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La Repubblica si può reggere col 51%, la Monarchia no. La Monarchia non è un partito. È un istituto mistico, irrazionale, capace di suscitare negli uomini incredibile volontà di sacrificio. Deve essere un simbolo caro o non è nulla. (Umberto II di Savoia)
Nascita ed infanzia di Umberto II di Savoia
L’esperienza umana di Umberto ha inizio alle undici di sera del 15 settembre 1904 durante un violento temporale. L’erede al trono del regno d’Italia nasce all’interno del castello di Racconigi, tenuta sabauda di epoca neoclassica a metà strada tra Torino e Cuneo, dopo un parto svoltosi a lume di candela per l’assenza di luce elettrica a causa delle avverse condizioni atmosferiche. Uscito dalla stanza del parto il ginecologo Ottavio Morisani, arrivato appositamente da Roma per l’evento, può felicemente annunciare al sovrano con tono trionfante: “E’ nato un principe di casa Savoia!”.
Umberto è, infatti, il terzogenito del re Vittorio Emanuele IIIe della regina Elena del Montenegro, prima di lui sono nate due bambine Jolanda e Mafalda, e a lui seguiranno Giovanna e Maria Francesca. Il battesimo in forma privata del neonato si svolge la sera del 16 settembre nella cappella del castello e gli vengono imposti cinque nomi: Umberto e Nicola in ricordo dei nonni, Tommaso come lo zio duca di Genova, Giovanni e Maria. La cerimonia pubblica del battesimo ha luogo, invece, al palazzo del Quirinale qualche giorno dopo, alla presenza dei dignitari di Stato, delle dame di Corte e dell’alta aristocrazia.
I primi anni di vita Umberto li trascorre in famiglia, principalmente tra le tenute di Racconigi, San Rossore e Villa Ada, circondato dall’affetto della madre Elena da cui ha ereditato i principali tratti fisici come la capigliatura, gli occhi e il colorito di carnagione. Dopo aver svolto le cinque classi elementari a casa con maestri privati, il principe viene iscritto al Collegio Militare romano della Longara.
Educazione di Umberto II
L’ingresso dell’Italia nella prima guerra mondiale catapulta per la prima volta l’undicenne Umberto nella propaganda bellica. Raggiunge il padre al fronte e con lui presenzia a parate e cerimonie pubbliche, incontra autorità militari e truppe condividendo con i soldati le ristrettezze quotidiane e distinguendosi positivamente per la precisione con cui adempie ai compiti assegnati. Nell’inverno del 1917 il principe accoglie a Battaglia Terme in provincia di Padova, insieme a tutta la famiglia reale, i sovrani Alberto ed Elisabetta del Belgio giunti ufficialmente in Italia per visitare il fronte di guerra.
Il vero scopo della visita è, però, un altro: far conoscere Umberto e la principessa del Belgio Maria José che sta frequentando in quegli anni l’aristocratico collegio di Poggio Imperiale proprio per ricevere un’educazione italiana. I contatti tra le due famiglie sono avviati da tempo e probabilmente durante questo incontro il progetto matrimoniale per i due eredi si concretizza definitivamente.
Una volta terminato il conflitto Umberto, secondo le tradizioni di famiglia, viene affidato all’ammiraglio Attilio Bonaldi per ricevere l’educazione necessaria a diventare il futuro sovrano. La formazione impartita dall’ammiraglio è rigorosa e severa: le giornate del principe sono improntate al modello di quelle dei soldati e alle tante ore di studio si alternano diverse attività sportive tra cui l’equitazione, la corsa, la danza e i saggi ginnici.
Tutto questo contribuisce a soffocare leggermente la personalità del giovane principe al quale viene inculcato in testa, tra i vari insegnamenti, il principio fondamentale di casa Savoia secondo cui si regna una alla volta. Per questo motivo Umberto è escluso dalle vicende politiche e dalle principali questioni relative allo Stato e si pretende da lui un leale atteggiamento di reverenza e obbedienza verso il padre che difatti manterrà sempre durante tutta la vita, anche nei lunghi e tristi anni dell’esilio.
