CONTENUTO
Il carteggio tra Vittorio Emanuele II e papa Pio IX
All’inizio del settembre 1870 i francesi subiscono una pesantissima sconfitta a Sedan che li costringe ad arrendersi definitivamente alla Prussia di Otto von Bismarck. Con la caduta di Napoleone III e la fine del suo impero, Vittorio Emanuele II non ha più alcun ostacolo che gli impedisca di prendere Roma per annetterla al proprio Regno.
L’8 settembre il sovrano invia da Firenze una lettera al papa Pio IX con la quale lo informa della decisione di procedere all’occupazione della città eterna. Dopo i vari tentativi di accordo andati a vuoto precedentemente, lo scopo principale della missiva è quello di giustificare formalmente l’intervento militare:
“Beatissimo Padre, un turbine pieno di pericoli minaccia l’Europa. Il partito della rivoluzione cosmopolita cresce di baldanza e d’audacia e prepara specialmente in Italia e nelle province governate da V.S. le ultime offese. Ma io essendo re cattolico, e re italiano, sento il dovere di prendere in faccia all’Europa e alla cattolicità la responsabilità del mantenimento dell’ordine nella penisola italiana e della sicurezza della Santa Sede. Io veggo l’indeclinabile necessità, per la sicurezza dell’Italia e della Santa Sede, che le mie truppe, già poste a guardia dei confini, si inoltrino per occupare le posizioni indispensabili per la sicurezza di Vostra Santità e per il mantenimento dell’ordine. La Santità Vostra non vorrà vedere, in questo provvedimento di precauzione, un atto ostile.”
Papa Pio IX risponde l’11 settembre con un deciso rifiuto:
“Ciò che leggo è indegno di un figlio affettuoso che si vanta di professare la fede cattolica e che si gloria di regia lealtà. Io non posso ammettere le domande espresse nella sua lettera, né aderire ai principi che essa contiene.”
Soltanto fino a poche settimane prima si è svolto, in San Pietro, il Concilio Ecumenico Vaticano I, apertosi l’8 dicembre 1869, durante il quale viene approvato il dogma dell’infallibilità papale in materia di fede e morale.
Raffaele Cadorna al comando dell’Esercito italiano
Il compito di prendere Roma è affidato al “Corpo d’Esercito d’osservazione dell’Italia Centrale” comandato dal 59enne Raffaele Cadorna, un solido e stagionato ufficiale piemontese. A formare il corpo sono cinque divisioni alle quali vengono aggregate unità di cavalleria e battaglioni di bersaglieri per un totale di sessanta mila uomini.
A difendere Roma, che conta all’epoca duecento mila abitanti, vi è un esercito di quindici mila soldati di varie nazionalità alle dipendenze del generale Hermann Kanzler che dispone i suoi uomini lungo le mura antiche che rappresentano i confini della città. Il giorno precedente Kanzler ha ricevuto una lettera scritta dal pontefice con la quale riceve l’ordine di resistere quel tanto che basta per mostrare al mondo intero che il papato si piega solo di fronte alla forza militare degli invasori.
“In quanto poi alla durata della difesa sono in dovere di ordinare che questa debba unicamente consistere in una protesta, atta a constatare la violenza e nulla più, cioè di aprire trattative per la resa ai primi colpi di cannone. Non si dica mai che il Vicario di Cristo, quantunque ingiustamente assalito, abbia a consentire a qualunque spargimento di sangue.”
La breccia di Porta Pia: la presa di Roma del 20 settembre 1870
All’alba del 20 settembre 1870 le divisioni comandate da Cadorna prendono posizione lungo le mure Aureliane di Roma e alle cinque e mezza viene sparato il primo colpo di cannone. La resistenza è particolarmente intensa nella zona di Porta San Pancrazio, dove il generale Nino Bixio riesce dopo un pò a ridurre al silenzio le batterie nemiche solo con un fuoco intensissimo di artiglieria, tutto ciò mentre Cadorna, al quartier generale a Villa Albani, aspetta impazientemente l’annuncio della resa della città.
Egli si rende perfettamente conto dell’importanza della missione che gli è stata affidata ma, allo stesso tempo, è conscio del fatto che personalmente ha tutto da perdere poiché dal punto di vista militare non si tratta di un’impresa gloriosa. Nel giro di tre ore il tratto di mura compreso tra Porta Pia e Porta Salaria comincia a cedere di fronte al bombardamento continuo:
“Dal polverio di frantumi e di calcinacci che s’innalzava ad ogni colpo, le macerie cominciavano a staccarsi dalle mura bersagliate: l’effetto dei proiettili si scorgeva ad occhio nudo. Quando, durante una breve pausa del cannoneggiamento, l’aria mossa strappava il denso velo di fumo, si vedeva facilmente che la breccia diventava sempre più larga…”
Una ricognizione effettuata alle 9,30 conferma che la breccia apertasi presso Porta Pia sulla via Nomentana è praticabile; i bersaglieri possono entrare così per primi all’interno di Roma. Dentro le mura cittadine si sparano ancora alcuni colpi fino a quando nel primo pomeriggio si concludono le trattative di resa della città che viene presa in consegna dell’esercito italiano. La battaglia è costata al Corpo di spedizione 56 morti e 143 feriti, mentre alle forze pontificie 20 caduti e 49 feriti.
Tutto si svolge con estrema sobrietà e decoro. Ha luogo l’ultima adunata delle truppe pontificie davanti al pontefice per la benedizione e subito dopo la loro sfilata d’addio davanti a Raffaele Cadorna. Segue poi la sfilata dell’esercito italiano che procede in tranquillità e viene guastata solo da due piccoli imprevisti: Nino Bixio si mette a litigare con alcuni zuavi e viene rimproverato in pubblico da un infastidito Cadorna; un sottotenente che porta la bandiera del 41° Fanteria sviene per l’emozione del momento.
Come reagisce il papa alla Breccia di Porta Pia?
Si compie così l’ultimo atto del Risorgimento italiano, dieci mesi dopo la capitale del Regno d’Italia viene trasferita da Firenze a Roma. Per usare le parole del politico e filosofo Francesco De Sanctis si chiude l’epoca della lunga crisi politica e spirituale dell’Italia cominciata nel XVI secolo:
“In questo momento che scrivo, le campane suonano a distesa e annunziano l’entrata degli Italiani in Roma. Il potere temporale crolla. E si grida all’unità d’Italia. Sia gloria al Machiavelli che per primo l’ha auspicata.”
A pochi giorni di distanza dalla breccia di Porta Pia e dalla presa di Roma, il 1 novembre Pio IX emana l’enciclica Respicientes nella quale dichiara “ingiusta, violenta, nulla e invalida” l’occupazione dei domini della Santa Sede. Nonostante ciò l’anniversario del 20 settembre diventa festività nazionale fino al 1930, quando viene abolito a seguito della firma dei Patti Lateranensi.
Consigli di lettura: clicca sul titolo e acquista la tua copia!
- Hubert Heyriès – La breccia di Porta Pia. 20 settembre 1870, Il Mulino, 2020.
- Vittorio Vidotto – 20 settembre 1870, Laterza, 2020.
- Raffaele Cadorna – La Liberazione di Roma nell’Anno 1870 ed IL Plebiscito: Narrazione Politico-Militare.