sono violati sistematicamente e le opposizioni sono tacciate. I militari militarizzano tutto piazzando altri militari in posti di comando, ripartiti tra le tre forze militari: un dominio a 360° che nessuno può fermare.
La Junta opera sin dall’inizio la “guerra sporca” (“guera sucia”), combattendo tutto ciò che ha portato al decadimento del Paese: le persone (indistintamente uomini, donne, anziani, studenti, sindacalisti) vengono arrestate, rinchiuse in centri di detenzione dove sono torturate ed incarcerate. Le torture consistono in scariche elettriche, ustioni sul corpo, rottura degli arti, pestaggi, waterboarding: tutto questo senza che nessuno dica niente, anche perché nessuno sa veramente cosa succede in quei centri.
Tutti gli arresti non vengono mai registrati sui registri ufficiali e quindi sono “fantasmi”. Queste persone scomparse vengono ribattezzate (tristemente) desaparecidos (“spariti”). Si scopre che tanti arrestati muoiono attraverso i “voli della morte”: le persone arrestate sono narcotizzate, bendate, legate, caricate su appositi aerei e gettate in mare aperto a parecchie miglia dalle coste cosicché muoiano in un luogo sperduto e dove nessuno mai troverà i loro corpi. La Junta militar cade con la sconfitta subita contro l’esercito britannico durante la guerra per il possesso delle isole Falklands/Malvinas.
Jorge Carrascosa, il “lobo” che rinunciò alla Nazionale (e al Mondiale) contro la Junta militar
Cile e Argentina sono accumunate da regimi dittatoriali sanguinari, repressivi, antidemocratici e che perseguitano gli oppositori. Queste due dittature sono legate ad eventi di carattere sportivo: se il Cile è noto per la “partita fantasma” del 21 novembre 1973 e della contestata finale di Coppa Davis contro l’Italia (vinta dagli azzurri…in maglia rossa nel week end 17-19 dicembre 1976), l’Argentina va oltre in quanto nel 1978 organizza i Mondiali di calcio. Come ha potuto l’Argentina organizzare un evento di questo tipo? Semplice: l’organizzazione la ottiene nel 1964 dopo le bocciature per l’assegnazione dei Mondiali del 1962 e del 1970, assegnati a Cile e Messico.
Al momento dell’assegnazione al potere c’è il radicale Arturo Umberto Illia. In base al regolamento dell’assegnazione dei Mondiale, Europa e Sud America si spartiscono l’organizzazione a rotazione (e ciò è sempre avvenuto salvo nel periodo 1934-1938 e 1954-1958 dove è l’Europa ad organizzare la kermesse per due edizioni consecutive). Si pensa di togliere al Paese sudamericano l’organizzazione, tanto che si parla di boicottaggio da parte di alcuni Stati come Francia, Paesi Bassi e Svezia e tante associazioni umanitarie sono contro quel regime che calpesta i diritti umani. Come avvenuto per la partita tra Cile e URSS (e per l’organizzazione di Berlino ’36), la FIFA invia suoi rappresentanti per verificare l’idoneità del Paese: la Federcalcio mondiale invia tre mesi prima dell’inizio del Mondiale il vice-Presidente, il tedesco occidentale Hermann Neuberger che nel suo rapporto non nota nulla di particolare in Argentina. Tutto è nascosto, come a Berlino e a Santiago del Cile.
La Junta, nonostante l’essere poco incline al calcio, capisce che può sfruttare al suo meglio il Mondiale, un volano per dimostrare che il Paese non è quello che è dipinto, ma un Paese avanzato. La FIFA conferma l’organizzazione e per la seconda volta un Paese con al potere una dittatura organizza il Mondiale, dopo Italia ’34 con il nostro Paese guidato allora da Benito Mussolini e dal fascismo. Per tutta la durata della manifestazione (dal 1° al 25 giugno), la macchina della violenza repressiva della Junta è sospesa, si fermano le torture, le persecuzioni e le persone in carcere possono sentire la partite alla radio. L’Argentina vince il Mondiale sconfiggendo in finale i Paesi Bassi ai supplementari: primo titolo per l’Albiceleste alla seconda finale giocata (la prima era stata nel 1930 quando perse in finale contro l’Uruguay). Nonostante alcune situazioni ed alcuni arbitraggi discutibili, l’Argentina succede alla Germania Ovest nell’albo d’oro.
