CONTENUTO
Gli anni giovanili
Antonio Gramsci nacque ad Ales (Cagliari) il 22 gennaio 1891. Nel 1911 partì per Torino dove frequentò l’università si iscrisse alla facoltà di lettere e filosofia. Qui si avvicinò alla milizia socialista e rivoluzionaria e si iscrisse al PSI nel 1913. Fu redattore del Grido del popolo (settimanale locale del partito) e dell’Avanti! e dopo la sommossa popolare dell’agosto 1917 divenne segretario della sezione socialista torinese. Profondamente colpito come tutti i dirigenti socialisti dalla Rivoluzione russa, Gramsci commentò positivamente la rivoluzione di febbraio (nel numero unico de La città futura), e poi quella di ottobre, cui dedicò l’articolo La rivoluzione contro il “Capitale” (1° dicembre 1917), in cui sottolineava l’innovazione compiuta dai bolscevichi nel procedere alla conquista del potere pur in un Paese che non aveva ancora conosciuto lo sviluppo capitalistico, dando con ciò una lettura non deterministica del pensiero di Marx.
L’Ordine Nuovo e il Partito comunista d’Italia
Nel maggio 1919, assieme a Palmiro Togliatti, Angelo Tasca e Umberto Terracini, fondò L’Ordine nuovo, settimanale (dal gennaio 1921 quotidiano) di cultura socialista diretto soprattutto alla classe operaia, che militava in favore dell’adesione del Partito socialista all’Internazionale comunista e a sostegno del movimento dei consigli di fabbrica. Durante il biennio rosso (1919-20), in cui i consigli ebbero un ruolo essenziale, Gramsci fu il principale teorico della loro centralità nel processo rivoluzionario e nella costruzione di una nuova società.
Nel 1920 le posizioni dell’Ordine nuovo ebbero l’approvazione di Lenin e nello scontro interno al PSI Gramsci si avvicinò all’ala astensionista guidata da Amedeo Bordiga, che auspicava la costituzione del Partito comunista d’Italia (PCD’I), sezione italiana dell’Internazionale comunista. Gramsci e gli ordinovisti furono dunque tra i fondatori di quella frazione comunista che determinò la nascita del nuovo partito al Congresso di Livorno (21 gennaio 1921).
L’attività politica di Gramsci
Membro del Comitato centrale del PCD’I, Gramsci fu a Mosca dal giugno 1922 al novembre 1923, dove conobbe Lenin e i principali capi rivoluzionari ed entrò nell’esecutivo del Comintern. Nell’agosto 1922, durante un periodo di cura nel sanatorio di Serebrjanyj Bor, conobbe Julija Schucht, sua futura moglie, da cui ebbe i due figli Delio e Giuliano. Intanto maturava una crescente lontananza dalle posizioni di Bordiga (che si trovava in polemica con l’Internazionale), per cui, dal maggio 1923, avviò un carteggio con Togliatti, Terracini e Scoccimarro con l’intento di formare un nuovo gruppo dirigente del partito.
Rientrato in Italia dopo un periodo a Vienna e divenuto segretario del partito (nel 1924 era stato anche eletto deputato), in seguito al delitto di Giacomo Matteotti cercò di organizzare la protesta popolare e parlamentare, sfidando la dura linea di repressione perseguita dal governo fascista. Indirizzò la politica comunista verso l’unità con i socialisti massimalisti e verso un radicamento nella società italiana che aveva come fine l’alleanza tra gli operai e le masse contadine del Mezzogiorno (la “questione meridionale”), linea che ebbe la definitiva sanzione nel terzo congresso del PCD’I e con le relative Tesi di Lione (1926), la cui parole d’ordine – “Assemblea repubblicana sulla base di Comitati operai e contadini; controllo operaio sull’industria; terra ai contadini” – delineavano una politica di alleanze molto ampia.
L’arresto e la morte
L’8 novembre 1926, in seguito ai provvedimenti eccezionali del governo fascista contro gli oppositori, Gramsci fu arrestato nonostante l’immunità parlamentare e condannato a 5 anni di confino a Ustica e poi nel carcere di Milano per essere deferito, insieme ad altri dirigenti comunisti, al tribunale speciale per la difesa dello Stato. Al processo, tenuto a Roma nel maggio-giugno 1928, fu condannato (24 giugno 1928) a 20 anni di reclusione. Nel gennaio 1930, Lo Stato operaio pubblicava intanto lo scritto Alcuni temi della quistione meridionale, che Gramsci collegava alla questione cattolica e alla «quistione politica degli intellettuali». Destinato alla casa penale di Turi (Bari), vi rimase fino il 19 novembre 1933, quando per gravi motivi di salute fu trasferito all’infermeria del carcere di Civitavecchia e poi, il 7 dicembre, sempre in stato di detenzione, in una casa di cura privata di Formia.
I nove anni di prigionia furono per Gramsci una prova durissima, soprattutto per le pessime condizioni di salute. E furono anche anni di lotta con l’amministrazione carceraria per il diritto a ricevere libri e riviste. Negli anni della detenzione, Gramsci lavorò ai 33 Quaderni del carcere, non destinati da Gramsci alla pubblicazione, che contengono riflessioni e appunti elaborati durante la reclusione. Iniziati l’8 febbraio 1929, furono definitivamente interrotti nell’agosto 1935 a causa della gravità delle sue condizioni di salute. Furono recuperati, dalla cognata Tatiana Schucht, che li affidò all’Ambasciata sovietica a Roma da dove furono inviati a Mosca e, successivamente, consegnati a Palmiro Togliatti.
Ebbe una fitta corrispondenza con la moglie Julia, con la cognata Tatiana, coi figli e con altri familiari, e infine con Piero Sraffa, attraverso il quale manteneva i rapporti col partito. Diversi furono i tentativi di giungere a una sua liberazione (promossi dal PCD’I e dall’URSS, e a cui fu interessato anche il Vaticano), ma si scontrarono con la ferma contrarietà di Mussolini. Solo il 25 ottobre 1934 Mussolini accolse finalmente la richiesta di libertà condizionata, e tuttavia rimase nella stessa clinica di Formia, non essendo in grado per la salute compromessa di riprendere un’attività normale. Il 21 aprile 1937 Gramsci passò dalla libertà condizionata alla piena libertà, ma era ormai in gravissime condizioni. Si spense il 27 aprile 1937 nella clinica Quisisana di Roma, dove era stato trasferito il 24 agosto 1935, sotto sorveglianza, da Formia.