CONTENUTO
All’indomani della cacciata dell’ultimo re Tarquinio il Superbo, la neonata repubblica romana si trova ad affrontare l’ostilità delle città latine confinanti che, riunitesi in una lega, tentano di affermare la propria posizione ai danni di Roma.
Guidati dal signore di Tusculum, Ottavio Mamilio, i Latini si schierano nei pressi del lago Regillo, dove, nel 496 a.C. (o 499 – la data è incerta), si combatte la famosa battaglia. Tra le loro fila militano anche l’ormai anziano Tarquinio il Superbo, suocero dello stesso Mamilio, e uno dei suoi figli, probabilmente Tito.
Nell’imminenza dello scontro, a Roma viene nominato un dittatore, Aulo Postumio, al quale è affidato il comando dell’esercito insieme al magister equitum, il capo della cavalleria, Ebuzio Elva.
Lo scontro tra Romani e Latini si protrae con esito incerto fino a quando l’intervento dei Dioscuri, i gemelli divini Castore e Polluce, sposta nettamente l’ago della bilancia a favore di Roma.
Le fonti storiche sulla battaglia del lago Regillo
Le fonti antiche che ci descrivono la battaglia sono l’Ab urbe condita di Tito Livio e le Antichità romane di Dionisio di Alicarnasso, entrambi storici di età augustea (fine I secolo a.C. – inizio I d.C.) e, dunque, lontani dagli avvenimenti. La loro ricostruzione è, con ogni probabilità, il frutto di una tradizione che si è stratificata nel corso dei secoli e che è stata accresciuta di dettagli per nobilitare le imprese degli antenati.
Inoltre, benché la versione che i due storici riportano sia per lo più concorde, ci sono alcune differenze: se Dionisio è prodigo di dettagli e cifre, che è poco probabile corrispondano alla realtà del V secolo a.C., Livio è più sintetico e non si sbilancia in informazioni troppo dettagliate.
Dionisio ci presenta due schieramenti così composti:
Sesto Tarquinio si schierò all’ala sinistra dei Latini, e Ottavio Mamilio alla destra; Tito, l’altro figlio di Tarquinio, comandava il centro, dove erano schierati i disertori e i fuoriusciti romani. Tutta la cavalleria, divisa in tre reparti, fu ripartita tra le due ali e il centro dello schieramento. L’ala sinistra dell’esercito romano era comandata dal comandante della cavalleria Tito Ebuzio, opposto a Ottavio Mamilio; l’ala destra dal console Tito Virginio, contrapposto quindi a Sesto Tarquinio; al centro, integravano lo schieramento le forze al comando del dittatore Postumio in persona, che aveva intenzione di scontrarsi con Tito Tarquinio e con i profughi romani che gli stavano intorno. Il numero complessivo delle truppe adunatesi per la battaglia, per ciascuno degli eserciti, era di 23.700 fanti e 1000 cavalieri dello schieramento romano, e di 40.000 fanti circa e di 3000 cavalieri di quello dei Latini e degli alleati. (Dionisio di Alicarnasso, Antichità romane VI, 5)
I numeri delle forze in campo così come presentati da Dionisio non corrispondono a verità: per quanto sia plausibile che i Latini fossero più numerosi dei Romani, cifre così esagerate hanno l’obiettivo di enfatizzare l’impresa dell’esercito romano che, pur partendo da una posizione di netta inferiorità, riesce a riportare una grande vittoria.
Livio, al contrario, non attesta la presenza del console Tito Virginio, né quella di Sesto Tarquinio (che, secondo la sua ricostruzione, era stato ucciso durante la cacciata dei Tarquini da Roma), ma si riferisce più genericamente ad un figlio di Tarquinio il Superbo, probabilmente Tito. Livio inoltre ricorda la partecipazione alla battaglia di Tarquinio il Superbo, mentre Dionisio dubita dell’attendibilità dell’informazione, data l’età avanzata del deposto re (a suo dire, doveva avere quasi novant’anni all’epoca degli avvenimenti del Regillo).
La battaglia del lago Regillo
Entrambi gli storici delineano una narrazione della battaglia che presenta tutte le caratteristiche dei combattimenti epici di omerica memoria: il lettore assiste, infatti, non al complessivo scontro di due schieramenti opposti, ma alla sequela di singoli duelli tra i comandanti nemici.