“Umberto non doveva occuparsi di politica. Non gli era consentito neppure di seguire troppo da vicino gli avvenimenti, e tanto meno di fare discorsi indiscreti, di esercitare un’influenza propria. Doveva stare sottomesso al padre, verso il quale aveva il più assoluto rispetto. Non si permetteva mai di giudicarlo o di mancare minimamente all’esecuzione dei suoi ordini. Di fronte agli estranei, quando era presente il re, parlava soltanto se interrogato. Era la vecchia scuola dell’obbedienza che, si dice, prepara al comando”[1].
La popolarità del giovane Umberto II di Savoia principe di Piemonte
All’età di diciassette anni, nel 1921, il principe pronuncia il suo primo giuramento militare al termine del suo ciclo di studi al Collegio della Longara e l’anno seguente, nel giorno del suo diciottesimo compleanno, ottiene la nomina a sottotenente dei granatieri.
E’ un momento felice e spensierato per Umberto il quale riceve l’apprezzamento delle donne di ogni età che gli riconoscono la grande signorilità e il fascino del principe moderno. Ogni sua apparizione pubblica è un successo tanto che anche piccoli suoi gesti, come ad esempio quello particolare che è solito fare durante il saluto militare, diventano popolari e di tendenza.
Le prince charmant, come viene definito da alcuni giornali stranieri, ama la compagnia, partecipa non di rado a numerose feste da ballo nelle abitazioni private di amici dell’alta società e intorno a lui si crea un nutrito gruppo di persone raffinate e colte tra cui vale la pena ricordare il futuro regista Luchino Visconti di Modrone.
La stampa di quegli anni, intenta a costruire l’immagine del principe conquistatore di cuori, accosta alla figura di Umberto anche due famose dive del cinema americano come Jeannette McDonald e la messicana Dolores Del Rio illudendo a possibili relazioni sentimentali delle quali però non vi è alcun riscontro storico.
Il Principe di Piemonte Umberto e Milly
L’11 novembre del 1925, giorno del compleanno di Vittorio Emanuele III, Umberto consegue la laurea in legge all’università di Padova e lascia l’accademia di Modena con il grado di tenente di fanteria. Una volta concluso, dunque, il periodo formativo arriva il momento di iniziare a ricoprire ufficialmente il ruolo di principe ereditario. Umberto si trasferisce a Torino, all’interno del palazzo reale dei suoi avi, e presta servizio in qualità di Ufficiale nel 90° Reggimento di Fanteria.
Il periodo trascorso nella prima capitale del Regno d’Italia è ricco di soddisfazioni per il principe che assume un atteggiamento impeccabile in ogni apparizione pubblica e durante l’orario del servizio in caserma. Le serate le trascorre spesso in compagnia di tanti amici, molti esponenti dell’aristocrazia piemontese. E’ in questa fase della vita che Umberto conosce Milly, pseudonimo di Carolina Francesca Giuseppina Mignone, una soubrette che si esibisce al teatro Michelotti.
Dopo il primo incontro il principe si reca di frequente agli spettacoli dell’attrice, sedendosi sempre in prima fila, e lei ogni tanto gli fa visita al palazzo reale per ricambiare la visita e condividere del tempo insieme. La frequentazione tra i due diventa immediatamente di dominio pubblico e la notizia giunge presto anche a Roma, al palazzo del Quirinale.
L’intervento del re non si lascia attendere: convocato il figlio con urgenza nella capitale gli impartisce l’ordine perentorio di interrompere la relazione con la soubrette. Seppur invaghito della donna il principe obbedisce al comando paterno e gli incontri con Milly diminuiscono fino ad interrompersi del tutto.
Umberto, come gli è stato insegnato, continua a tenersi fuori dalle vicende politiche e verso il regime fascista di Benito Mussolini non nutre sin dal principio alcuna simpatia, anche se esteriormente nel suo ruolo di principe ereditario non lo darà mai a vedere. Gli anni a Torino lo avvicinano alla religione: a differenza del padre, infatti, Umberto è un credente praticante, partecipa alla messa quotidianamente e visita diversi luoghi santi. La fede religiosa lo accompagnerà nel corso di tutta l’esistenza, anche durante i difficili anni dell’esilio.
Il matrimonio di Umberto II con la principessa Maria Josè
Una sera dell’estate 1928 Umberto riceve la telefonata del re che lo informa dell’accordo raggiunto tra le due famiglie reali per il suo matrimonio con la principessa del Belgio Maria Josè di Sassonia Coburgo. Appresa la notizia il principe intraprende un viaggio in solitaria trascorrendo un breve periodo nella località svizzera di Sankt-Moritz prima di recarsi in visita privata dai sovrani del Belgio per incontrare la futura sposa.
