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I rapporti tra italiani e greci, già da prima della decisione del Duce di intraprendere una campagna in terra ellenica, non sono buoni. Le guerre balcaniche e l’omicidio del generale Tellini ne sono un indizio. Le cose iniziano a cambiare quando, dopo le vittorie fasciste in Spagna e in Etiopia, si manifesta un apprezzamento degli italiani da parte del regime dittatoriale del generale Metaxas. Questi si può considerare discepolo di Musolini e, senza dubbio, ammiratore dei tedeschi, presso le cui accademie militari si era perfezionato. Sotto il suo governo, i presupposti per un’alleanza tra regimi ci sono tutti. Scrive di lui Emanuele Grazzi, ministro plenipotenziario ad Atene tra il 39 e il 40:
“Se in tutta la Grecia vi era un solo uomo che provasse veramente un sentimento di affetto per l’Italia quell’uomo era Giovanni Metaxas.”
Ma Palazzo Venezia non è interessato a un amico o un alleato, vuole territori da invadere per allargare la propria influenza e, soprattutto, per dimostrare che la sua potenza militare è all’altezza di quella dei tedeschi. È così che iniziano le operazioni italiane nei Balcani, nell’aprile 1939, con l’invasione dell’Albania e la conseguente fine dell’indipendenza dell’ex protettorato.
Mussolini è abbagliato dal progetto Mare Nostrum, ma l’appoggio che Francia e Inghilterra ventilano alla Grecia e alla Jugoslavia in caso di fantomatiche aggressione da parte dell’esercito italiano lo portano a tentare di calmare le acque. Il contrasto tra le velleità fasciste e lo status quo provoca uno stallo che porta l’Italia a ciondolare tra la scelta di attuare l’invasione e quella di restare al proprio posto.

Il duce dichiara che l’Italia fascista intende rispettare l’integrità territoriale della Grecia e continuare a sviluppare con lei relazioni cordiali e nel settembre Grazzi consegna a Metaxas un promemoria di “non belligeranza”. Nel frattempo però, anche se il colonello Mondini assicura al generale Papagos che è solo “per normali esercitazioni”, alla fine dell’agosto del 1939 quattro delle cinque divisioni stanziate in Albania (l’Arezzo, la Ferrara, la Venezia, la divisione alpina Julia e la corazzata Centauro) sono sul confine greco. Il Paese, da parte sua, si rivolge, oltre che agli Alleati, alla Germania.
Scoppia la seconda guerra mondiale e, ancora prima dell’ingresso dell’Italia nel conflitto, una serie di diplomatici, tra i quali Ciano, avviano una campagna volta a diffondere pretesti di intervento in Grecia. Ma in questo frangente è proprio la Germania a mettere un freno: il ministro degli Esteri Ribbentrop detta le priorità dell’Asse a Dino Alfieri, rappresentante diplomatico italiano, durante i colloqui: tutte le forze devono essere concentrate sulla capitolazione dell’Inghilterra, dunque i Balcani non devono essere toccati, anche per evitare qualsiasi intervento russo, e le forze italiane dovevano essere convogliate in Libia contro i britannici.
La preparazione dell’invasione
Mussolini adotta, nei confronti della situazione greca, una posizione definita “Ondeggiamento”. Il generale Visconti Prasca, a capo delle truppe in Albania dall’estate del 1940, sposta le truppe sui confini greci. Nel frattempo Metaxas, ha tutto il tempo per prepararsi: si sposta su posizioni anglofile, inizia la Mobilitazione Generale e schiera le truppe sul confine albanese.
Alla fine dell’estete la situazione è ancora in bilico al punto che l’11 ottobre Badoglio può dire in una riunione che “la campagna di Grecia era definitivamente abbandonata”, mentre il 12 ottobre, dopo aver saputo che i tedeschi stavano occupando la Romania, Mussolini si decide ad avviare la sua guerra personale. Ciano, nei suoi Diari, riporta queste parole di suo suocero il Duce:
“Hitler mi mette sempre di fronte al fatto compiuto. Questa volta lo pago della stessa moneta: saprà dai giornali che ho occupato la Grecia. Così l’equilibrio verrà ristabilito.”
Il piano di Mussolini prevede due fasi, per poter iniziare nell’immediato, in modo da non lasciare a Hitler e Ribbentrop il tempo di frenare di nuovo il piano. La prima è l’attuazione dell’Emergenza G (l’impiego di undici divisioni per l’occupazione di alcune regioni di confine e delle isole Jonie, con condizione della rinuncia politica e militare della Grecia a contrastare l’entrata in Epiro o di un atteggiamento della Bulgaria – alla quale si promette uno sbocco sull’Egeo – abbastanza aggressivo tale da inchiodare alla frontiera macedone il grosso delle forze greche). La seconda è l’occupazione integrale della Grecia, secondo quanto previsto dal “piano Guzzoni – Pariani”, che prevede l’impiego di una ventina di divisioni, non attuabile nell’immediato visti i tempi necessari per il contingentamento.
