CONTENUTO
“Niuno saprà mai tutto quello che ho fatto per l’Italia…Mi solleva del pari il pensiero e la speranza che venendo maggiormente diffuso il sentimento di nazionalità e di indipendenza si conseguirà un giorno ciò che io ho tentato”. (Carlo Alberto)
Biografia di Carlo Alberto di Savoia-Carignano
Carlo Alberto di Savoia-Carignano (nome completo Carlo Emanuele, Vittorio, Maria, Clemente, Saverio, Alberto) nasce il 2 ottobre 1798 a Palazzo Carignano in Torino. Figlio del principe di Carignano, Carlo Emanuele, e della principessa di Sassonia Curlandia, Maria Cristina Albertina, Carlo Alberto viene battezzato il giorno seguente dal re di Sardegna Carlo Emanuele IV e dalla regina Maria Clotilde.
I principi di Carignano, che si contraddistinguono nella Torino di fine Settecento per la disinvoltura e l’insofferenza verso i formalismi ufficiali, non sono molto amati all’interno della corte per le loro simpatie verso le correnti liberali; specialmente si nutre una certa diffidenza verso Albertina assidua frequentatrice di intellettuali illuministi.
All’arrivo qualche settimana dopo delle armate francesi rivoluzionarie che costringono Carlo Emanuele IV e i fratelli a riparare in Sardegna, Carlo Emanuele si mette al servizio degli occupanti iscrivendosi alla Guardia Nazionale e, dopo poco tempo, si trasferisce con moglie e figlio a Chaillot, vicino Parigi. Qui durante il 1800 nasce la sorella di Carlo Alberto, Elisabetta, il 13 aprile e muore precocemente il principe Carlo Emanuele il 24 luglio.
Rimasta vedova la principessa Albertina si occupa personalmente dell’educazione dei due figli, mentre dalla Sardegna il nuovo re Vittorio Emanuele I reclama inutilmente il ritorno sull’isola dell’erede al trono per sottrarlo alla cattiva influenza giacobina della madre.
Altezza e educazione di Carlo Alberto di Savoia
L’inserimento del giovane esponente del ramo cadetto dei Savoia-Carignano nella linea di successione dinastica era stato, infatti, deciso nel 1799, dopo la morte dell’unico figlio maschio di Vittorio Emanuele I e alla luce della mancanza di figli maschi del fratello del re, il successore Carlo Felice. L’educazione di Carlo Alberto avviene, dunque, nell’ambiente e nell’atmosfera dell’impero francese tra Parigi e Ginevra, all’interno del collegio di Saint-Stanislas e del pensionato gestito dal pastore protestante Jean Pierre Vaucher, e a stretto contatto con la madre e con il suo secondo marito, Massimiliano di Montleart, uditore al Consiglio di Stato napoleonico.
Nel 1814, dopo la sconfitta di Napoleone Bonaparte e il ritiro delle truppe francesi, Vittorio Emanuele I, reinsediatosi sul trono di Torino, impone il ritorno nella capitale sabauda di Carlo Alberto per educarlo alle future responsabilità di governo e per ottenere la sua completa rieducazione: “Avremo molto da fare per distruggere nel Carignano il cattivo influsso dell’educazione liberale che ha ricevuto da sua madre, ma spero ne possa divenire qualche cosa di buono”[1].
Per questa ardua azione rieducativa necessaria a rimettere in riga il principe viene scelto dal sovrano il quarantasettenne conte Filippo Grimaldi del Poggetto, fedele alla monarchia e di indole assai severa, il quale viene affiancato da un cappellano confessore che opprime con i suoi precetti il ragazzo a tutte le ore della giornata, dal risveglio fino a tarda sera. Nell’adolescente Carlo Alberto, segaligno e di imponente statura (è alto quasi due metri), questa nuova fase educativa, completamente diversa dalla prima, crea un contrasto interiore e un forte senso di insicurezza che si manifesta in un atteggiamento di apatia e di freddezza.