E così inizialmente Postumio affronta Tarquinio il Superbo che, ferito, viene riportato nelle file dai suoi soldati (nella versione di Dionisio Tito Tarquinio occupa il posto del padre); Ebuzio Elva si scontra con Ottavio Mamilio e tutti e due ne escono feriti, il primo al braccio, il secondo al petto; Marco Valerio, vedendo il figlio di Tarquinio che si esponeva con superbia nelle prime file dello schieramento, si lancia contro di lui, ma viene trafitto al fianco da uno dei nemici e cade sul campo.
L’andamento della battaglia assesta duri colpi ad entrambe le parti: Postumio, che fino a quel momento è rimasto in disparte, alla vista del cadavere di Valerio, incita i suoi all’attacco; nel frattempo, Erminio, legato romano, si scaglia contro Mamilio in un assalto che, sul finire, si rivela fatale per entrambi. Così scrive Livio a proposito di quest’ultimo duello:
Vistili avanzare in file serrate, e riconosciuto in mezzo a loro Mamilio, che si distingueva per la veste e per le armi, il luogotenente Tito Erminio affrontò il comandante nemico con irruenza tanto maggiore di quella dimostrata poco prima dal maestro della cavalleria [Ebuzio Elva], che con un solo colpo uccise Mamilio trafiggendolo a un fianco, ed egli stesso, raggiunto da uno spiedo mentre spogliava il cadavere del nemico, dopo essere stato riportato come un trionfatore nell’accampamento, spirò durante la prima medicazione. (Tito Livio, Ab urbe condita II, 20)
Morto il proprio comandante, i Latini iniziano a ripiegare inseguiti dalla cavalleria e dalla fanteria romana sospinte da un rinato vigore. Livio ricorda che, a questo punto, il dittatore Aulo Postumio decide di fare un voto perché, a seguito della battaglia e della vittoria riportata, venga edificato un tempio in onore di Castore, divinità venerata a Tusculum, nelle vicinanze del lago Regillo.
L’apparizione dei Dioscuri
Dionisio di Alicarnasso, a questo proposito, conserva una diversa versione degli avvenimenti: la ritirata dei Latini è la conseguenza dell’intervento in campo di due bellissimi giovani a cavallo, i divini Dioscuri. Conclusa la battaglia, la sera stessa due giovani ugualmente belli si presentano nel Foro Romano, dove annunciano al popolo la vittoria ottenuta sui Latini al lago Regillo: nel luogo della loro apparizione, ci dice Dionisio, viene costruito un tempio in loro onore, il famoso aedes Castoris, ancora visibile al suo tempo.
Così scrive Dionisio:
Si tramanda che durante questa battaglia fossero apparsi sia a Postumio, il dittatore, sia ai soldati schierati intorno a lui, due cavalieri, di gran lunga superiori per avvenenza e statura a quanti l’umana natura suole produrre, e nel primo fiore della giovinezza; essi si erano messi a capo della cavalleria romana, colpendo con le lance i Latini che li assaltavano e spingevano a una fuga disordinata. E, dopo la disfatta dei Latini e la conquista del loro accampamento, quando, sul far del crepuscolo, la battaglia era ormai conclusa, si dice che nel foro romano fossero stati scorsi due giovinetti in divisa militare, di alta statura e gran bellezza e della stessa età […]. I due, dopo aver abbeverato ciascuno il proprio cavallo ed essersi detersi alla sorgente che sgorga presso il tempio di Hestia [la fonte Giuturna], formando uno specchio d’acqua di limitate dimensioni ma profondo, poiché molte persone li circondavano per sapere se recavano qualche notizia dal campo, resero noto come si era svolta la battaglia, e che i Romani ne erano stati vincitori. Si dice poi che essi, partiti dal foro, non furono più visti da alcuno, benché il comandante, lasciato in città, avesse dato ordine di effettuare vaste ricerche. Ma il giorno successivo, allorché coloro che curavano i pubblici affari ricevettero le lettere da parte del dittatore e seppero, insieme con gli altri particolari della battaglia, anche dell’apparizione delle divinità, risolsero che gli dei apparsi in entrambi i luoghi erano i medesimi, e si persuasero che fossero delle immagini dei Dioscuri. (Dionisio di Alicarnasso, Antichità romane VI 13)
Gli studiosi moderni sono concordi nel ritenere che tale episodio sia stato costruito a tavolino dalla tradizione successiva al fine di accrescere la gloria dei propri antenati e di dare un’aurea divina alle loro imprese: l’assenza nel racconto di Livio della vicenda conferma questa ipotesi. Con ogni probabilità, l’autore dell’Ab urbe condita, pur essendo a conoscenza della tradizione, ha deciso volontariamente di omettere l’episodio che riconosceva chiaramente come frutto di un’invenzione.