Viene creato un casus belli: il 26 ottobre si diffonde la notizia di un attacco avvenuto la stessa mattina a un posto di frontiera albanese da parte di una banda greca con armi da fuoco. Atene nega. Alle 3 di notte circa del 27 ottobre Grazzi si reca con il colonnello Mondini direttamente a casa di Metaxas, con l’ultimatum redatto da Ciano e Mussolini, che ha scadenza alle 6, tre ore dopo:
“Tutto ciò non può essere dall’Italia ulteriormente tollerato … il governo italiano è venuto pertanto nella determinazione di chiedere al governo greco, come garanzia della neutralità della Grecia e come garanzia della sicurezza dell’Italia, la facoltà di occupare con le proprie forze armate per la durata del presente conflitto con la Gran Bretagna alcuni punti strategici in territorio greco. (..) che esso non si opponga a tale occupazione e non ostacoli il libero passaggio delle truppe destinate a compierla. (..) che esso dia immediatamente gli ordini necessari perché tale occupazione possa avvenire in maniera pacifica”.
“Alors, c’est la guerre”. Metaxas sceglie il francese per comunicare, con gli occhi lucidi, al ministro italiano la posizione greca: non gli sarebbe possibile avvisare tutti i reparti militari di non opporre resistenza in così poco tempo. È per forza la guerra.

È guerra
Il 28 ottobre 1940 nove divisioni italiane invadono il territorio greco, senza un piano preciso e senza l’appoggio bulgaro, dal momento che re Boris non ha per ora alcun interesse a partecipare a un’invasione congiunta che non è nemmeno stata approvata dalla Germania.
Basta poco tempo per far naufragare le previsioni di facile vittoria e le prime fasi del piano di Visconti Prasca. L’esercito deve sfondare le poco difese linee costiere, mentre altri supporti dovrebbero arrivare da Corfù, presa nel frattempo dalla Marina. Già il 29 ottobre la presa dell’isola è dichiarata rimandata a causa del cattivo tempo, che mette in ginocchio anche le truppe di frontiera che trovano pantano sulla strade e piccoli torrenti che si sono gonfiati, quando nessuno è attrezzato per il guado.
Se pur il Raggruppamento Litorale sfonda in profondità, dal lato macedone c’è una forte penetrazione dei greci in territorio albanese. La Julia, impegnata nel massiccio del Pindo, è isolata e senza rifornimenti. Al centro del fronte la divisione corazzata Centauro, attardata dal fango, si divide per offrire supporto alle divisioni Ferrara e Siena che la precedono cercando di conquistare la zona del Metzovo. I greci, guidati dal generale Papagos, intanto, convogliano divisioni nelle aree più debolmente coperte dagli italiano: in Epiro e sul quadrante macedone.
Viene a mancare il fondamentale apporto dell’aeronautica, nella quale aveva compiti essenziali la IV squadra, collocata in Puglia, che per il primo periodo mandava comunicazioni attraverso un ufficiale che andava avanti e indietro tra Brindisi e Tirana.
Il 6 novembre, visti i neri presagi, lo Stato Maggiore costituisce il Gruppo di armate di Albania, quattro corpi d’armata che per dicembre avrebbero svolto un compito difensivo almeno per tutto l’inverno, salvo un ingresso dell’alleato bulgaro. Visconti Prasca viene declassato, poi sostituito e a fine novembre congedato. Da qui al marzo 1941 è una continua, altalenante e disorganizzata immissione di truppe in terra greca.
Nel frattempo gli inglesi iniziano a mandare squadriglie di cacciabombardieri ad Atene e di lì a poco il generale Papagos decide per un attacco sul fronte macedone e il 19 novembre Suddu, temporaneo sostituto di Visconti Prasca prima dell’insediamento di Geloso, decide per una ritirata di 50 km e Corzia è in mano greca. In effetti si tratta di una ritirata ordinata, ma che costa molto in termini di perdite di materiale. Il Duce, fino al giorno precedente, così si esprime:
“(…) Dissi che avremmo spezzato le reni al Negus. Ora, con la stessa certezza assoluta, ripeto assoluta, vi dico che spezzeremo le reni alla Grecia. In due o in dodici mesi non importa. La guerra è appena incominciata (…).”
Ma quando dopo la disfatta riceve un messaggio di disappunto da Hitler, inizia ad accampare scuse che vanno dalle condizioni meteo al comportamento della Bulgaria e si mostra accondiscendente alla proposte del Führer.
A fine novembre i greci, comandati dal generale Tsolakoglu, conquistano Pogradec, bastione difensivo fondamentale per gli italiani in terra albanese. I gerarchi fascisti, che stanno facendo ricadere le colpe sul Capo di Stato Maggiore Badoglio, fanno sì che “decida” di dare le dimissioni. Il suo sostituto, Ugo Cavallero, a inizio dicembre è già volato in Albania dove gli viene palesata la scarsità di mezzi e le forti perdite tra le truppe.