Un breve periodo di serenità l’erede al trono lo vive nei primi anni del matrimonio che lo lega alla principessa Maria Teresa d’Asburgo-Lorena, figlia di Ferdinando III granduca di Toscana, che viene celebrato il 30 settembre 1817 a Firenze, nella Basilica di Santa Maria del Fiore.
Attraverso Giacinto di Collegno, divenuto suo scudiero dal 31 marzo 1816, Carlo Alberto si avvicina a quel gruppo di giovani liberali piemontesi che ripongono in lui tutte le loro speranze per cambiare lo status quo nel regno. Tra gli esponenti di spicco di questo movimento liberale vale la pena ricordare Santorre di Santarosa, Emanuele Dal Pozzo Della Cisterna, Carlo Emanuele Asinari di San Marzano.
Carlo Alberto e i moti del 1820-1821
Il 1820 è costellato da una serie di sommosse rivoluzionarie nei paesi europei: la rivolta di Cadice del 1 gennaio costringe il sovrano spagnolo Ferdinando VII a concedere qualche giorno dopo la costituzione del 1812 e, su tale scia, alcuni reggimenti affiliati alla società segreta della Carboneria danno avvio nel mese di luglio ad una analoga sollevazione nel Napoletano inducendo il re Ferdinando I a seguire le orme del suo omonimo spagnolo. Nel profondo malessere causato nel Regno di Sardegna da questi avvenimenti, nasce il 14 marzo il primogenito di Carlo Alberto, Vittorio Emanuele.
Nel gennaio 1821 quattro studenti dell’Ateneo torinese vengono arrestati per una manifestazione pacifica all’interno del teatro d’Angennes in cui sono apparsi indossando un berretto rosso con fiocco nero, colori che i funzionari di polizia associano immediatamente alla Carboneria. L’episodio provoca l’indignazione degli studenti universitari che occupano in segno di protesta il palazzo dell’università per esprimere il loro malessere contro regime repressivo instaurato dal governo.
La monarchia restaurata di Vittorio Emanuele I reagisce, però, energicamente alla provocazione: i granatieri irrompono con la baionetta all’interno dell’edificio e nella calca che segue numerosi studenti rimangono feriti anche gravemente.
Dimostratasi sorda a qualsiasi richiesta di cambiamento avanzata da democratici e da liberali più moderati, la monarchia sabauda esaspera in tal modo la situazione e con la repressione violenta della manifestazione studentesca induce gli esponenti del movimento insurrezionale a passare all’azione. Il progetto dei carbonari e degli ufficiali a loro associati prevede una sollevazione militare di alcuni reparti con successiva marcia verso Torino per costringere il sovrano a concedere una Costituzione.
Il 9 marzo 1821 scatta il piano insurrezionale con l’ammutinamento di alcuni reparti stanziati a Fossano, Alessandria, San Salvario e in altre località intorno la capitale. Preso alla sprovvista da questo ammutinamento di truppe il re Vittorio Emanuele I decide il 12 marzo di abdicare a favore del fratello Carlo Felice il quale, però, si trova in quel momento a Modena, ospite del duca Francesco IV d’Asburgo-Este.
Prima di partire con la famiglia verso la contea di Nizza Vittorio Emanuele I nomina reggente il ventiduenne Carlo Alberto. Quest’ultimo si era incontrato nel palazzo Carignano all’inizio del mese e alla vigilia dell’insurrezione, con i giovani con cui è in contatto già da qualche anno; le versioni date successivamente dai presenti sui colloqui avuti in questo frangente sono contrastanti, resta il fatto che i congiurati interpretano positivamente l’atteggiamento assunto dal principe intravedendo in lui la guida ideale della loro rivoluzione liberale.
Per tutta la giornata del 13 il reggente viene sottoposto a fortissime pressioni da parte dei costituzionali per la concessione della costituzione spagnola e convinte manifestazioni popolari si svolgono davanti il palazzo reale. Vista la situazione di forte tensione Carlo Alberto, confrontatosi con i suoi ministri e generali, decide di concedere la costituzione per evitare altri scontri di piazza e inutili spargimenti di sangue. Contemporaneamente, in quelle ore febbrili, il reggente riceve forti pressioni anche dai federati lombardi affinché dichiari la guerra all’Austria.