Maria Josè ha in quel momento ventidue anni, due in meno di Umberto, è alta e magra, con capelli biondi crespi e occhi azzurri e cosa più importante, ha ricevuto un’educazione cattolica. E’ stata preparata a questo matrimonio già da diversi anni e l’incontro con il principe si svolge in un’atmosfera serena e fiduciosa.
“Il Belgio richiamava i ricordi della Grande guerra. I Sassonia Coburgo erano cattolici. La principessa era sana, robusta, sportiva, non proprio bella ma imponente, educata con criteri moderni, più intelligente della maggior parte delle donne della sua condizione, abbastanza colta anche delle cose italiane. Per di più era ricca: lo zio e predecessore di suo padre, Leopoldo II, aveva lasciato un favoloso patrimonio. Era impossibile trovare di meglio per l’erede al trono d’Italia”[2].
Le nozze reali vengono celebrate l’8 gennaio 1930 a Roma, nella cappella Paolina del Quirinale, alla presenza di regnanti, uomini di Stato e importanti autorità militari. La cerimonia è fastosa e genera un entusiasmo incontenibile tra la folla che acclama la coppia mentre si affaccia dal balcone del palazzo per il saluto di rito. Umberto è popolare e Maria Josè suscita simpatia immediata.
Dopo un breve soggiorno in Valle d’Aosta i principi di Piemonte si stabiliscono a Torino dove rimangono per due anni, probabilmente i più felici della loro unione. Maria Josè è innamorata del marito e si approccia al matrimonio con spirito fiducioso. E’ una donna indipendente, anticonformista e informale, amante della cultura e della libertà individuale, poco apprezza i fasti dell’etichetta reale e cerca spesso distrazione in alcuni circoli intellettuali.
Le profonde differenze di carattere, di passioni, di abitudini e di gusti si manifestano, sin da subito, ai due coniugi e risultano determinanti nel fallimento del matrimonio, perlomeno a livello privato. I due principi, infatti, di comune accordo e per dovere dinastico, decidono di non interrompere la loro unione e di adempiere fino in fondo ai rispettivi doveri.
Il 24 settembre 1934 nasce a Napoli, dove la coppia si è trasferita, la primogenita Maria Pia alla quale seguono nel 1937 Vittorio Emanuele, nel 1940 Maria Gabriella e nel 1943 Maria Beatrice.
Durante il periodo della guerra coloniale d’Etiopia la principessa Maria Josè si imbarca come crocerossina sulla nave Cesarea, diretta in Africa Orientale, per fare poi ritorno in patria dopo pochi mesi a guerra vinta. Per Umberto, invece, sono anni complicati e privi di reali soddisfazioni, trascorsi quasi nell’anonimato per colpa anche del regime fascista che cerca in ogni modo di oscurarlo. Nonostante sia comandante della divisione Volturno gli viene impedito di seguire i soldati in Etiopia ufficialmente per motivi precauzionali.
Umberto II durante la seconda guerra mondiale
Il principe osserva poi con diffidenza e preoccupazione il graduale avvicinamento tra Mussolini e Adolf Hitler. Mentre l’Italia espande la propria sfera d’influenza in Albania, Umberto viene volutamente tenuto lontano da incarichi importanti. Solo in pochi casi, il sovrano acconsente al fatto che gli sia assegnato un comando di rilievo. Umberto, come sempre, ubbidisce adottando un atteggiamento disciplinato e prudente e seguendo fino in fondo la linea di condotta del proprio dovere di principe.
«Come militare io assolsi sempre il mio dovere: era questo l’esempio che dovevo dare. Quanto alle mie idee personali sul Fascismo […], rifuggii sempre da ogni atteggiamento politico specifico» [3].
Le cose sembrano cambiare inizialmente con l’ingresso dell’Italia nella seconda guerra mondiale quando Umberto ottiene il comando dell’armata al confine francese, tuttavia le operazioni militari sono limitate e di scarsa importanza per il crollo immediato della Francia. Negli anni successivi il regime non concede al principe nessuna occasione di visibilità per non aumentarne la popolarità negandogli anche la possibilità di ispezionare reparti al di fuori del territorio nazionale.