Ad alzare la Coppa del Mondo è Daniel Passarella, capitano dell’Argentina, che riceve la Coppa del Mondo da parte di Videla, Presidente della Junta militar. Passarella, detto “el caudillo”, centrocampista allora in forza al River Plate e tra il 1982 ed il 1988 in Italia con le maglie di Fiorentina e Inter, è molto criticato per aver alzato la coppa ricevuta da Videla, ma lui risponde che non è a conoscenza di quello che sta accadendo in quel periodo in Argentina e se lo avesse saputo non avrebbe stretto la mano al dittatore. Con la fine del Mondiale, l’attività della Junta riprende a pieno ritmo, ma i vertici della dittatura entrano in crisi tanto che nel marzo 1981 Videla lascia la guida della giunta a Roberto Viola, allora generale dell’Esercito, che terrà fino a novembre.
Tra novembre e dicembre 1981 sono Presidenti ad interim Horacio Tomas Liendo e Carlos Lacoste, per poi lasciare la guida del paese a Leopoldo Galtieri che sarà quello che farà terminare l’esperienza della Junta per poi lasciare la guida prima a Alfred Oscar Saint Jean per un mese (giugno-luglio 1982) e poi lasciare la guida da luglio 1982 a dicembre 1983 a Reynaldo Bignone, ultimo presidente della Junta. Ciò che spinse alla fine della dittatura è la guerra per il possesso delle isole Falkland/Malvinas, un piccolo gruppo di isole a poco meno di cinquecento chilometri dalla costa sud dell’Argentina da sempre un possedimento britannico e che i generali vogliono passi sotto il controllo di Buenos Aires: l’Argentina esce sconfitta dal conflitto durato due mesi e mezzo e che causa 649 morti e oltre mille feriti tra l’esercito argentino ed un anno e mezzo dopo la giunta militare implose su sé stessa.
Il 30 dicembre 1983 si tengono le elezioni politiche vinte dal radicale Raul Ricardo Alfonsin, che diviene il nuovo inquilino della Casa Rosada: si scopre la macchina del terrore perpetrata dai militari e si scopre che gli arrestati venivano torturati, narcotizzati, fatti salire su degli aerei legati, portati al largo e gettati in mare. Oltre che uccisi durante la prigionia. Nel 1985 iniziano i processi contro i membri delle Juntas che si sono succedute al potere. Tutti i membri oggi sono morti e sono stati tutti condannati all’ergastolo nei vari processi contro di loro. E pensare che Daniel Passarella, leader del River Plate (che giocava e gioca ancora oggi allo stadio della finale, il “Antonio Vespucio Liberti“ meglio noto come “Monumental”), non doveva essere lui il capitano della Seleccion, ma un altro giocatore. Un giocatore poco noto al di fuori dell’Argentina: Jorge Carrascosa detto “lobo” (lupo).

Terzino sinistro in forza in quel periodo nel Club Atlético Huracán di Buenos Aires, Carrascosa era dal 1977 capitano della Nazionale albiceleste. La sua prima convocazione in Nazionale è del 1970 e fino all’inizio del Mondiale casalingo ha in carniere 29 presenze mentre a livello di club ha vinto il campionato nazionale nel 1971 quando militava nel Rosario Central ed un “metropolitano” nel 1973 con l’Huracan (i due tornei erano rispettivamente il campionato della seconda parte di stagione e l’altro il primo).
Chiamato il “Lupo” perché giocatore grintoso e abile nella marcatura a uomo, Carrascosa inizia la carriera a 19 anni nel Club Atlético Banfield per poi andare a giocare in due squadre molto importanti come il Rosario Central e l’Huracan. Tecnicamente non è un campione, ma è uno che ci mette la gamba, la garra e la voglia: per questo lo chiamano “lupo”. Carrascosa è convocato dal Commissario tecnico Vladislao Cap per i Mondiali di calcio in Germania Ovest: l’Albiceleste è una delle Nazionali più attese in uno dei Mondiali più attesi di sempre. L’Argentina è inserita nel girone con Italia, Polonia e Haiti. L’Albiceleste perse contro i polacchi e pareggiò con l’Italia. Per approdare al secondo girone, i ragazzi di Cap avrebbero dovuto vincere contro Haiti e sperare che l’Italia perdesse contro la Polonia. La Polonia vince, l’Argentina vince ed entrambe passano il turno.
Su quel Polonia-Italia aleggiano per anni spunti di combine tra accordi verbali da parte dell’Italia ed un “incentivo alla vittoria” argentino nei confronti della Polonia. E a Carrascosa ciò non piacque, è schifato e quasi si vergogna per i compagni. Carrascosa sostiene che quell’”incentivo” è il male mentre lui voleva vincere o perdere onestamente. L’Argentina non incide tanto che nel secondo girone perde sia contro i Paesi Bassi e il Brasile, venendo eliminata.
