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A seguito della disastrosa campagna di Russia, Napoleone ritorna in Francia fiducioso che la situazione sia ancora rimediabile. Arrivato a Parigi il 18 dicembre 1812, egli conta di organizzare un nuovo esercito rinforzato da altri contingenti che spera di ottenere dalla Prussia e dall’Austria: la sua intenzione è riprendere la guerra contro la Russia in primavera. I superstiti della Grande Armata stanno confluendo in totale disordine nella Prussia orientale sotto il comando del re di Napoli Gioacchino Murat. La speranza di Napoleone è che egli riuscirà a resistere almeno sulla linea del fiume Vistola.
L’esercito russo, pur vittorioso, è esausto e inoltre il maresciallo Michail Kutuzov, stanco e malato, ritiene conclusa la sua missione dopo la liberazione della patria e la ritirata francese e non attraversa immediatamente la frontiera. Egli rimane convinto della necessità di arrestare la guerra e ritiene che non ci sia interesse per la Russia a provocare un crollo completo dell’Impero napoleonico.
Lo zar Alessandro decide di riprendere l’avanzata, sollecitato dai suoi consiglieri, tra cui il prussiano Heinrich von Stein, a liberare i popoli oppressi dalla dominazione francese ed in particolare la Germania, e esaltato dalla possibilità di assumere il ruolo eroico di liberatore e salvatore dell’Europa.
La Sesta coalizione
Le possibilità di Murat di contenere con le sue forze decimate l’avanzata dei russi sono molto limitate e svaniscono del tutto dopo la defezione delle truppe prussiane e austriache. A nord il generale prussiano Yorck, si trova isolato con i suoi uomini dopo un’avanzata delle truppe russe del generale Hans von Diebitsch (prussiano al servizio dello zar).
Il generale Yorck agisce d’iniziativa e senza aver ricevuto autorizzazioni dal re Federico Guglielmo, il 30 dicembre conclude la convenzione di Tauroggen che prevede il ritiro delle sue truppe. Anche il generale prussiano Friedrich von Bülow rifiuta di collaborare con Murat, unendosi insieme al generale Yorck alle truppe russe con i suoi soldati. I francesi rischiano così di essere accerchiati e solo con grande difficoltà riescono a raggiungere la Vistola, abbandonando la Prussia orientale.
L’arrivo dell’esercito russo in Polonia non provoca alcuna resistenza della popolazione polacca che si sottomette e non difende il granducato napoleonico. A sud anche il generale austriaco Schwarzenberg prende contatto con i russi per concordare un armistizio che viene infatti concluso il 30 gennaio 1813. Il corpo austriaco quindi si ritira dalla lotta e l’Austria dichiara la neutralità.
Messo in difficoltà da questo movimento, i resti della Grande Armata abbandonano Varsavia il 9 febbraio e ripiegano su Poznań dove il principe Eugenio Beauharnais prende il comando supremo al posto di Murat che si è affrettato a cedere l’ingrato compito per raggiungere il suo regno a Napoli.
il re Federico Guglielmo III ancora timoroso di rappresaglie di Napoleone, rimane indeciso a lungo. La defezione del generale Yorck e l’ondata di patriottismo e di nazionalismo tedesco che si diffonde tra la popolazione accelera le decisioni del re. Il 10 febbraio 1813 Federico Guglielmo, dopo aver lasciato Berlino per raggiungere Breslavia, dirama un appello al popolo per la lotta d’indipendenza. Il movimento patriottico prussiano è vivace tra la borghesia, i giovani universitari e la nobiltà ed ebbe grande influenza morale, dando alla guerra contro i francesi il carattere di befreiungskrieg (“guerra di liberazione”).
Il 28 febbraio 1813 viene conclusa a Kalicz l’alleanza formale tra la Russia e la Prussia; lo zar Alessandro arriva il 15 marzo e il giorno seguente viene inviata la dichiarazione di guerra alla Francia. Si costituisce così la Sesta Coalizione. La decisione prussiana favorisce grandemente l’avanzata dei russi.
Nel frattempo fin dalla fine di gennaio 1813, Kutuzov e il generale Wittgenstein organizzano tre colonne volanti di cavalieri regolari e cosacchi, per sfruttare l’evidente debolezza dei francesi e la loro carenza di cavalleria. Al comando di abili ufficiali (il colonnello Friderich von Tettenborn, colonnello Alekandr von Benckendorff e il generale Aleksandr Černyšev) attraversano l’Oder e si spingono avanti in profondità.
A causa anche di queste pericolose incursioni nelle sue retrovie, diviene impossibile per il principe Eugenio mantenere almeno la linea dell’Elba, dopo aver abbandonato l’Oder. Il 4 marzo egli si ritira da Berlino, mentre i russo-prussiani entrano ad Amburgo e Dresda il 18 marzo. Il maresciallo Kutuzov, ormai molto malato, muore il 28 aprile 1813.