Nel febbraio del 1942 gli viene affidato il comando delle Armate Sud che prevede il controllo di un marginale stanziamento ad Anagni. Escluso totalmente dalla guerra, Umberto si allinea alle posizione oramai avversa al regime della moglie Maria Josè, ispettrice nazionale della Croce rossa, e insieme realizzano diverse azioni umanitarie a sostegno della popolazione italiana provata dall’immane conflitto.
Umberto II Luogotenente del Regno d’Italia
Umberto II e Maria Josè non ricoprono alcun ruolo attivo nelle vicende che portano alla caduta del fascismo il 25 luglio 1943: «Teniamo da parte i giovani» pare abbia detto in quelle circostanze il ministro della Real Casa, Pietro d’Acquarone, rivolgendosi a Pietro Badoglio. Maria José per volontà del sovrano riceve l’ordine da Acquarone di recarsi con i figli a Sant’Anna di Valdieri, nelle montagne piemontesi, per non far correre rischi alle bambine e all’erede al trono.
Umberto, invece, l’8 settembre è convocato con urgenza a Roma dal padre che gli comunica la firma dell’armistizio e gli ordina di seguirlo nel suo trasferimento prima a Pescara e poi a Brindisi. Il principe è contrario al precipitoso trasferimento in quelle modalità e insiste per restare nella capitale, ma è tutto inutile perché il re, spalleggiato dal maresciallo Badoglio suo superiore in grado, gli impone la propria volontà.
Una volta a Brindisi Umberto si adopera incessantemente facendo visita a resti di truppe italiane presenti nel territorio meridionale e ai comandi alleati, interessandosi delle innumerevoli necessità quotidiane delle popolazioni delle terre liberate, tenendo frequenti contatti con i generali angloamericani. Il principe parla perfettamente l’inglese, così come il padre, e gli alleati ne apprezzano l’impegno, lo zelo e il coraggio in battaglia alla guida dei reparti del regio esercito.
Il generale americano Mark Clark annota nelle sue memorie riferendosi ad Umberto: “Più di una volta mi attraversò la mente l’idea che come rappresentante di casa Savoia non solo egli fosse pronto a morire in battaglia, ma che si esponesse volontariamente alla morte”.
Il 14 febbraio Umberto si trasferisce a Ravello con la famiglia reale per lo spostamento della capitale del regno a Salerno e viene accolto in casa dell’amico Giuseppe Compagni. Due mesi dopo, il 12 aprile, Vittorio Emanuele III si piega parzialmente alle pressioni degli alleati e dei suoi consiglieri e accetta l’istituto della Luogotenenza con il quale delega, al momento della liberazione della città di Roma, tutti i suoi poteri da sovrano al figlio pur restando ufficialmente in carica seppur in una posizione totalmente defilata.
Il nuovo Luogotenente del Regno dimostra una maturità e un senso di responsabilità quasi inaspettati ma necessari ad affrontare le tante difficoltà che ostacolano il suo cammino. Arrivato a Roma il pomeriggio dell’8 giugno, Umberto incontra subito, nelle nuove vesti di Capo dello Stato, il generale Clark, comandante della V Armata americana, e di seguito il nunzio apostolico Francesco Borgoncini Duca e Badoglio dal quale accetta le dimissioni. Subito dopo si reca in Vaticano per fare visita a papa Pio XII, quindi al rientro al Quirinale incontra il nuovo Presidente del Consiglio Ivanoe Bonomi.
Dopo qualche settimana trascorsa a Salerno, Umberto si stabilisce definitivamente al Quirinale il 15 luglio 1944 e tra le sue prime azioni vale la pena ricordare la decisione di cambiare i membri del suo entourage privato: il generale Adolfo Infante diventa suo aiutante di campo e Falcone Lucifero ministro della Real Casa. Il Luogotenente, nella sua linea di assoluta collaborazione con antifascisti ed alleati, continua ad essere presente tra le truppe per tenere alto il morale nonostante l’ostilità dei comandi alleati. Tra i soldati c’è chi dimostra simpatia e affetto verso il principe e chi, invece, manifesta indifferenza.
Umberto svolge con zelo le sue attività di rappresentanza: apre le residenze sabaude a sfollati e a feriti e s’impegna freneticamente in una serie di impegni istituzionali su tutto il territorio nazionale. Si mette al servizio della popolazione non preoccupandosi troppo del proprio aspetto fisico tanto da indossare quotidianamente la stessa divisa militare fino a quando qualcuno non gli fa notare che le maniche sono sfilacciate e che è da cambiare perché consumata.
