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Origini e prima formazione di Antonio Gramsci
Antonio Gramsci nasce ad Ales, un piccolo comune sardo in provincia di Oristano, il 22 gennaio 1891. Fin da bambino, a poco più di un anno di vita, riscontra un problema fisico conosciuto come il morbo di Pott, una tipologia di tubercolosi ossea che inibisce la crescita della colonna vertebrale. I suoi primi anni di infanzia sono quindi caratterizzati dai danni causati da questa malattia.
Inoltre, l’arresto del padre a causa di reati penali come il peculato, la concussione e il falso in atto pubblico aggrava la sua già precaria situazione psicologica e fisica. Senza la presenza e lo stipendio di Francesco Gramsci la famiglia versa quindi in una condizione di povertà.
Fin dalla scuola elementare Gramsci dimostra la sua genialità imparando a leggere precocemente i romanzi d’appendice di Carolina Invernizio e quelli d’avventura di Emilio Salgari. In seguito, è costretto a svolgere qualsiasi tipo di lavoro per poter permettersi di proseguire il percorso scolastico. Nel 1908 riesce ad iscriversi al Liceo classico Giovanni Maria Dettori di Cagliari, città dove si trasferisce.
È qui che vede per la prima volta i moti popolari, iniziati due anni prima, tramite i quali fa esperienza diretta delle lotte sociali scaturite da una condizione di miseria e di emarginazione. Effettivamente le proteste iniziate nel maggio 1906 a Cagliari e poi diffuse nel resto della Sardegna, erano dovute al caro-vita e alle dure condizioni dei lavoratori e nel corso degli anni vengono represse violentemente dall’esercito generando diverse vittime.
Inoltre, Cagliari è una città che ospita diversi contesti culturali come teatri, cinema e circoli intellettuali. Gramsci se ne avvicina grazia al rapporto di amicizia con il suo professore di Lettere Raffaele Garzìa, radicale, anticlericale e direttore de L’Unione Sarda, il quale gli permette di scrivere il suo primo articolo. In questi anni apprende il pensiero marxista e inizia a frequentare l’Associazione Anticlericale dell’Avanguardia, composta da intellettuali con ideologie tendenzialmente socialiste.
L’avvicinamento alla politica avviene anche grazie al fratello Gennaro che si candida alle cariche esecutive presso la Camera del Lavoro. Gramsci promuove anche il circolo “i martiri del libero pensiero: Giordano Bruno” insieme ai suoi compagni di liceo e riesce così a conoscere alcuni giornalisti che scrivono su riviste e quotidiani socialisti. Le esperienze maturate in questi anni sono fondamentali per quanto riguarda la sua formazione intellettuale e militante.
Gli anni universitari
Conclusi gli studi liceali, nel 1911 Gramsci ottiene la possibilità di partecipare ad un concorso promosso dall’Università di Torino, la quale lo ammette nel corso di Lettere e Filosofia. L’iniziativa è rivolta agli studenti che non possiedono i mezzi economici per mantenersi nella città di Torino e propone trentanove borse di studio da settanta lire al mese per dieci mesi. Il giovane studente lascia quindi per la prima volta la sua isola natale e si trasferisce. Nello stesso periodo giunge nella città piemontese un altro studente sardo tramite la stessa modalità: Palmiro Togliatti. Qui avviene, infatti, il primo incontro tra i due.
Inizialmente, l’impossibilità della famiglia di aiutare economicamente Gramsci e la somma esigua concessagli dalla borsa di studio lo costringono a vivere in una povertà assoluta. Inoltre, il clima inospitale torinese non aiuta le condizioni fisiche di Gramsci. L’atmosfera culturale e intellettuale allevia il suo stato di salute grazie alla possibilità di seguire le lezioni e di interagire con studiosi di spicco nell’ambito letterario italiano come Matteo Bartoli, Luigi Einaudi e Umberto Cosmo.
Stringe inoltre un profondo rapporto di amicizia con Angelo Tasca, futuro storico con il quale collaborerà sia in ambito giornalistico sia politico. Grazie alle elezioni politiche del 26 ottobre 1913 in Sardegna, le quali per la prima volta si svolgono a suffragio allargato e coinvolgono masse di elettori fino a quel momento escluse, Gramsci aderisce alle idee del Gruppo di azione e propaganda antiprotezionista, di matrice socialista, in un preliminare avvicinamento politico alle idee progressiste.
