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Biografia di Sandro Pertini
Nato a San Giovanni, frazione del Comune di Stella (Savona) il 25 settembre 1896, Sandro Pertini si avvicinò sin da giovane alla corrente riformista del Partito socialista italiano (PSI). Partecipò alla prima guerra mondiale distinguendosi per una serie di azioni di prima linea. Proposto per la Medaglia d’argento al valor militare, ricevette l’onorificenza soltanto nel 1985, essendo stato segnalato, nel 1915, come simpatizzante socialista su posizioni neutraliste. Si iscrisse al Partito socialista unitario nel 1924.
L’attività antifascista
Convinto antifascista, nel maggio del 1925 venne arrestato per aver redatto e distribuito il foglio clandestino Sotto il barbaro dominio fascista. Condannato a otto mesi di reclusione, beneficiò di un’amnistia e divenne bersaglio di ripetute violenze squadriste. A seguito della promulgazione delle leggi fascistissime fu raggiunto da un provvedimento di assegnazione al confino di polizia della durata di cinque anni. Entrò in clandestinità trovando asilo presso l’abitazione milanese di Carlo Rosselli. Conobbe Filippo Turati e fu uno degli organizzatori del suo clamoroso espatrio in Francia, impresa che gli valse la condanna in contumacia a dieci mesi di prigione.
Arresto di Pertini
Visse in esilio a Parigi e a Nizza, poi il 26 marzo 1929, utilizzando un passaporto falso intestato al cittadino svizzero Luigi Roncaglia, Pertini riuscì a rientrare in patria da Chiasso. Si mise all’opera per riannodare i fili della rete clandestina antifascista in varie città del Nord. Venne riconosciuto, denunciato alla polizia e arrestato il 14 aprile 1929. Deferito al Tribunale speciale, rivendicò la propria fede politica e i propri sentimenti antifascisti. Il 30 novembre 1929 fu condannato a dieci anni e nove mesi di reclusione e a tre anni di vigilanza. All’annuncio della condanna reagì inneggiando al socialismo e inveendo contro il fascismo.
Il carcere e il confino
In risposta a tale atteggiamento di sfida venne recluso nel carcere romano di Regina Coeli e successivamente trasferito in una cella di isolamento nel penitenziario di Santo Stefano. Il suo nome fu associato a quello dei principali capi antifascisti. Nel 1931 venne trasferito nel carcere di Turi, dove strinse amicizia con Antonio Gramsci. Nell’ottobre dello stesso anno sull’isola di Pianosa. Venne quindi inviato al confino a Ponza e da lì alle isole Tremiti. Dopo aver minacciato lo sciopero della fame, Pertini venne trasferito a Ventotene. Con la caduta di Mussolini (25 luglio 1943) tutti i confinati vennero liberati. Nell’agosto 1943, con Pietro Nenni e Giuseppe Saragat ricostituì il Partito socialista.
La Resistenza
Pertini divenne uno dei protagonisti della Resistenza e delle sue strutture di comando. Dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943 prese parte alla difesa di Roma a Porta San Paolo e per l’eroico comportamento verrà poi (1958) insignito della Medaglia d’oro al valor militare per meriti partigiani. Arrestato a Roma nell’ottobre 1943 e consegnato alle autorità germaniche, venne condannato, insieme con Giuseppe Saragat, a morte. La sentenza di morte contro Pertini e Saragat non venne tuttavia eseguita, grazie a un’audace azione dei partigiani delle Brigate Matteotti che, il 24 gennaio 1944, permise la loro fuga dal carcere. Organizzò e coordinò la lotta armata nelle regioni del Nord. Fu tra i massimi dirigenti del Comitato di liberazione nazionale dell’Alta Italia e tra gli organizzatori dell’insurrezione del 25 aprile 1945.