L’Austria si unisce alla Sesta coalizione
Il 15 aprile 1813 l’imperatore raggiunge la sua nuova armata che si raggruppa dietro il fiume Saale con i resti delle forze del principe Eugenio. Le prime battaglie sono favorevoli a Napoleone che manovra con grande abilità in direzione di Lipsia e sconfigge gli avversari nella battaglia di Lützen il 2 maggio 1813 e il 20-21 maggio 1813 nella battaglia di Bautzen.
Napoleone il 25 maggio propone un armistizio che viene concluso il 4 giugno a Pleisswitz. L’imperatore ritiene erroneamente di trarre vantaggio dalla pausa delle operazioni: conta di rafforzare notevolmente il suo esercito e di riuscire a impedire l’entrata in guerra dell’Impero austriaco.
Durante l’armistizio la situazione francese peggiora in modo decisivo. La Gran Bretagna conclude trattati di alleanza formali con la Prussia il 14 giugno e con la Russia il 15 giugno. Klemens von Metternich, il cancelliere austriaco, teme un eccessivo rafforzamento in Europa della Russia di Alessandro I in caso di crollo totale dell’Impero napoleonico. Egli quindi conclude il 27 giugno un trattato di alleanza con Prussia e Russia ma con la clausola che sarebbe diventato operante solo in caso di rifiuto di Napoleone della mediazione austriaca per ricercare una pace concordata che mantenesse un equilibrio tra le potenze europee.
Il 26 giugno Metternich si reca a Dresda per incontrare Napoleone e illustrare la sua proposta di mediazione. In un incontro celebre quanto burrascoso, il cancelliere austriaco afferma che in caso di fallimento della mediazione l’Austria sarebbe entrata in guerra a fianco dei coalizzati.
Dopo questo violento alterco, nei giorni seguenti Napoleone accetta di inviare suoi rappresentanti al congresso di Praga che si apre il 12 luglio ma che non conduce ad alcun risultato. I coalizzati si mantengono intransigenti e lo stesso Napoleone non si dimostra disposto a cedere. Il 10 agosto, Metternich chiude il congresso accusando Napoleone di aver rifiutato le sue condizioni di mediazione e due giorni dopo l’Impero austriaco dichiara guerra unendosi alla Sesta coalizione, rafforzandola in modo decisivo.
La battaglia di Lipsia
Dopo la fine dell’armistizio, Napoleone sconfigge a Dresda (26-27 agosto 1813) un esercito alleato numericamente superiore e infligge enormi perdite, pur sostenendone relativamente poche. Tuttavia, all’incirca nello stesso periodo, la spinta di Oudinot verso Berlino si arresta e i francesi subiscono diverse sconfitte nel nord a Großbeeren, Katzbach e Dennewitz.
Lo stesso Napoleone, privo di un’affidabile e numerosa cavalleria, non riesce a sfruttare appieno la sua vittoria e non può evitare la distruzione di un intero corpo dell’esercito nella battaglia di Kulm (29-30 agosto 1813), indebolendo ulteriormente il suo esercito. Si ritira a Lipsia in Sassonia dove pensa di poter combattere un’azione difensiva contro gli eserciti alleati che convergono su di lui.
Nella cosiddetta battaglia delle Nazioni (16-19 ottobre 1813) Napoleone viene sconfitto definitivamente, ponendo fine al suo dominio sull’Europa. Prima di ritirare ciò che resta delle sue forze in Francia, Napoleone sconfigge un esercito della sua ex alleata Baviera nella battaglia di Hanau (30-31 ottobre 1813).
Gli Alleati offrono delle condizioni di pace nella proposta di Francoforte nel novembre del 1813: Napoleone sarebbe rimasto imperatore di Francia, ma la Francia sarebbe stata ridotta alle sue “frontiere naturali” (dalle Alpi al Reno). Ciò significa che la Francia può mantenere il controllo del Belgio, della Savoia e della Renania (la sponda occidentale del Reno), rinunciando al controllo di tutto il resto, tra cui Polonia, Spagna (riconquistata dalle truppe inglesi e spagnole) e Paesi Bassi (in rivolta contro Napoleone), e gran parte dell’Italia e della Germania. Metternich dice a Napoleone che questi sono i migliori termini che gli Alleati possono offrire; dopo ulteriori vittorie, i termini sarebbero stati più severi e duri.
La caduta di Napoleone
Il giorno di Natale del 1813 la Francia viene invasa dagli eserciti della coalizione. Un mese dopo, il 25 gennaio 1814, consegnato al fratello Giuseppe il controllo di Parigi e alla moglie Maria Luisa la reggenza, Napoleone si mette al comando di un esercito di veterani della Guardia imperiale. Per due mesi Napoleone infligge numerose sconfitte alla Sesta coalizione.