Antonio Gramsci tra giornalismo e politica
Un anno dopo lo scoppio della Prima Guerra Mondiale, Gramsci, appena iscritto ufficialmente al partito socialista italiano, conclude gli studi universitari. In questo periodo inizia a scrivere come critico teatrale sull’Avanti! e diventa un redattore del giornaletto socialista Il Grido del Popolo. L’avvicinamento alla scrittura giornalistica nel 1915 avviene in un periodo in cui il giornalismo è fondamentale per la politica. Anche i suoi articoli di critica teatrale si rivelano militanti, in quanto interpreta l’arte come strumento di sviluppo culturale del proletariato.
Nel 1917 scoppia la Rivoluzione russa e l’idea diffusa del potere operaio viene interpretato da Gramsci come un progresso da attuare a livello mondiale, basandosi sull’ideologia di Lenin. In questo periodo, infatti, Gramsci esprime la sua volontà di organizzare le masse tramite il socialismo. Il concetto di “massa” entra in scena proprio dopo la fine del primo conflitto mondiale.
Gramsci vorrebbe attuare in Occidente ciò che è stato fatto dai bolscevichi in Russia. Nel 1919 fonda quindi L’Ordine Nuovo, un organo dei consigli di fabbrica volto all’ottenimento del potere come movimento politico sotto i socialisti. Oltre ad interpretare le battaglie ideologiche condotte dal proletariato italiano, il giornale cerca di valicare i confini nazionali, avvicinandosi all’idea di “cultura internazionale” promossa da Lenin, il quale elogia la posizione espressa nell’articolo Per un rinnovamento del Partito socialista del marzo 1920.
Quando assume più visibilità, L’Ordine Nuovo divide i suoi principali collaboratori. Se Gramsci si scaglia contro l’incapacità di oltrepassare il contesto intellettuale torinese e di elaborare un’ideologia più concreta e precisa, Togliatti critica l’eccessivo interesse rivolto dal giornale alla fabbrica rispetto alla questione contadina. Nonostante queste controversie, L’Ordine Nuovo si rivela un efficace luogo di crescita ideologica.
Il giornale svolge quindi un ruolo importante a Torino, città dov’era più evidente l’industrializzazione italiana, proprio nel periodo del “biennio rosso”, tra il 1919 e il 1920, dando voce al movimento dei Consigli di fabbrica e ospitando all’interno della sua redazione alcuni tra i maggiori intellettuali antifascisti del periodo come, oltre a Togliatti e Tasca, Umberto Terracini, Ruggero Grieco, Felice Platone e i francesi Romain Rolland e Henri Barbusse.
Tra il 1920 e il 1921 però i fascisti, sempre più numerosi e potenti, disfano le leve contadine e i sindacati con l’appoggio della borghesia e dei monarco-liberali, spaventati dai rossi, in un clima generale di timore verso chi possedeva idee vicine ai rivoluzionari russi che aleggiava sull’intera Europa.
Nascita e difficoltà del Partito Comunista Italiano (PCI)
Nel gennaio 1921 si tiene il Congresso socialista a Livorno. In questa sede si delineano tre fazioni principali e due gruppi minori. I tre maggiori gruppi si dividono in: riformisti, una concentrazione socialista vicino a Filippo Turati; i massimalisti, comunisti unitari vicino a Giacinto Menotti Serrati; e i comunisti cosiddetti “puri” di Amedeo Bordiga. I gruppi minori sono invece: i rivoluzionari intransigenti sotto Costantino Lazzari e il gruppo della “circolare” di Antonio Graziadei e Anselmo Marabini.
Da questa composizione, l’ala sinistra dei comunisti si separa e forma il Partito Comunista Italiano, all’interno del quale è presente Gramsci. Tra il 1921 e il 1922 Gramsci trascorre un periodo a Mosca per analizzare la situazione politica per conto del partito. Durante il suo soggiorno in Russia avviene la Marcia su Roma (27-31 ottobre 1922).
Pochi giorni dopo Gramsci partecipa al IV Congresso del Comintern (5 novembre-5 dicembre 1922) venendo a contatto con i bolscevichi e lo stesso Lenin. In questo periodo il Partito Nazionale Fascista inizia ad arrestare ed esiliare i comunisti presenti sul territorio italiano, in seguito allo smantellamento del Partito Comunista italiano. Viene anche pronunciato un mandato di arresto nei confronti di Gramsci, il quale, dopo aver intrapreso una relazione con la violinista russa Julia Schucht, si trasferisce a Vienna, dove riesce a seguire la situazione italiana in modo più accurato.