L’offensiva greca dal fronte macedone all’orlo meridionale del Ridotto Centrale (insieme di posizioni di montagna, racchiudenti Tirana e i porti di Durazzo e Valona) stringe le forze italiane e sul fronte del litorale i loro avversari prendono Porto Palermo e attaccano la città di Himara. Solo con in Natale e con il gelo dell’inverno c’è un assestamento del fronte e uno stop alle offensive di Papagos. Questo dà all’esercito italiano il tempo di accogliere, finalmente, i rinforzi costituiti dalle 20 divisioni previste dal piano Guzzoni‐Pariani. Queste però non servono a dare il via alla grande offensiva. Anzi, sono i greci ad attaccare Klisura e a costringere l’avversario a rinunciare all’avanzata sul litorale.
L’arrivo dei tedeschi e la fine della campagna
Quello di Klisura è l’ultimo successo di Atene. L’11 gennaio 1941, il giorno dopo, l’attendente militare Von Rintelen, a Tirana, paventa a Cavallero l’impiego di una divisione tedesca in Grecia. Pochi giorni più tardi il Duce incontra Hitler e ne recepisce le intenzioni. Decide che, prima dell’intervento alleato, deve portare a casa qualche conquista personale.
A fine mese Metaxas muore e a inizio marzo Mussolini si trasferisce in Albania per iniziare la sua ispezione dei Balcani e poter partecipare all’offensiva che considera decisiva per una brillante riuscita della campagna di Grecia. Il piano Cavallero prevede un’azione concentrata sulla Val Desnizza con le roccaforti Klisura e Suka. È proprio lì, però, che gli avversari hanno concentrato le loro forze. L’offensiva fallisce con un bilancio di dodicimila vittime tra morti e feriti. Mussolini, nel primo giorno di primavera del 1941, torna in Patria deluso e ansioso di scaricare le colpe della disfatta:
“Sono nauseato di questo ambiente. Non abbiamo progredito di un passo. Mi hanno ingannato fino ad oggi. Disprezzo profondamente tutta questa gente”.
La Grecia deve ora prepararsi all’offensiva tedesca proveniente dal fronte bulgaro. In accordo con gli inglesi, che si preparano a mandare centomila uomini, Papagos è pronto a spostare su quella linea difensiva le truppe stanziate nel centro del Paese e parte dello schieramento greco in Albania. Nel mentre greci e inglesi aspettano una risposta di amicizia dalla Jugoslavia, che per mano del reggente Paolo Karađorđević, nel frattempo, entra a far parte dell’Asse il 25 marzo. Contro questa decisione, due giorni dopo con un colpo di stato viene incoronato il nipote minorenne Pietro II. Hitler non prende bene questo voltafaccia e si prepara ad attaccare i Balcani.
Ai primi di aprile i generali tedeschi hanno pronta un’azione, coordinata all’operazione greca, contro la Jugoslavia e consegnano al primo ministro greco Korizis una dichiarazione di guerra che non offre condizioni. Agli italiani viene affidato il semplice compito di resistere sul fronte albanese e, mentre tre giorni dopo capitola la linea Metaxas sul confine bulgaro, vengono spinti a un’offensiva a sorpresa che gli permette di entrare in territorio jugoslavo e ricongiungersi con l’alleato. In territorio ellenico, il 12 aprile, Papagos, ordina la ritirata alle divisioni greche della Macedonia occidentale e dell’Epiro, gli italiani entrano finalmente in Val Desnizza e riconquistano Klisura.
Il 19 aprile, ad Atene, re Giorgio, in una riunione con Papagos, il generale Wilson e il generale Wavell, ordina l’evacuazione delle truppe inglesi dalla Grecia, che avviene a fine aprile da piccoli porti dell’Attica, dopo una campagna costata quindicimila tra morti, feriti e prigionieri. Nel frattempo, il 21, la Germania ha ottenuto la resa. Il 23 viene firmato l’armistizio definitivo e decretata quindi la tripartizione della Grecia tra tedeschi, italiani e bulgari.
A Mussolini spetta gran parte della Grecia continentale, le isole Jonie, le Sporadi settentrionali e le Cicladi. A guidare l’occupazione è il generale Geloso, ma questa avviene in modo disorganizzato e non omogeneo, lasciando scoperte diverse aree, cosa che creerà problemi nella difesa dalla resistenza greca. Inoltre, gli italiani, non si danno da fare per conquistare il rispetto degli occupati. “Armata s’agapò (ti amo)”, così vengono definite le forze occupanti, per la loro inclinazione, oltre che verso le donne, alla corruzione e ai traffici illeciti.
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- Mario Cervi, Storia della guerra di Grecia, BUR, 2013
- Phoebus Athanassiou, Gli eserciti della campagna italiana di Grecia (1940-1941), LEG Edizioni, 2019
- Stefano Gambarotto, La campagna di Grecia, Editoriale Programma, 2020