Il 20 novembre il Luogotenente del regno affronta la sua prima crisi ministeriale accettando le dimissioni di Bonomi e avviando le consultazioni tra i diversi esponenti politici. Il suo obiettivo principale è quello di rasserenare il Paese, cercando allo stesso tempo di riscattare l’immagine della dinastia compromessa agli occhi di molti italiani dopo gli anni del fascismo.
Il lavoro svolto da Umberto con spirito leale e comportamento regale viene apprezzato da diversi politici tra cui Ferruccio Parri: «Egli accoglie i ministri repubblicani con animo tranquillo e imparziale; firma leggi che certamente non condivide; si sottomette, nella formazione dei governi, alle designazioni dei partiti. Non può fare altro certamente. Ma lo fa con molta grazia, con molto impegno. Quelli che vanno a trovarlo restano impressionati dal suo sorridente equilibrio»[4].
Nelle ore della liberazione Umberto si trova tra Verona e Torino prima e poi a Milano dove è protagonista sua malgrado di una violenta manifestazione partigiana capitanata da Sandro Pertini che degenera con l’esplosione di alcuni colpi di arma da fuoco sparati da partigiani esaltati contro il palazzo dove il Luogotenente è ospitato.
Umberto II di Savoia, il quarto re d’Italia
Il 9 maggio 1946, a meno di un mese dal Referendum Istituzionale, Vittorio Emanuele III abdica in favore del figlio e parte insieme alla moglie per il suo esilio in Egitto. Questo estremo tentativo di salvare l’istituzione monarchica sembra ottenere buoni risultati e si manifesta, in diverse parti del paese, un riavvicinamento al nuovo sovrano anche grazie alla propaganda che riesce a raggiungere masse sempre più vaste della popolazione.
Nel frattempo sono rientrati al Quirinale anche Maria Josè e i quattro bambini per stare accanto ad Umberto nelle settimane che anticipano lo storico appuntamento referendario. Il 10 maggio si svolge un’imponente manifestazione monarchica davanti il palazzo regio, seguita il giorno seguente da quella repubblicana in piazza del Popolo. Il clima diventa teso in quei giorni durante la battaglia propagandistica senza esclusione di colpi e le tensioni sfociano in scontri tra monarchici e repubblicani in alcune città.
Umberto visita diverse zone del paese durante la campagna, in vista del voto referendario, ricevendo a volte applausi e incoraggiamenti, altre volte fischi e insulti. Egli, però, mantiene in ogni occasione la compostezza e la signorilità che lo contraddistinguono.
L’esito del Referendum Costituzionale del 2 giugno
L’attesa per i risultati del Referendum Costituzionale del 2 giugno 1946 diventa spasmodica sin da subito. I primi risultati registrano un vantaggio della Monarchia rispetto alla Repubblica. Tuttavia quando cominciano ad affluire i risultati del Nord le cose si ribaltano: alla fine, per una differenza di 2 milioni di voti, la monarchia viene liquidata.
I monarchici però non ci stanno e fanno ricorso alla Corte di Cassazione denunciando brogli. L’irregolarità segnalata consiste nel non aver preso in considerazione il numero delle schede nulle nel calcolo della maggioranza degli elettori votanti. Secondo l’interpretazione sostenuta dai monarchici, infatti, tale espressione deve intendersi come “la maggioranza dei consensi nella somma dei voti a monarchia, repubblica, schede bianche e schede nulle“. Il 10 giugno la Corte di Cassazione annuncia pubblicamente che avrebbe fornito i risultati definitivi del Referendum non prima del 18.
Umberto II di Savoia lascia l’Italia e parte per l’esilio
Nei due giorni che seguono si verificano dei tumulti in diverse città italiane che vedono protagonisti soprattutto gruppi di monarchici e comunisti. La sera del 12 giugno Umberto II apprende telefonicamente che il governo ha deciso di affidare al democristiano Alcide De Gasperi i poteri di Capo dello Stato; a quel punto il sovrano, con grande senso di responsabilità istituzionale, prende la decisione di abbandonare il paese per evitare altri disordini visto il clima da guerra civile che si respira in quelle ore.