L’attivista russa Angelica Balabanoff funge da intermediaria per il soggiorno viennese di Gramsci che, giunto nella capitale austriaca nel 1923, soffre di problemi di salute e di esaurimento nervoso dati sia della situazione politica sia dall’abbandono di Julia quando lei era in attesa di un figlio.
Gramsci torna in Italia nel 1924, dove vige una situazione drammatica a causa dalle aggressioni squadriste e delle persecuzioni verso i comunisti da parte dei fascisti. Inoltre, le leghe dei lavoratori, le formazioni operaie e ogni tipologia di cooperativa erano state sciolte. In questo scenario, Gramsci viene eletto segretario del PCI, anche per facilitare il ritorno in patria grazie all’immunità di cui godeva come deputato parlamentare.
Nel 1924, però, il PCI è ormai un partito clandestino. Nello stesso anno Gramsci fonda anche il quotidiano del PCI, l’Unità con lo scopo di costruire un’effettiva unità politica che era da sempre mancata all’interno del comunismo a causa delle molteplici correnti e, quindi, delle diverse divergenze negli anni.
Queste problematiche interne emergono proprio nel corso del 1924, dopo la morte di Lenin, il quale aveva redatto un testamento che sottolineava la diffidenza verso Stalin, considerandolo inadatto al ruolo di segretario. Le posizioni staliniste si contrappongono a quelle di Trotsky, creando dissidenze interne tra i vari esponenti dei partiti comunisti, tra cui anche Gramsci e Togliatti.
Arresto e morte in carcere di Antonio Gramsci
La situazione di clandestinità del PCI però si aggrava sempre di più e, dopo la cattura di varie figure di spicco, anche Gramsci viene arrestato e condannato a vent’anni di carcere nel 1928. Gli anni di trasferimenti tra le varie carceri, la solitudine e la lunga detenzione aggravano le sue condizioni fisiche già precedentemente precarie.
Nonostante intrattenga rapporti con alcuni antifascisti detenuti, durante i primi anni di reclusione non riesce a scrivere a causa del suo stato psico-fisico. Solo nel febbraio del 1929 inizia a redigere i quaderni, che annoterà fino al 1933. In questo periodo Togliatti invia la sorella della moglie di Gramsci, Tatiana Snucht, agli incontri con il cognato, la quale riesce a trafugare i 33 quaderni.
Nel periodo di detenzione nel carcere di Turi, in provincia di Bari, la sua salute fisica si aggrava, anche a causa della lontananza dalla sua famiglia rimasta in Russia e dall’impossibilità di mantenere contatti con il partito. Addirittura, cerca di sostenere alcune lezioni di politica per i detenuti ma viene screditato e scernito sia a causa del dissenso politico nei suoi confronti sia perché accusato senza motivo di possedere privilegi in carcere.
Fortunatamente però instaura rapporti con il socialista Sandro Pertini, ma questo non basta a risollevarlo. Nel novembre del 1933 viene ricoverato a Formia nella clinica Cusumano, un luogo scelto direttamente da Benito Mussolini e che si rivela inadatto per le necessità di cure specifiche di Gramsci.
Nonostante negli anni erano stati attuati diversi tentativi di scarcerazione da parte dei comunisti italiani e dei sovietici, gli viene concessa la libertà condizionata solo nell’ottobre del 1934, quando però si trova ancora ricoverato nella casa di cura Quisisana di Roma. La sua condizione non gli permette di scrivere e il suo stato di salute continua ad aggravarsi fino al 1937, anno in cui è prevista la concessione della libertà.
La cognata Tatiana lo assiste nell’intero periodo del ricovero ospedaliero fino al fatidico 27 aprile, quando, in seguito ad un’emorragia cerebrale che lo aveva paralizzato due giorni prima, muore all’età di 46 anni. Grazie alla riuscita della rischiosa operazione di trafugamento degli appunti di Gramsci attuata da Tatiana, Togliatti organizza i quaderni e li pubblica nel 1948-51, tramite l’editore Einaudi.
I quaderni del carcere: il pensiero gramsciano
I quaderni si dividono principalmente in tre fasi: i primi, redatti tra il 1929 e il 1931 e chiamati “quaderni miscellanei”, sono perlopiù note confusionarie come appunti, saggi e riferimenti bibliografici; in seguito, per “quaderni speciali” s’intende il raggruppamento e la riorganizzazione per temi delle note scritte nei quaderni precedenti e si tratta di un procedimento attuato tra il 1931 e il 1933; infine, gli appunti aggiunti o riordinati tra il 1933 e il 1935 sono definiti come “altri quaderni speciali”.