Da dopo il Mondiale tedesco occidentale cambia il CT argentino: arriva Cesare Menotti detto “flaco”. Due anni dopo l’Argentina avrebbe ospitato i Mondiali. Carrascosa ha un ruolo importante in quell’Albiceleste: è il capitano. E il capitano nel calcio è un ruolo importante: rappresenta la squadra, può parlare vigorosamente con l’arbitro, è il punto di riferimento. E quando si alzano i trofei, lui è il capitano che alza per primo la coppa. Nell’idea della giunta militare, l’obiettivo è che Carrascosa, quindi, alzasse al cielo del “Monumental” la prima Coppa del Mondo della storia del Paese.
Il Mondiale lo vince l’Argentina, ma ad alzare la coppa del Mondo è “el gran capitan”, Daniel Passarella, e non “el lobo” Carrascosa. Nel vedere la lista dei ventidue convocati da Menotti, non appare il nome di Carrascosa. Motivo? Si potrebbe pensare ad un infortunio patito nel pre-Mondiale ed invece la sua assenza è dovuta ad una scelta personale e morale da parte del giocatore. Prima che “el flaco” stilasse la lista dei convocati, Carrascosa parlò con lui e gli dice di non convocarlo: “Lupo” dice che non vuole che il suo nome venga legato alla dittatura. Fa intendere di voler essere riconvocato una volta solo dopo la caduta della Junta militar.
Carrascosa è contro la dittatura, non vuole esserci in quel Mondiale. Menotti, apertamente di sinistra e le cui idee politiche non piacciono alla Junta ma che la stessa Junta vuole ugualmente che alleni la Seleccion, accettando a malincuore la scelta del terzino. Si dice che Carrascosa fosse il “cocco” di Menotti visto che giocava sempre nonostante non fosse veramente forte. Carrascosa è un uomo di Menotti: hanno vinto un campionato con l’Huracan, portando il club a vincere qualcosa dopo 50 anni. Carrascosa è spesso inviso alla gente che però lo “perdona” dopo il suo gol (il suo unico gol) in Albiceleste il 12 luglio 1977 in amichevole contro la Germania Est.
Carrascosa non segue particolarmente le vicende della Seleccion durante la kermesse: a parte aver assistito al match tra Argentina e Italia (con vittoria azzurra in quella che fu l’unica sconfitta della Nazionale di casa in quel Mondiale), il “lobo” non andrà mai a vedere i compagni (anzi, gli ex compagni) giocare. E non assisterà nemmeno alla finale del 25 giugno, dove i ragazzi di Menotti sconfiggono i vice Campioni del Mondo in carica dei Paese Bassi per 3-1 alzando sotto il cielo di Baires (e di migliaia di papelitos) la Coppa del Mondo. Una Coppa del Mondo “sucia”, sporca, come tutto ciò che accade in Argentina con la presa del potere da parte della Junta guidata dal generale Videla. E lo stesso Videla quel freddo 25 giugno 1978 (in quella parte di Mondo allora è inverno) consegna nelle mani di Passarella la Coppa del Mondo.
La Nazionale di casa ebbe diversi aiuti, arbitrali e non solo durante quel Mondiale di calcio: la partita giocata contro il Perù nel secondo girone è caratterizzata dalla “marmellata peruviana” che vede il portiere Ramon Quiroga (da un anno peruviano lui che è nato a Rosario) commettere tantissimi errori cosicché la Nazionale argentina supera il Brasile (l’altra avversaria nel girone che gioca poche ore prima contro la Polonia) per la differenza reti e l’incontro negli spogliatoi tra Videla ed i dirigenti della Blanquirroja dove si dice che l’Argentina avrebbe regalata tonnellate di frumento gratis ed una linea di credito di 50 milioni di dollari al Paese sudamericano se avesse fatto vincere l’Albiceleste, oltre all’arbitraggio discutibile del nostro Sergio Gonella nella finale di Buenos Aires.
Ovviamente Jorge Carrascosa è cercato da giornalisti in cerca di scoop: “per quale motivo il capitano della Nazionale candidata numero 1 a vincere il Mondiale aveva rifiutato la convocazione?” Carrascosa è irreperibile e quando lo è non concede nulla. A lui non piacciono i clamorosi, gli scoop, la ricerca dei motivi della sua scelta: ha detto “no” a Menotti e “no” deve essere per tutti. Si dice che Carrascosa cercò di portare sulla sua via anche Menotti, ma lui rifiuta: non perché avesse paura di ritorsioni da parte della Junta ma perché lui vuole la vittoria della Coppa del Mondo per dimostrare che lui è contro di loro e che la vittoria sarebbe stata dedicata ai morti della Giunta e alle persone imprigionate, al popolo.