Il 18 marzo giunge, però, a Torino lo scudiero del principe di Carignano, Silvano Costa de Beauregard, con un proclama di Carlo Felice che dichiara nullo qualsiasi provvedimento preso dal reggente; Silvano Costa riporta al diretto interessato anche le parole del legittimo sovrano: “Carlo Felice mi ha dato incarico di riferirvi che se avete ancora una goccia del sangue reale sabaudo, dovete partite immediatamente per Novara e lì attendere ordini”[2].
Dopo un’infiammata reazione di sdegno Carlo Alberto cede gli ordini impartiti da Carlo Felice e la sera del 21 marzo lascia la città, abbandonando il moto costituzionalista alla repressione. All’inizio di aprile le truppe rimaste fedeli alla corona guidate dal generale Vittorio De La Tour sconfiggono a Novara, grazie anche all’aiuto di alcuni reparti austriaci, l’esercito degli insorti. Il tentativo rivoluzionario viene così represso nel sangue: settantuno condanne a morte, venticinque pene di detenzione, oltre trecento ufficiali degradati.
Il regno di Carlo Alberto di Savoia tra conservatorismo e ammodernamento
Il regno di Carlo Felice, che dura dieci anni, non si discosta molto da quello del suo predecessore; la monarchia da lui incarnata si dimostra poco disposta ai cambiamenti. In questo periodo grigio e sospeso assumono una certa rilevanza solo alcune iniziative del sovrano in campo culturale come, ad esempio, la creazione della Reale Compagnia Drammatica e l’acquisto della collezione Drovetti che rappresenta il fondo iniziale del futuro museo Egizio.
Alla morte di Carlo Felice il 27 aprile 1831 eredita il trono il trentatreenne Carlo Alberto. Quest’ultimo, dopo gli avvenimenti del 1821, ha rischiato di perdere il diritto al trono per il tentativo di Carlo Felice di estrometterlo dalla successione. Per riacquistare credibilità dinastica il principe di Carignano ha partecipato alla repressione del moto liberale spagnolo, distinguendosi positivamente sul campo di battaglia durante l’attacco del Trocadero tanto da ricevere l’onorificenza al merito della Croce di San Luigi.
Una volta riabilitato da Carlo Felice il giovane soggiorna qualche anno a Firenze, presso la famiglia della moglie Maria Teresa di Lorena, quindi nel Castello di Racconigi, sua dimora preferita, dove coltiva l’amore per la bellezza estetica e ha modo di dedicarsi a lunghe riflessioni nella fastosa biblioteca, nella sala da biliardo e nelle terme private.
Gli eventi passati segnano il temperamento di Carlo Alberto che si dimostra durante tutto il regno un sovrano indecifrabile sia per gli estranei che per le persone a lui vicine. Nonostante sia molto raffinato nei modi, nel privato il re si comporta con freddezza e distacco nei confronti della moglie e dei figli verso i quali non mostra alcuna tenerezza. Appena salito al trono egli riceve un accorato appello dal patriota Giuseppe Mazzini che, però, cade nel vuoto, e rifiuta l’amnistia politica confermando inizialmente una continuità con la linea assolutista del predecessore.
Dimostratosi conservatore verso le congiure mazziniane del 1833 il re non si mostra, invece, indifferente, negli anni successivi, ai cambiamenti che investono la società piemontese. Lo Stato carloalbertino non rimane immobile e se da un lato viene inizialmente adottato un modello politico con lo sguardo rivolto al passato, dall’altro vengono avviate importanti iniziative riformatrici che mirano all’ammodernamento: riduzione dei dazi più esosi per favorire gli scambi commerciali, soppressione delle giurisdizioni signorili e abolizione dei servizi personali gratuiti in Sardegna, istituzione della Corte di Cassazione e del Consiglio di Stato, acquisto di numerosi canali di irrigazione per l’agricoltura, istituzione della Giunta per le Antichità e le Belle Arti e della Regia Deputazione di Storia Patria.