Solitamente vengono suddivisi in testi di prima scrittura (testi a), riscritti (testi b), oppure di stesura unica e mai terminati (testi c), ma le loro ripartizioni negli anni sono molteplici e variegate. Una particolarità dei quaderni sta nel fatto che non vanno letti in ordine, ma trasversalmente, come un ipertesto. In seguito, viene descritta una possibile lettura tematica organizzata, con lo scopo di delineare i punti peculiari del pensiero gramsciano contenuto in essi.
L’uomo-massa di Gramsci
In quanto il Novecento è caratterizzato dell’ingresso delle masse nella politica e nella cultura, Gramsci osserva che nella politica di massa esistono due forme diverse di uomo-massa: l’esperimento sovietico, nel quale l’uomo-massa è inteso come l’uomo-nuovo della Russia sovietica e quindi, una nuova antropologia intesa come autocostruzione e auto-narrazione che il potere sovietico fa di sé; e il fascismo, letto come un potere politico conservatore costruito della forma massa dell’individuo, in quanto è in grado di far partecipe l’individuo tramite le grandi adunate, il rapporto con la radio, la simbologia, il futurismo e altri aspetti culturali intrinseci nella quotidianità di ognuno, organizzandone ogni fase della vita e creando una società ad immagine e somiglianza del singolo.
L’antropologia politica intende quindi l’uomo come una somma di elementi individuali (soggettivi) e sociali (rapporti tra uomini oggettivi, ovvero le costruzioni sociali date dalla percezione del mondo e di sé stessi). La propria individualità è costituita da elementi interiori e da elementi sociali, in quanto la nostra soggettività è immersa in determinati contesti, ognuno con le proprie regole.
In questo senso la trasformazione del sociale modifica anche sé stessi e la trasformazione individuale esiste soltanto tramite la trasformazione sociale. Questo è il pensiero rivoluzionario alla base dell’ideologia gramsciana: un uomo può cambiare soltanto se è consapevole che la propria identità è dovuta anche dai rapporti sociali (volontari e involontari).
Quindi per trasformare una società in modo tale che impatti sull’individualità, l’individuo deve attuare un’azione di massa volta alla costruzione di un uomo nuovo. La pressione che la società esegue sul singolo è controllabile tramite il conformismo sociale orientato verso un nuovo ordine, in quanto la libertà è possibile soltanto all’interno di regole e di formalizzazioni.
D’altronde anche Gaber nel 1972 dirà in una canzone: “la libertà non è star sopra su un albero”. Questa tendenza al conformismo va intesa come una standardizzazione del pensiero e delle azioni in base all’uomo-collettivo, da formare dal basso verso l’alto, in base alla posizione del singolo nella collettività della produzione.
Taylorismo e fordismo: americanizzazione
Gramsci pone l’esempio della società americana taylorizzata, dove i metodi di lavoro sono indissolubili dal modo di vivere. Il taylorismo è inteso come la razionalizzazione del lavoro, l’organizzazione di fabbrica basata su gerarchizzazioni e automatismo dei movimenti. Ne è un esempio lampante da catena di montaggio nelle fabbriche di Henry Ford.
In quanto l’operaio riproduce un solo movimento automatico, non vi è la necessità di assumere un lavoratore specializzato nel proprio mestiere. L’operaio-massa non si identifica con il proprio lavoro, ma solo con la forza lavoro, intesa come sfruttamento e insoddisfazione. È questo ciò che s’intende per produzione di massa.
Per evitare che l’operaio impazzisca o si ribelli, Ford ha costruito un contesto ideologico basato sul conformismo, ovvero sull’americanizzazione, il controllo della vita americana extralavorativa. Creando una retorica per la quale i metodi di lavoro sono indissolubili dal modo di vivere e percepire la propria vita, viene compensato uno scompenso. In questo modo i successi in un campo si riversano automaticamente nell’ottenimento di essi anche nell’altro.
Per esempio, la razionalizzazione del lavoro è connessa al proibizionismo, tramite servizi di ispezione della vita intima degli operai per controllare la loro “moralità”. Un altro caso esemplare è quello delle cerimonie simili a lauree per i lavoratori immigrati in seguito ai corsi di inglese tenuti nelle fabbriche di Ford, i quali partecipano al conseguimento di essi con i vestiti tradizionali del proprio paese di origine per poi passare sotto una sorta di finto pentolone che li amalgama creando dei perfetti americani, e infatti ne escono vestiti come tali.