Ai suoi collaboratori che lo invitano ad aspettare e a prendere in considerazione altre possibilità il giovane sovrano risponde in modo risoluto: “Casa Savoia ha fatto l’Unità d’Italia e non sarò certo io a dividerla“. All’alba del 13 il ministro della Real Casa prepara il piano d’azione per il re: una partenza pubblica con tutti gli onori dovuti al suo rango.
Accettata questa soluzione, Umberto II riceve nel primo pomeriggio al Quirinale amici, politici, funzionari per il commiato; quindi, con una rapida cerimonia, si congeda dai fedeli corazzieri e granatieri sulle emozionanti note della “Marcia Reale” che risuonano per l’ultima volta nel cortile e sale nell’auto che lo conduce all’aeroporto di Ciampino.
Qui, dopo aver salutato anche i suoi più stretti collaboratori, il re Umberto II sale sull’aereo che lo conduce a Cascais, in Portogallo, dove si trovano già da una settimana la moglie Maria Josè e i quattro figli Maria Pia, Vittorio Emanuele, Maria Gabriella e Maria Beatrice; solo pochi giorni prima l’esponente di casa Savoia aveva affermato:
“La Repubblica si può reggere col 51%, la Monarchia no. La Monarchia non è un partito. È un istituto mistico, irrazionale, capace di suscitare negli uomini incredibile volontà di sacrificio. Deve essere un simbolo caro o non è nulla.”
Lo stesso Umberto II ricorderà successivamente questi momenti così intensi: “Avevo addosso un senso di smarrimento quasi infantile. Ero incapace di pensare, avevo la sensazione di essere immerso in un clima irreale. Poi mi resi conto che l’aereo saliva. Vidi Roma dall’alto, in un velo grigio di pioggia: di colpo riacquistai il senso della realtà. E in quel momento, lo confesso, non fui capace né mi curai di trattenere le lacrime“.
In serata viene diramato il proclama di Umberto II di cui esistono due testi, uno di sereno commiato e l’altro con un tono leggermente polemico, con il quale il reale di casa Savoia denuncia la presunta illegalità commessa dal governo nel trasferire subito le funzioni di Capo provvisorio dello Stato al Presidente del consiglio De Gasperi.
La replica ufficiale del governo agli attacchi di Umberto II è secca:
“E’ un documento penoso, impostato su basi false e su argomentazioni artificiose. Esso afferma il falso quando definisce come semplice comunicazione di dati la proclamazione dei risultati del Referendum fatta dalla Cassazione il 20 giugno”.
Nel pomeriggio del giorno seguente il Capo provvisorio dello Stato parla agli italiani attraverso la radio, cercando di mettere fine alle polemiche e alle recriminazioni e spendendo parole di comprensione per Umberto II:
Mi ripugna di rinnovare la polemica, anche perché il re, in molte circostanze del passato, l’ho trovato sempre molto conciliativo. So ben considerare la tragedia di quest’uomo che, erede di una disfatta e di funeste e fatali compromissioni con la dittatura, si è sforzato negli ultimi mesi di risalire la corrente, a furia di pazienza e di buon volere. Quest’ultima vicenda di una millenaria dinastia ci appare come una parte della catastrofe nazionale : è un’espiazione, ma tutti dobbiamo espiare, anche coloro che non hanno avuto o ereditato le colpe della dinastia.
Il messaggio di Alcide De Gasperi si conclude con un’esortazione al popolo:
Uniamoci, italiani, nel pensiero della Patria e dimostriamo la saldezza della nostra unità in confronto di chi insidia le nostre più care frontiere, speculando sui nostri disordini interni, e confermiamo, in vista delle trattative di pace, che il popolo italiano è risoluto a difendere il proprio sacrosanto diritto al suo avvenire.
Il 28 giugno 1946 l’Assemblea Costituente presieduta da Giuseppe Saragat elegge Enrico De Nicola capo provvisorio della Repubblica italiana.
L’esilio di Umberto II di Savoia, la partenza verso Cascais
Il proclama di Umberto II al popolo italiano
Italiani! Nell’assumere la Luogotenenza Generale del Regno prima e la Corona poi, io dichiarai che mi sarei inchinato al voto del popolo, liberamente espresso, sulla forma istituzionale dello Stato. E uguale affermazione ho fatto subito dopo il 2 giugno, sicuro che tutti avrebbero atteso le decisioni della Corte Suprema di Cassazione, alla quale la legge ha affidato il controllo e la proclamazione dei risultati definitivi del referendum.