Per l’economia del Piemonte gli anni quaranta dell’Ottocento rappresentano un momento di crescita e il paese avvia una lenta trasformazione che riguarda anche l’emergere di nuove forze sociali le quali aspirano ad avere voce in capitolo in politica attraverso un allargamento della classe dirigente. Lentamente e tra numerosi dubbi Carlo Alberto si orienta verso una svolta liberale, in senso moderato, lasciando intravedere la possibilità che gli interessi dinastici di casa Savoia possano incontrarsi con le aspirazioni del movimento risorgimentale.
Il re riceve un’iniezione di fiducia in questo senso dall’elezione nel giugno 1846 al soglio pontificio del cardinale Giovanni Mastai Ferretti che prende il nome di Pio IX. L’amnistia politica concessa dal nuovo papa sembra aprire, infatti, una nuova stagione di riforme.
Lo Statuto Albertino di Carlo Alberto
Nel clima di fervide speranze che anima la penisola italiana nel corso del biennio 1846-1848 Carlo Alberto, agitato da sentimenti contrastanti, temporeggia e tarda ad adottare le iniziative riformatrici che l’opinione pubblica piemontese reclama fortemente. Il sovrano tenta di mantenere il suo equilibrio politico con l’obiettivo di tenere a bada sia gli esponenti più reazionari del suo governo che quelli che si trovano su posizioni più moderate. Tra questi ultimi emergono per spessore intellettuale personalità del livello di Massimo e Roberto d’Azeglio, Ilarione Petitti di Loreto, Cesare Balbo e Camillo Benso di Cavour.
Di fronte alle richieste pressanti dei movimenti liberali e democratici il re tergiversa adottando quell’atteggiamento oscillante tipico del suo carattere insicuro che gli vale l’appellativo di “Re Tentenna”, dal titolo di una poesia satirica del patriota Domenico Carbone. Le continue esitazioni del sovrano esasperano gli animi dei patrioti; tra questi c’è Massimo D’Azeglio, che il 22 ottobre 1847 scrive all’amico Marco Minghetti:
“Il re torna indietro assolutamente. E’ un misto di terrore di perdere una particella d’assolutismo, di paura di cospirazione, frodi e slealtà, per mantenersi allo status quo. Il malcontento è al sommo, la compressione e il terrore idem. E’ uscita una legge severissima contro gli assembramenti; non v’è giornale, non stampa, e pare davvero di avere addosso un cielo di piombo. Se non muta strada andrà male per lui, pel Piemonte, ove qualche cosa succederà e porterà forse male complicazioni per tutta Italia”.
Per fortuna dei patrioti (tra i quali emerge a Genova la figura del giovane poeta Goffredo Mameli) e dei destini italiani Carlo Alberto alla fine del mese di ottobre si decide finalmente a soddisfare le pressanti richieste dei suoi sudditi facendo loro delle concessioni. Alcune delle riforme rientrano in un progetto di razionalizzazione delle strutture amministrative e giudiziarie, mentre altre come l’istituzione dei consigli comunali elettivi, la limitazione dei poteri arbitrari della polizia e una leggera attenuazione della censura sulla stampa si caratterizzano per una natura più marcatamente liberale.
Il 3 novembre, inoltre, viene firmato in città un accordo per la creazione di una Lega doganale tra il Regno di Sardegna, il Granducato di Toscana e lo Stato Pontificio. A queste notizie seguono giorni di euforia patriottica e la popolarità del re raggiunge vette elevatissime tanto che Carlo Alberto viene celebrato con l’inno “La coccarda. Inno al re” anche noto come “Coll’azzurra coccarda sul petto” scritto dal poeta Giuseppe Bertoldi.