Questi espedienti si inseriscono in un piano più ampio di stabilizzazione del sociale che tocca anche quello familiare basato sul patriarcato dove la donna deve crescere i figli e non avere nessun altro impiego diverso da quello della casalinga.
Quindi se le teorie di Frederick Taylor erano volte a creare un uomo-nuovo ridotto a “gorilla ammaestrato”, Ford cerca degli elementi che compensino la perdita di valore umano, basandosi però su un interesse capitalistico. Per esempio, nel 1908 aveva raddoppiato i salari per migliorare la vita degli operai al di fuori della fabbrica.
La politica di massa
Il nuovo modo di intendere la stagione politica di massa è collegabile al nuovo modo di concepire l’individualità. I rapporti che l’individuo intrattiene con il sociale, e quindi la massa, costruiscono sovrastrutture, come il linguaggio oppure il sistema economico e famigliare. La politica di massa può essere quindi collegabile alla produzione di massa, in quanto si crea e si consuma in massa formando appunto una società di massa basata sul capitalismo.
Partendo da questi concetti, Gramsci sostiene la necessità di creare una politica di massa che non sia quella americana promossa dal capitalismo. Per lui il cinismo brutale della società americana è un processo che è iniziato con l’industrialismo, che definisce come “una lotta continua contro l’elemento di animalità dell’uomo”. Si tratta quindi del soggiogamento degli istinti naturali in favore di nuove, più complesse e rigide norme e abitudini di ordine.
Gramsci sottolinea il fatto che fino al momento in cui scrive, tutti i mutamenti del modo di essere e di vivere sono avvenuti attraverso una coercizione brutale, un dominio di un gruppo sociale su tutte le forze produttive della società. L’adattamento, avvenuto con metodi violenti, ha creato nuove forme di produzione e di lavoro per cui i deboli e i refrattari sono stati gettati nelle sottoclassi o eliminati.
Per l’operaio impegnato nella catena di montaggio, il lavoro di produzione consiste nell’adattamento alla meccanizzazione del movimento in modo tale da creare un certo tipo di automazione. Lo sforzo volto ad isolare l’aspetto contenutistico del prodotto però crea un distacco dai propri pensieri. Questo fondamentale passaggio fa in modo che il cervello dell’operaio ottenga la completa libertà.
Anche se il gesto fisico si meccanicizza, la mente è quindi libera per altre occupazioni. Nell’industria avviene quindi che l’operaio riesce a superare la crisi dell’adattamento, rimane “uomo” e durante il lavoro acquisisce la possibilità di pensare, ma soprattutto di rendersi conto della propria condizione. Questo lo porta all’elaborazione di pensieri poco conformistici. Per arginare la scomoda evenienza, infatti, gli industriali creano cautele e iniziative educative e simboliche.
L’automatismo è quindi in contrasto con l’arbitrio, ma non con la libertà. In questo senso, Gramsci delinea il profilo di un uomo nuovo che il capitalismo non è in grado di razionalizzare in maniera definitiva. La libertà di gruppo può quindi diventare un’attività solidale e coordinata di un gruppo sociale.
Se si sviluppa l’automatismo, e quindi tutti operano in modo uguale, l’arbitrio si generalizza, creando una nuova razionalità. A questo proposito consiglio la visione del film di Elio Petri, La classe operaia va in paradiso del 1971, una possibile interpretazione coerente delle idee gramsciane.
Lo Stato in Oriente e in Occidente nel pensiero di Gramsci
In un secondo momento Gramsci evidenzia le differenze dal punto di vista statale tra l’Oriente e l’Occidente. Se in Oriente, nel momento della rivoluzione, il legame tra Stato e società era meno fitto e la società civile ancora ad uno stadio “primordiale”, in Occidente vi è un rapporto più equilibrato tra i due e quindi una struttura più robusta. Secondo l’intellettuale sardo nel mondo occidentale lo Stato è solo una trincea avanzata, dietro la quale si cela una catena di fortezze e casematte.
La società civile è quindi complessa, stratificata e resistente alle irruzioni, dove le superstrutture sono come le trincee in guerra. Un attacco a questo sistema può quindi sembrare che lo distrugga nella sua totalità, ma in realtà colpisce solo la superficie, dietro alla quale esiste una linea difensiva efficiente.