Di fronte alla comunicazione di dati provvisori e parziali fatta dalla Corte Suprema; di fronte alla sua riserva di pronunciare entro il 18 giugno il giudizio sui reclami e di far conoscere il numero dei votanti e dei voti nulli; di fronte alla questione sollevata e non risolta sul modo di calcolare la maggioranza, io, ancora ieri, ho ripetuto che era mio diritto e dovere di Re attendere che la Corte di Cassazione facesse conoscere se la forma istituzionale repubblicana avesse raggiunto la maggioranza voluta.
Improvvisamente questa notte, in spregio alle leggi ed al potere indipendente e sovrano della Magistratura, il governo ha compiuto un gesto rivoluzionario, assumendo, con atto unilaterale ed arbitrario, poteri che non gli spettano e mi ha posto nell’alternativa di provocare spargimento di sangue o di subire la violenza.
Italiani! Mentre il Paese, da poco uscito da una tragica guerra, vede le sue frontiere minacciate e la sua stessa unità in pericolo, io credo mio dovere fare quanto sta ancora in me perché altro dolore e altre lacrime siano risparmiate al popolo che ha già tanto sofferto. Confido che la Magistratura, le cui tradizioni di indipendenza e di libertà sono una delle glorie d’Italia, potrà dire la sua libera parola; ma, non volendo opporre la forza al sopruso, né rendermi complice dell’illegalità che il Governo ha commesso, lascio il suolo del mio Paese, nella speranza di scongiurare agli Italiani nuovi lutti e nuovi dolori. Compiendo questo sacrificio nel supremo interesse della Patria, sento il dovere, come Italiano e come Re, di elevare la mia protesta contro la violenza che si è compiuta; protesta nel nome della Corona e di tutto il popolo, entro e fuori dai confini, che aveva il diritto di vedere il suo destino deciso nel rispetto della legge e in modo che venisse dissipato ogni dubbio e ogni sospetto.
A tutti coloro che ancora conservano fedeltà alla Monarchia, a tutti coloro il cui animo si ribella all’ingiustizia, io ricordo il mio esempio, e rivolgo l’esortazione a voler evitare l’acuirsi di dissensi che minaccerebbero l’unità del Paese, frutto della fede e del sacrificio dei nostri padri, e potrebbero rendere più gravi le condizioni del trattato di pace. Con animo colmo di dolore, ma con la serena coscienza di aver compiuto ogni sforzo per adempiere ai miei doveri, io lascio la mia terra. Si considerino sciolti dal giuramento di fedeltà al Re, non da quello verso la Patria, coloro che lo hanno prestato e che vi hanno tenuto fede attraverso tante durissime prove. Rivolgo il mio pensiero a quanti sono caduti nel nome d’Italia e il mio saluto a tutti gli Italiani. Qualunque sorte attenda il nostro Paese, esso potrà sempre contare su di me come sul più devoto dei suoi figli. Viva l’Italia!
Umberto
Roma, 13 giugno 1946
L’esilio di Umberto II a Cascais in Portogallo
Il conte di Sarre, questo il nome scelto da Umberto II per il suo esilio con richiamo all’omonimo paese in Valle d’Aosta caro ai Savoia, si stabilisce prima a Colare e, in seguito, a Cascais, in una residenza situata accanto a “Villa Italia” dove si trasferisce definitivamente nel 1961.
L’esilio di Umberto in Portogallo, sulle orme del suo antenato Carlo Alberto, inizia insieme alla moglie e ai figli, ma già nell’estate 1947 si arriva alla definitiva separazione quando Maria Josè si trasferisce con il figlio in Svizzera, a Merlingue, dove verrà presto raggiunta da Maria Gabriella e Maria Beatrice.
Inoltre un’altra amara delusione attende di lì a poco Umberto: con l’entrata in vigore della nuova Costituzione della Repubblica italiana il 1 gennaio 1948 il suo esilio acquista forza di legge costituzionale e diventa praticamente permanente. In questa circostanza l’ex re d’Italia non nasconde la propria sorpresa e l’amarezza per questa decisione:
«La mia partenza dall’Italia doveva essere una lontananza di qualche tempo in attesa che le passioni si placassero. Poi pensavo di poter tornare per dare anch’io, umilmente e senza avallare turbamenti dell’ordine pubblico, il mio apporto all’opera di pacificazione e di ricostruzione»[1].