Il nuovo anno si apre con sommosse e tumulti: le agitazioni diffuse portano il 12 gennaio 1848 prima i palermitani e poi i napoletani ad insorgere per chiedere al sovrano Ferdinando II di Borbone la concessione di una Costituzione. Il re, messo alle strette dalla pressione popolare, decide di accontentare i propri sudditi. Il 31 gennaio, alla notizia che il re di Napoli ha concesso la Costituzione, Genova esplode di entusiasmo; nella Chiesa dell’Annunziata si celebre solennemente il “Te Deum”, mentre i genovesi accolgono con calore e felicità i soldati dell’esercito inviati dal governatore nelle strade per presidiare alcune zone cittadine.
L’opinione pubblica piemontese chiede a gran voce la Costituzione; Carlo Alberto inizialmente rifiuta di piegarsi alle richieste per poi tornare sui suoi passi. Il 7 febbraio, dopo essere stato sciolto dal giuramento fatto nel 1823 al re Carlo Felice di non concedere mai una Costituzione, il re riunisce il Consiglio di conferenza e chiede ai suoi ministri di preparare il testo della nuova Carta Costituzionale sollecitandoli a rispettare le tradizioni del Paese.
Si arriva così alla mattina del 4 marzo 1848, la giornata tanto attesa per la firma del sovrano. I ministri del governo, tutti riuniti in una sala, assistono Carlo Alberto nel momento in cui legge e firma lo Statuto Albertino, composto da ottantaquattro articoli, che da quel giorno entra in vigore nel Regno di Sardegna.
La coccarda. Inno al re Carlo Alberto di Savoia
Negli ultimi mesi del 1847 la popolarità del re raggiunge vette elevatissime tanto che Carlo Alberto viene celebrato con l’inno “La coccarda. Inno al re” anche noto come “Coll’azzurra coccarda sul petto” scritto dal poeta Giuseppe Bertoldi e musicato da Luigi Felice Rossi che i cittadini imparano subito ed iniziano a cantare sia a Genova che a Torino.
«Con l’azzurra coccarda sul petto, Con italici palpiti in core
Come figli d’un padre diletto, Carlalberto, veniamo al tuo pie’;
E gridiamo esultanti d’amore: Viva il Re! Viva il Re! Viva il Re!
Figli tutti d’Italia noi siamo, Forti e liberi il braccio e la mente;
Più che morte i tiranni aborriamo, Aborriam più che morte il servir;
Ma del Re che ci regge clemente, Noi Siam figli, e godiamo obbedir
A compire il tuo vasto disegno attendesti il messaggio di Dio:
di compirlo, o Re grande, sei degno, tu ci innalzi all’antica virtù.
Carlo Alberto si strinse con Pio, il gran patto fu scritto lassù.
Se ti sfidi la rabbia straniera, monta in sella e solleva il tuo brando:
con azzurra coccarda e bandiera sorgerem tutti quanti con te;
voleremo alla pugna gridando: Viva il Re! Viva il Re! Viva il Re!»
Carlo Alberto e la Prima guerra di indipendenza
Due settimane dopo la firma dello Statuto scoppia a Milano l’insurrezione contro gli occupanti austriaci. Per cinque giornate i milanesi tengono impegnate le forze austriache comandate dal maresciallo Josef Radetzky e la direzione politica e militare della rivoluzione è assunta da alcuni patrioti tra i quali emerge la figura di Carlo Cattaneo.
Nella notte tra il 22 e il 23 marzo i reparti dell’impero austriaco si ritirano verso il Quadrilatero composto dalle fortezze di Mantova, Peschiera, Legnano e Verona, mentre a Venezia gli insorti guidati da Daniele Manin proclamano la Repubblica. Per la monarchia costituzionale sabauda è giunto il momento di schierarsi apertamente e il 23 Carlo Alberto dichiara guerra all’Austria dando ufficialmente inizio alla prima guerra di indipendenza.
Contemporaneamente il sovrano adotta come bandiera il tricolore con al centro lo stemma della sua casata al posto della tradizionale bandiera azzurra sabauda e, tale scelta, viene rimarcata anche nel proclama rivolto ai lombardi e veneti: “e per viemmeglio dimostrare con segni esteriori il sentimento dell’unione italiana, noi vogliamo che le nostre truppe entrando nel territorio della Lombardia e del Veneto portino lo scudo di Savoia sovrapposto alla bandiera tricolore italiana”.