Tramite questo quadro, Gramsci sostiene quindi che la riuscita della Rivoluzione russa è dovuta anche a questa composizione statale, ma aggiunge che il 1917 è stato un anno di svolta decisiva della storia. Secondo lui lo Stato si suddivide in società politica e società civile. In altri termini è la somma dell’apparato governativo e l’apparato privato. La società civile però è anche lo spazio di un’autonomia dei gruppi sociali interni allo Stato con caratteristiche sia di forte disciplinamento politico, sia di rivoluzione.
Se la società civile è oggetto e soggetto dello Stato è quindi spazio di dominio e spazio di contestazione insieme (coercizione e ribellione). Quindi teoricamente vi è una distinzione tra società politica e società civile all’interno dello Stato. In realtà però la seconda si identifica con lo Stato stesso.
A questo punto dalla sua teoria, Gramsci prende in prestito il concetto di “rivoluzione passiva” da Vincenzo Cuoco (Saggio storico sulla rivoluzione napoletana del 1799, pubblicato nel 1801), sostenendo che vale per i paesi, tra cui l’Italia, che hanno ammodernato lo Stato tramite e riforme e guerre nazionali, ma senza la rivoluzione politica radicale, come per esempio è avvenuto in Francia e Russia.
Associa il concetto di “rivoluzione passiva” a quello di “rivoluzione restaurazione” dello storico francese Edgar Quinet (Les Révolutions d’Italie, 1848) per riferirsi alla mancanza di iniziativa popolare nella storia italiana, dove il progresso è stato realizzato come reazione delle classi dominanti al sovversivismo sporadico e disorganico delle masse popolari tramite restaurazioni che hanno accolto soltanto una parte delle esigenze popolari.
L’egemonia
Secondo Gramsci la classe può essere dirigente (verso le classi alleate) oppure dominante (verso le classi avversarie). Quindi la classe deve essere dirigente prima ottenere il potere, e quando lo ottiene diventa dominante, ma continua ad essere anche dirigente. Per fare ciò dev’esserci l’egemonia politica anche prima entrare nel governo.
L’egemonia è quindi intesa come un ispessimento della società civile. La maturazione di una classe dalla sua fase corporativa a quella egemonica passa prima da un iniziale rapporto di forze sociali strettamente legato alla struttura (sistema di rapporti sociali di produzione) e in seguito da un rapporto di forze politiche dove avviene una valutazione del grado di omogeneità, autocoscienza, organizzazione raggiunto dai gruppi sociali.
Questo secondo momento è diviso in vari gradi. Il primo, quello economico-corporativo, è caratterizzato da un sentimento di solidarietà tra alcuni individui appartenenti al gruppo sociale. Il secondo è quello in cui la solidarietà si diffonde tra tutti i membri dei gruppi ma appartiene ancora al solo campo economico. È qui però che si inizia a porre la questione dello Stato, soltanto nella volontà di raggiungere l’uguaglianza politico-giuridica con i gruppi dominanti.
Quindi inizia la rivendicazione di una partecipazione alla legislazione e all’amministrazione. Il terzo punto è quello del raggiungimento della coscienza dei propri interessi corporativi e della volontà di superare la propria cerchia ristretta economico-corporativa per far sì che i propri interessi diventino quelli di altri gruppi subordinati. Questa è la fase politica.
Quest’ultima fase è caratterizzata dal passaggio da una struttura alle superstrutture complesse. Le ideologie germinate precedentemente diventano partito e si diffondono nell’area sociale determinando l’unità intellettuale e morale. L’egemonia di un gruppo sociale su una serie di gruppi subordinati fa sì che esso diventi quindi il gruppo dirigente, il cui sviluppo può portare al governo dell’intera società. L’egemonia culturale è parte di questa consapevolezza e il punto di partenza per l’emancipazione universale e generale.
Film consigliato: La classe operaia va in paradiso di Elio Petri, 1971.
Consigli di lettura: clicca sul titolo e acquista la tua copia!
- A cura di Gianni Francioni, Quaderni del carcere, edizione anastatica dei manoscritti, Istituto della Enciclopedia Italiana, Cagliari, L’Unione sarda, 2013.
- Antonio Gramsci, Lettere dal carcere, a cura di Paolo Spriano, Torino, Et Saggi, Einaudi, 2014.
- A cura di Guido Liguori e Pasquale Voza, Dizionario gramsciano,1926-1937, Roma, Carocci, 2009.
- A cura di Fabio Frosini e Guido Liguori, Le parole di Gramsci: per un lessico dei Quaderni del carcere, Roma, Carocci, 2004.
- Angelo d’Orsi, Gramsci, Una nuova biografia, Milano, Feltrinelli Editore, 2018