Nonostante l’ingiustizia subita Umberto non rinuncia a quelli che percepisce come propri doveri istituzionali da sovrano, per questo motivo non abdica e continua a mantenersi aggiornato sulla politica italiana inviando anche messaggi in occasione di celebrazioni e ricorrenze. Si impegna particolarmente per la questione della Venezia Giulia e dell’Istria, indirizzando numerosi messaggi di vicinanza e solidarietà alle popolazioni di questi territori.
Nella villa di Cascais Umberto si costruisce un ambiente domestico simile a quello italiano e trascorre le giornate leggendo, studiando, informandosi sulle questioni italiane, accogliendo numerosi visitatori suoi compatrioti e illudendosi di mantenere vivo un contatto con l’Italia. Ai vari parenti che lo incontrano in diverse occasioni nel corso degli anni dell’esilio non sfugge la profonda nostalgia di Umberto per il proprio paese che traspare dal suo sguardo malinconico.
Umberto II parla agli italiani dall’esilio nel 1978
La malattia e la morte di Umberto II di Savoia in esilio
Silenzioso e lontano fisicamente ma non spiritualmente dalle vicende italiane, Umberto dimostra durante tutto il periodo dell’esilio un comportamento equilibrato e uno stile ammirevoli. Dal 1964 inizia una lunga lotta contro un tumore che viene mantenuto riservato e per il quale subisce diversi interventi chirurgici invasivi.
Il 14 maggio 1982, in un incontro privato avuto con Giovanni Paolo II nella sede della Nunziatura Apostolica in Portogallo, Umberto, ormai consapevole di essere giunto quasi alla fine della sua esperienza terrena, chiede al papa di intercedere presso il governo italiano in modo da ottenere il permesso di rientrare in Italia e poter morire nel proprio paese.
La classe dirigente e lo Stato italiano non si dimostrano all’altezza della situazione perdendo in questa circostanza una buona occasione per dimostrare generosità e nobiltà d’animo. Il governo fa finta di interessarsi della questione, si discute la possibile abrogazione della norma costituzionale sull’esilio ma si tira la cosa per le lunghe sperando che la morte dell’esponente di casa Savoia risolva lo spinoso problema senza ulteriori fastidi.
Umberto II si spegne nel pomeriggio del 18 marzo 1983, all’età di settantanove anni, in una clinica di Ginevra a causa di un tumore alle ghiandole linfatiche, ad accoglierne l’ultimo respiro è un’infermiera della struttura per la temporanea assenza della moglie e dei figli.
Ai funerali di Umberto II, celebrati il 24 marzo nell’antica abbazia di Altacomba in Savoia e disertati dalle autorità italiane, partecipano i rappresentanti delle principali case regnanti europee e circa quindici mila italiani. L’unica manifestazione ufficiale di cordoglio in Italia per la morte dell’ultimo re è della Juventus che decide di giocare la partita contro il Pisa con la fascia nera al braccio in segno di lutto. Le spoglie mortali di Umberto riposano, per suo espresso desiderio, proprio nell’abbazia di Altacomba, a fianco di quelle del re Carlo Felice.
I funerali di Umberto II di Savoia raccontati da Enzo Tortora
Note:
[1] Domenico Bartoli, La fine della monarchia, Milano, 1947, p.293.
[2] Ibid. pag.265.
[3] N. Bolla, Colloqui con Umberto II, Milano 1949, p. 87.
[4] Gianni Oliva, I Savoia, Mondadori, 1998, p. 17.
[5] G. Speroni, Umberto II. Il dramma segreto dell’ultimo re, Milano, 1992, p. 316.
Consigli di lettura: clicca sul titolo e acquista la tua copia!
- Ludovico Incisa di Camerana, L’ultimo re. Umberto II di Savoia e l’Italia della luogotenenza, Garzanti, 2016.
- Falcone Lucifero, La solitudine del re. Epistolario tra il re Umberto II di Savoia e il ministro della Real Casa marchese Falcone Lucifero, Helicon, 2019.
- Falcone Lucifero, L’ultimo re. I diari del ministro della Real Casa 1944-1946, Mondadori, 2002.
- Umberto II, il re degli italiani, Historica Edizioni, 2023. ,