L’unico elemento che Livio conserva nel proprio resoconto è la dedica del tempio di Castore che a tutti gli effetti si trovava nel Foro Romano. Ad Aulo Postumio viene attribuita una specie di evocatio, pratica religiosa particolarmente diffusa a Roma: durante lo scontro con una città nemica, i Romani si appellavano alle divinità tutelari della città nemica, “chiamandole fuori” dalle mura e invitandole a trasferirsi a Roma, dove venivano edificati templi e istituiti sacrifici in loro onore. Il dittatore Aulo Postumio invoca l’aiuto dei Dioscuri, il cui culto era ben radicato a Tusculum, e fa costruire un tempio a loro dedicato come segno di riconoscimento per la vittoria ottenuta sui Latini.
Il foedus Cassianum
A seguito della battaglia, nel 493 a.C., viene stipulato il foedus Cassianum, così chiamato dal nome del console romano che lo sigla, Spurio Cassio. Con questo accordo, i Romani e i Latini si impegnano a mantenere la pace e, in caso di attacco da parte di terzi, a prestarsi reciproco aiuto: all’occorrenza ognuna delle due parti deve fornire lo stesso numero di soldati che si riuniscono in un unico esercito, comandato da Romani e Latini ad anni alterni; inoltre, il bottino di guerra viene equamente suddiviso.
Nell’ambito dei rapporti quotidiani, il foedus Cassianum sancisce la concessione di tre fondamentali diritti:
- ius connubii: il diritto di contrarre matrimoni legittimi tra Romani e Latini;
- ius commercii: il diritto di effettuare liberi scambi commerciali tra Roma e le città del Lazio che vanno a formare una comunità economica;
- ius migrationis: il diritto di spostare la residenza da Roma ad una città del Lazio e viceversa e, con questo, di ottenere i pieni diritti civili.
Le clausole di questo trattato dimostrano che si tratta di un foedus aequum, un accordo equo che pone su un piano paritario le due parti contraenti. Questa parità di condizioni stride con la testimonianza delle fonti antiche a proposito della vittoria di Roma sui Latini: se così fosse stato, il foedus conseguente sarebbe stato iniquum, non equo.
Gli studiosi hanno ritenuto, pertanto, che la battaglia del lago Regillo si sia in realtà conclusa con un sostanziale pareggio, senza che nessuna delle due parti sia riuscita effettivamente a superare l’altra. La tradizione storiografica romana ha poi costruito l’episodio dell’apparizione dei Dioscuri per giustificare lo stato di superiorità di Roma.
Le conseguenze del foedus Cassianum
Il foedus Cassianum ha avuto un grande importanza per le relazioni romano-latine: esso, infatti, è riuscito a regolare e rendere pacifici i rapporti tra Roma e le città latine per più di 150 anni, fino al 338 a.C., quando a seguito della cosiddetta Grande Guerra Latina Roma sconfigge le città del Lazio, scioglie la Lega e questa volta stipula con ognuna di loro un foedus iniquum (che le vincola strettamente a Roma in ambito di politica estera, obbligandole a fornire, in caso di guerra, un contingente militare proporzionale alla consistenza demografica).
L’importanza che il sostegno della Lega Latina ha per la stabilità del potere di Roma si rende in particolar modo evidente all’indomani del sacco del Campidoglio da parte dei Galli (390 a.C.): gran parte delle città vicine, infatti, approfitta del momento di debolezza dei Romani per ribellarsi a loro e attaccarli; le città della Lega, invece, si mantengono fedeli, permettendo a Roma di riprendersi dall’assalto gallico con una rapidità tale che, nel giro di trent’anni, la porterà ad ingaggiare un lungo conflitto con i Sanniti, abitanti dell’attuale Campania, per estendere il proprio dominio nella parte meridionale della penisola italiana.
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- De Sanctis, La religione a Roma. Luoghi, culti, sacerdoti, dei, Carrocci, 2012.
- Alföldi, Early Rome and the Latins, University of Michigan Press, 1965.
Ben scritto
Scritto molto bene
Letto volentieri, mi è piaciuto