Spesso e volentieri, trasposizioni romanzesche e cinematografiche ci consegnano l’immagine di un personaggio o di un evento storico in maniera distorta, piegata ad interessi commerciali. Uno dei casi più celebri è quello di Bernardo Gui, l’inquisitore domenicano che nel libro cult “Il nome della rosa” di Umberto Eco e nei successivi rifacimenti sul grande e piccolo schermo ci viene proposto in una veste sadica, fanatica e grossolana. Fu davvero così? O le esigenze letterarie e filmiche hanno avuto la meglio sulla realtà dei fatti?
Bernardo Gui, l’inquisitore del Nome della Rosa
Nato nella regione del Limousine, nel cuore della Francia, precisamente a Royères nel 1261, Bernardo Gui, ancora fanciullo entrò nel monastero domenicano di Limoges, prendendo i voti nel 1280. La scelta dell’ordine domenicano lascia in un certo senso già presagire il motivo per cui diventerà famoso, infatti l’Ordine dei Frati Predicatori, detto comunemente domenicani dal nome del suo fondatore Domenico di Guzman, sorse con lo scopo di porre un argine al dilagare delle eresie che ripresero vigore in Europa a partire dalla fine dell’XI secolo.
Proprio per affrontare questa missione l’ordine domenicano si distinse per una profonda e formidabile preparazione teologica (basti pensare anche a grandi teologi domenicani come Alberto Magno e Tommaso d’Aquino). La carriera ecclesiastica di Bernardo Gui ebbe un’accelerata quando a nemmeno trentanni divenne priore di Albi e successivamente di Carcassonne, Castres e Limoges.
La data che segnò la svolta nella sua vita fu il 16 gennaio 1307, quando venne nominato inquisitore di Tolosa, città nella quale esercitò per quasi un decennio, fino al 1316, per un totale di 536 sentenze: tra il 1307 e il 1310 inferse un colpo quasi mortale al mondo eretico con le condanne a morte di fra Dolcino da Novara, guida degli Apostolici, e dei fratelli Pierre e Guillaume Authier, leader del movimento cataro di rinnovamento.
Nel 1319 iniziò il suo secondo mandato a Tolosa, rimpolpando il suo score con altre 394 sentenze. Nonostante le oltre 900 sentenze di condanna emesse da frate Bernardo, soltanto 42 furono le esecuzioni capitali, eseguite come da norma dall’autorità civile, 307 le sentenze di carcere permanente, 139 le assoluzioni e le restanti furono sanzioni che consistevano in penitenze diverse; a un terzo dei condannati fu imposto di indossare un abito con le “croci degli eretici” cucite addosso.
Tra tutte le sue opere quella che indubbiamente rispecchia il suo operato è la “Practica Officii Inquisitionis Hereticae Pravitatis”, un trattato in cinque parti, che costituiva un manuale delle prerogative e dei compiti dell’inquisitore: la lista delle maggiori eresie dell’inizio del XIV secolo, le citazioni, le condanne e le istruzioni per gli interrogatori dei membri di un particolare gruppo.
L’attenzione di Bernardo si concentrò in particolar modo su quattro sette ereticali: i Manichei, i Valdesi, gli Apostolici e i Begardi, mentre gli ebrei che non erano cristiani vennero da lui bollati come traditori. In quest’opera è lo stesso Bernardo che ci dice con cruda schiettezza (schiettezza alla quale l’attuale sensibilità fa fatica ad accostarsi) che cos’è l’opera inquisitoria e qual è il suo scopo:
“Il fine dell’Inquisizione consiste nella distruzione dell’eresia. Ma l’eresia non si può annientare se non distruggendo gli eretici; gli eretici non si possono sopprimere senza sopprimere con essi i difensori e i fautori dell’eresia, e ciò può avverarsi in due modi: con la loro conversione alla vera fede cattolica, oppure quando, abbandonati al braccio secolare, vengono corporalmente bruciati”.
Senza dubbio parole dure che però non vanno decontestualizzate e giudicate con le moderne categorie, difatti il più autorevole medievista, lo storico francese Jacques Le Goff, ha preso le distanze dalla “demonizzazione” della figura di Bernardo Gui successiva al libro e al film, riabilitandolo e facendo riferimento proprio al manuale dell’inquisitore scritto da Gui, dove a suo dire emerge una saggezza giuridica e un senso dell’umanità che sono difficilmente riscontrabili anche nelle moderne magistrature: «In mezzo alle difficoltà e ai contrasti» scrive Bernardo Gui «l’inquisitore deve mantenere la calma, né mai cedere alla collera e all’indignazione… Non si lasci commuovere dalle preghiere e dall’offerta di favori da parte di quelli che cercano di piegarlo; ma non per questo egli deve essere insensibile sino a rifiutare una dilazione oppure un alleggerimento di pena, a seconda delle circostanze e dei luoghi.
Nelle questioni dubbie, sia circospetto, non creda facilmente a ciò che pare probabile e che spesso non è vero. Né sia facile a rigettare l’opinione contraria, perché sovente ciò che sembra improbabile può risultare vero. Egli deve, ascoltare, discutere e sottoporre a un diligente esame ogni cosa, al fine di raggiungere la verità. Che l’amore della verità e la pietà, le quali devono sempre albergare nel cuore di un giudice, brillino dinanzi al suo sguardo, sicché le sue decisioni non abbiano giammai ad apparire dettate dalla cupidigia o dalla crudeltà».
Bernardo Gui, il diplomatico
A testimonianza della crescente fama di cui godeva all’interno delle gerarchie ecclesiastiche e delle corti europee, Bernardo Gui, a partire dal 1317 svolse incarichi diplomatici presso la sede papale ad Avignone, tanto da essere inviato da papa Giovanni XXII come nunzio apostolico in Italia a tenere negoziati di pace tra le città del nord e quelle toscane e nel settembre 1318 fu inviato a mediare nel conflitto tra il re di Francia Filippo V e il conte delle Fiandre Roberto di Dampierre. Bernardo Gui ricoprì un ruolo non indifferente anche nel processo di canonizzazione di un suo illustre confratello: San Tommaso d’Aquino.
Scrisse, tra il 1318 e il 1323, la biografia “Legenda Sancti Thomae de Aquino” e nel 1320 un elenco ufficiale delle opere del santo, e con ogni probabilità assistette alla cerimonia di santificazione avvenuta il 18 luglio 1323. Ormai anziano, nell’agosto del 1323, papa Giovanni XXII lo consacrò vescovo di Tui in Galizia e solo un anno dopo gli fu assegnata anche la diocesi di Lodève, dove morì il 30 dicembre 1331. Come da lui disposto, le sue spoglie furono trasferite a Limoges e sepolte nella chiesa del monastero domenicano.
Ma chi era veramente Bernardo Gui?
Beh, con certezza possiamo solo dire, scevri da qualsiasi intenzione moraleggiante e di giudizio, che era un uomo che sapeva svolgere molto bene l’incarico che fu chiamato a ricoprire!