La Junta militar resta al potere fino al 1983, Menotti rimane in sella all’Argentina fino al Mondiale spagnolo e nel 1979 porta la Argentina Under 20 a vincere il Mondiale di categoria in Giappone guidato in campo da Ramon Diaz e Diego Armando Maradona. Carrascosa gioca ancora un anno con la maglia dell’Huracán e poi decide di ritirarsi dopo tredici anni di massima serie ed incontri a livello internazionale. Lui e la sua famiglia non sono perseguiti durante il periodo della dittatura militare.

Cosa rimane di loro: anche i calciatori hanno una coscienza
La dittatura di Pinochet termina nel 1988 ed il muore nel 2006 a 91 anni, mentre l’omologa argentina si conclude nel 1983 e a oggi tutti i membri della Junta sono morti dopo aver passato molti anni in carcere dove sono stati tutti condannati a più ergastoli. Una volta tornate la democrazia e la libertà nei due Paesi sudamericani non ci sono stati più stati rigurgiti dittatoriali, ma entrambi non hanno mai dimenticato (e non lo faranno mai) ciò che è successo durante la dittatura Pinochet ed il Piano della Junta: i diritti umani violati, le torture, i desaparecidos, i “voli della morte”, il silenzio di troppe persone, efferatezze nascoste pur di avere l’organizzazione di un Mondiale di calcio o poter giocare una partita di calcio.
Nei due Paesi sudamericani c’è stata resistenza, anche se per molti l’essere stati resistenti ha portato a persecuzioni verso i propri familiari, come a Caszély che dopo il Mondiale del 1974 (e quando lui giocava in Spagna) ha saputo della madre arrestata, torturata ed incarcerata in uno dei centri di detenzione. E questo fatto ha poi portato lo stesso Caszély a partecipare al video pro ritorno alla democrazia in cui racconta cosa capitò alla madre per convincere più cileni possibili a votare “no” e a riportare la democrazia nel Paese.
Carrascosa sapeva che la sua scelta avrebbe potuto creargli tanti problemi professionali, personali e familiari ma lui ha detto “no” e non ha voluto prendere parte al Mondiale perché voleva prendere le distanze dalla giunta e dagli orrori che stava commettendo tra il silenzio del Mondo: era un uomo libero e non voleva essere una “rotella” di quell’ingranaggio malvagio di ciò che avveniva ad un chilometro in linea d’aria dal “Monumental”, all’EISMA, il luogo dove migliaia di argentini furono incarcerati, torturati, uccisi oppure fatti sparire nel nulla anche grazie ai “voli della morte”.
Le storie di Carlos Humberto “el rey del metro cuadrado” Caszély e Jorge “lobo” Carrascosa sono esempi di coerenza, rispetto verso sé stessi e dei propri ideali, il mettere in cima alle proprie priorità un ideale politico certi (forse) di veder compromessi anni di allenamenti, fatiche e voglia di emergere per vivere a testa alta e guardare tutti senza vergognarsi delle proprie azioni fatte.
Podcast e sitografia
Football Mistery, Il gol più assurdo della storia: Carlos Caszely e Cile-Urss del ’74
https://www.youtube.com/watch?v=YmXgIPKTVcM
Cronache di Spogliatoio, La partita fantasma Cile-URSS 1973
https://www.youtube.com/watch?v=L0iLRFp38OE
Lo scrigno del calcio, Capitano coraggioso: Jorge Carrascosa, un calcio ai Mondiali per dignità
https://www.youtube.com/watch?v=ZiHzPNZpDAg
La Repubblica, Storie di maglie, il capitano dell’Argentina che lasciò la nazionale per il bene del suo Paese
https://www.youtube.com/watch?v=XXrOOc-Ulpo
Consigli di lettura: clicca sul titolo e acquista la tua copia!
- Cordolcini, Pallone desaparecido. L’Argentina dei generali e il Mondiale del 1978, Bradipolibri, Torino, 2011.
- Galeano, Splendori e miserie del gioco del calcio, Sperling & Kupfer, Milano, 1997.
- Novaro, La dittatura argentina (1976-1983), Carocci, Roma, 2005