Le armate della Coalizione decidono di marciare verso la capitale, Napoleone ripiega su Fontainebleau. Qui, apprende la notizia della capitolazione di Parigi e del tradimento del generale Marmont, arresosi con le sue truppe agli alleati. Lo zar Alessandro entra vittorioso in Parigi il 31 marzo. Scoraggiato dall’atteggiamento rinunciatario del maresciallo Michel Ney, il 4 aprile annuncia ufficialmente la sua intenzione di chiedere la pace.
Lo zar Alessandro rigetta la sua proposta di pace che stabilisce il ritorno ai ‘confini naturali’ della Francia e gli impone l’abdicazione. Egli, dopo aver più volte tentennato da Fontaineableau, il 6 aprile Napoleone incarica il ministro degli esteri Caulaincourt di negoziare con quest’ultimo l’abdicazione in favore del Re di Roma, il figlio di Napoleone, e della reggenza di Maria Luisa. Lo zar impone l’abdicazione senza condizioni, poiché Talleyrand ha già preso accordi per restaurare sul trono i Borbone.
Napoleone, indignato, minaccia di rimettersi alla testa dei suoi eserciti e marciare su Parigi, ma i marescialli lo costringono a cedere. Napoleone abdica e il Senato chiama “liberamente” il futuro Luigi XVIII “re dei francesi, secondo il voto della nazione”. L’abdicazione diviene effettiva con la firma del trattato di Fontainebleau da parte delle potenze alleate l’11 aprile. Il giorno seguente, preso atto della sua caduta, Napoleone tenta il suicidio ingerendo una forte dose di arsenico, ma miracolosamente viene soccorso e salvato dai suoi collaboratori, che chiamano i medici in tempo.
L’esilio all’isola d’Elba
Poiché lo zar ha promesso un esilio degno di un imperatore, Caulaincourt propone prima la Corsica, rifiutata perché parte integrante della nazione francese, quindi la Sardegna, respinta anche questa perché appartenente al sovrano Vittorio Emanuele I. Lo zar decide infine di esiliare Bonaparte sull’isola d’Elba. La proposta è subito accettata da Caulaincourt, timoroso che Regno Unito e Prussia possano rivelarsi meno accomodanti sulla decisione.
Il trattato di Fontainebleau del 6 aprile 1814 lascia a Napoleone il titolo di imperatore, una rendita di due milioni di franchi dal governo francese e la sovranità dell’isola d’Elba. Il principato dell’isola d’Elba è creato il 13 aprile 1814 in virtù del trattato di Fontainebleau in base al quale si permetta a Napoleone Bonaparte di conservare i suoi titoli nobiliari rinunciando per sé e per i suoi discendenti a qualsiasi diritto dinastico sulla Francia, l’Italia e gli altri paesi già appartenuti al Primo Impero francese. In cambio, in base all’articolo 3 del menzionato accordo, Napoleone e sua moglie, Maria Luisa, avrebbero goduto unitamente ai loro eredi della piena sovranità sull’Isola d’Elba ed arcipelago toscano, escluse l’isola del Giglio e Capraia.
Dopo un memorabile addio alla Vecchia Guardia, Napoleone subisce il dramma della fuga quando, attraversando la Francia del sud, è costretto a indossare un’uniforme austriaca per non finire linciato dalla folla. Il 20 aprile l’ormai ex imperatore francese s’imbarca a Fréjus sulla fregata inglese HMS Undaunted comandata da Thomas Ussher. Il 3 maggio Napoleone raggiunge Portoferraio e il 4 emana un editto che annuncia la presa di possesso dell’Elba. Lo stesso giorno Luigi XVIII entra trionfalmente a Parigi accompagnato dagli Émigré del clero e della nobiltà fuggiti all’estero durante il periodo del Terrore.
Napoleone rimane alla guida del piccolo Stato per dieci mesi, dal 14 aprile 1814 all’1 marzo 1815. Durante l’intero periodo, Bonaparte organizza il suo ritorno in territorio francese, pur dedicandosi meticolosamente all’amministrazione dell’isola. Stabilitosi a Portoferraio, abita presso la Palazzina dei Mulini. Come residenza di campagna sceglie la Villa di San Martino. Dei suoi familiari il Bonaparte accoglie nell’isola solo la madre Letizia e la sorella Paolina. Non vanno mai a trovarlo, invece, la moglie e il figlio.
Nei dieci mesi di esilio Napoleone non rimane inoperoso, ma costruisce infrastrutture, miniere, strade, difese. Sono mesi febbrili, che trasformano un’isola assonnata nel centro culturale e politico del tempo: poeti, artisti, spie e uomini di mondo accorrono nella speranza di visitare quello che è stato l’uomo che ha tenuto l’Europa in pugno.
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- G. Lefebvre, Napoleone, Editori Laterza, Bari, 2009
- D. G. Chandler, Le campagne di Napoleone, Milano, Biblioteca Universale Rizzoli
- V. Criscuolo, Napoleone, il Mulino, Bologna, 2015