Il 26 marzo le avanguardie sabaude entrano a Milano accolte, anche da un po’ di freddezza, da alcuni patrioti che non hanno apprezzato l’intervento ritardatario di Carlo Alberto. Nei primi giorni di aprile avvengono le prime battaglie tra austriaci e piemontesi i quali hanno la meglio a Goito, Monzambano e Valeggio. Oltre a diverse colonne di volontari anche i contingenti militari di Pio IX, Leopoldo II di Toscana e Ferdinando II di Borbone si uniscono ai piemontesi.
L’idillio tra le varie forze, purtroppo per la causa italiana, dura molto poco. Il 29 aprile, infatti, papa Pio IX pronuncia un’allocuzione con la quale annuncia il ritiro delle truppe pontificie dal conflitto che vede scontrarsi fra loro paesi cattolici. Sulla scia del papa anche Leopoldo II e Ferdinando II decidono di richiamare i propri contingenti.
I piemontesi si ritrovano dunque costretti a combattere contro il nemico straniero da soli, facendo forza prevalentemente sul proprio esercito regolare per volontà dello stesso Carlo Alberto che, per affermare il carattere dinastico e non popolare della guerra, decide di dispiegare i volontari accorsi sui luoghi del combattimento in gran parte su fronti secondari.
Così, tra alti e bassi nella campagna militare, si arriva alla battaglia di Custoza combattuta tra il 22 e il 27 luglio 1848: qui Carlo Alberto subisce insieme al suo esercito una dura sconfitta che lo costringe a ripiegare su Milano e a chiedere un armistizio. Alla notizia della resa militare i milanesi, furiosi per quello che considerano un tradimento da parte del sovrano, accorrono in massa a palazzo Greppi dove risiede il re con lo Stato Maggiore, e cercano di invadere con la forza l’edificio.
La reazione violenta della popolazione di Milano si conclude durante la notte quando Carlo Alberto riesce a fuggire dalla città. Il 9 agosto il capo di Stato maggiore dell’esercito Sabaudo, il generale Carlo Salasco, sottoscrive l’armistizio di Vigevano con gli austriaci con il quale la linea di demarcazione tra i due eserciti viene fissata al vecchio confine tra Piemonte e Lombardia. Il giorno successivo il re rivolge un proclama ai sudditi che si conclude con la frase di incoraggiamento: “La causa dell’indipendenza italiana non è ancora perduta”.
Carlo Alberto: la sconfitta di Novara e l’abdicazione
Qualche mese dopo, nella primavera 1849, sulle spinte delle forze democratiche piemontesi, Carlo Alberto decide di riprendere le ostilità contro gli austriaci. Questa volta l’esercito viene affidato dal re al generale polacco Wojciech Chrzanowski, un esule che aveva combattuto da giovane nelle guerre napoleoniche e successivamente aveva militato nell’esercito russo e poi preso parte all’insurrezione polacca del 1830-1831.
La scelta straniera di Carlo Alberto non è fortunata per una serie di motivi: il carattere insicuro che Chrzanowski dimostra di avere, la diffidenza nutrita verso di lui dalle alte sfere militari sabaude, la scarsa conoscenza di Chrzanowski del teatro di guerra. Il 23 marzo, dopo tre giorni dall’inizio delle ostilità, si svolge a Novara lo scontro decisivo: dopo otto lunghe ore di combattimento l’esercito di Radetzky ha la meglio su quello piemontese.
La sera stessa di quell’infausta giornata, dopo aver ricevuto durissime condizioni di armistizio dall’Austria, Carlo Alberto convoca alle 21,15 nel palazzo Bellini di Novara i generali e gli uomini di governo ai quali annuncia, con voce calma e volto pallido, la sua abdicazione in favore del figlio ventinovenne Vittorio Emanuele II: “I miei voti, saranno sempre per la salute e la felicità del nostro paese. Ho fede che verranno per l’Italia giorni migliori. Se dovremo andare a combattere gli austriaci, e io vivrò, prenderò il fucile e verrò a combattere come un semplice soldato”.