Pertini e la Repubblica Italiana
Segretario del PSI fino al dicembre 1945, fu direttore dell’Avanti! (1946–47, 1949-51). Il 2 giugno del 1946 venne eletto all’Assemblea costituente. Senatore nella I legislatura (1948-1953), nella II (1953-1958) fu eletto alla Camera dei deputati, per essere confermato senza interruzioni fino al 1976. All’interno del PSI evitò di porsi a capo di una corrente, preferendo il profilo di un riferimento ideale e di un esempio per i militanti più giovani. Il 5 giugno 1968 divenne Presidente della Camera dei deputati, il primo non democristiano, ruolo che ricoprì per tre mandati di fila (1968-1972, 1972-1976, 1976-1978).
Sandro Pertini Presidente della Repubblica
L’8 luglio 1978, durante il suo terzo mandato, al sedicesimo scrutinio, Pertini venne eletto settimo Presidente della Repubblica, dopo le dimissioni di Giovanni Leone e in un clima politico fortemente segnato dal peso dell’assassinio di Aldo Moro da parte delle Brigate rosse (9 maggio 1978). Sostenuto da un largo schieramento che escludeva solo l’estrema destra, ottenne una maggioranza larghissima e senza precedenti: 832 voti su 995. A differenza dei predecessori, diede del mandato presidenziale un’interpretazione particolarmente dinamica, pur nel rispetto dei limiti costituzionali, sia nella soluzione di alcune crisi di governo sia per alcuni interventi che trovarono particolare rispondenza nell’opinione pubblica.
Pertini fu il primo presidente della Repubblica a conferire l’incarico di formare il governo a una personalità non democristiana. Nella crisi di governo del gennaio 1979 affidò per la prima volta l’incarico a un laico, il repubblicano Ugo La Malfa, che non riuscì nel suo intento per i veti incrociati della Democrazia cristiana (DC) e del PCI. Fu ancora Pertini ad affidare il compito a un altro repubblicano, Giovanni Spadolini, nel giugno 1981, e, dopo di lui, al leader del PSI Bettino Craxi, nell’agosto del 1983.
Pertini riuscì a riaccendere la fiducia degli italiani nelle istituzioni pur misurandosi con le premesse di una crisi di sistema che si rivelerà irreversibile. In seguito al terremoto in Irpinia del 23 novembre 1980, nell’invocare la repentina risposta dei soccorsi all’immane tragedia dei terremotati, lanciò l’appello «Fate presto», frase apparsa il giorno seguente sul quotidiano Il Mattino di Napoli. Dopo la sua visita in Irpinia, il 26 novembre, pochi giorni dopo la tragedia denunciò pubblicamente l’impotenza e l’inefficienza dello Stato nei soccorsi in un famoso discorso televisivo a reti unificate, in cui sottolineò la scarsità di provvedimenti legislativi in materia di protezione del territorio e di intervento in caso di calamità e denunciò quei settori dello Stato che avrebbero speculato sulle disgrazie come nel caso del terremoto del Belice.
Durante il settennato emersero con forza la fermezza e lo spessore umano del suo carattere. Il suo volto sofferente accompagnò la prima diretta televisiva su un fatto di cronaca a fianco della mamma di Alfredino Rampi sul bordo del pozzo di Vermicino dove il bimbo era precipitato (giugno 1981) e dove poi morì. La gioia incontenibile per la vittoria dell’Italia ai mondiali di calcio del 1982 in Spagna lo fece esultare in tribuna rompendo ogni vincolo di protocollo.
Morte Pertini
Il 29 giugno 1985, pochi giorni prima della scadenza naturale del suo mandato, si dimise dalla carica per permettere l’immediato insediamento di Francesco Cossiga, appena eletto suo successore. Al termine del mandato presidenziale divenne, come previsto dalla Costituzione, senatore a vita e si iscrisse al Gruppo del PSI al Senato.
Nell’ultima fase della sua vita l’unico incarico che decise di accogliere fu la presidenza della Fondazione di studi storici Filippo Turati di Firenze. Il 24 febbraio 1990, all’età di novantatré anni, Sandro Pertini, definito ‘il Presidente più amato dagli italiani’, muore a Roma. L’autorevolezza con cui seppe interpretare il ruolo di presidente, insieme al prestigio che lo circondava come intransigente alfiere dell’antifascismo, contribuirono in misura determinante a stabilizzare le sorti della democrazia italiana in uno dei suoi momenti più travagliati.