Esilio e morte di Carlo Alberto di Savoia-Carignano
Tre ore dopo, assunto il titolo di conte di Barge, l’ex re sabaudo prende la via dell’esilio senza fermarsi a salutare i familiari; lo accompagnano soltanto un domestico e un corriere di gabinetto. Da Nizza, attraverso la Francia e la Spagna, Carlo Alberto raggiunge il 19 aprile Oporto, in Portogallo (meta che sarà scelta successivamente anche da Umberto II), dopo ventisette giorni di viaggio.
Giunto nella città portoghese, l’esponente di casa Savoia viene sistemato all’Hotel do Peixe, dove rimane per due settimane, durante le quali le sue condizioni di salute peggiorano. Alloggia successivamente nella villa Entre Quintas, con vista sull’oceano.. Qui il 3 maggio accoglie con commozione Giacinto Provana di Collegno e Luigi Cibrario che gli trasmettono un saluto del governo piemontese. A loro affida il suo messaggio per il Senato sabaudo con il quale conferma la sua assoluta fedeltà alla patria:
«Mi solleva del pari il pensiero e la speranza che […] si conseguirà un giorno ciò che io ho tentato. […] La nazione può avere avuto principi migliori di me, ma niuno che l’abbia amata tanto. Per farla libera, indipendente e grande ho compiuto con animo lieto tutti i sacrifici… Cercai la morte (in battaglia) e non la trovai…Confido che quest’avversità passeggerà ammonirà i popoli italiani a essere un’altra volta più uniti ond’essere invincibili».
Nel suo esilio l’ex sovrano vorrebbe condurre una vita ritirata fatta di penitenze e preghiera ma la salute malferma, peggiorata dalla pressione psicologica degli ultimi eventi, gli gioca un brutto scherzo. Carlo Alberto si spegne in solitudine alle 15,30 del 28 luglio di quello stesso anno, dopo poco più di quattro mesi dalla sua abdicazione e all’età di cinquantuno anni. Nel mese di settembre, dopo i solenni funerali a Torino, la salma di Carlo Alberto viene tumulata nei sotterranei della Basilica di Superga.
Eredità storica di Carlo Alberto
In conclusione non si può che riportare la lucida analisi fatta dallo storico Adolfo Omodeo come riflessione sull’eredità politica e storica lasciata da Carlo Alberto di Savoia:
“Novara fu come la voragine di Curzio, ingoiò il re ma consolidò la monarchia. La fine shakespeariana di Carlo Alberto operò la catarsi. Egli divenne il re della causa nazionale, il martire di Oporto. La politica della dinastia fu spinta irrevocabilmente verso la causa italiana per la vendetta di Novara; il Piemonte fu la rocca della nazione sconfitta. La leggenda ravvolse il vinto e, prima ancora che la cantasse il Carducci, la riconciliazione fra i martiri e il re, che li aveva colpiti, fu sentita dalla coscienza del popolo”[3].
Note:
[1] Gianni Oliva, I Savoia, Mondadori, Milano, 1998, p. 351.
[2] Francesco Cognasso, I Savoia, Corbaccio, 2002, p. 536.
[3] Adolfo Omodeo, La leggenda di Carlo Alberto nella recente storiografia, Torino, 1940, p. 124.
Consigli di lettura: clicca sul titolo e acquista la tua copia!
- Francesco Cognasso, I Savoia, Il Corbaccio, 1994.
- Francesco Cognasso, Storia di Torino, Giunti, Firenze, 2002.
- Silvio Bertoldi, Il re che tentò di fare l’Italia. Vita di Carlo Alberto di Savoia, Milano, Rizzoli, 2000.
- Gianni Oliva, I Savoia, Mondadori, Milano, 1998.
- Niccolò Rodolico, Carlo Alberto principe di Carignano, Le Monnier, Firenze, 1931.