CONTENUTO
La situazione politica e sociale prima del 1859
Il grande scontro che sta per essere descritto è considerato, a ragione, quello che ha interessato il maggior numero di soldati nel corso della seconda guerra d’Indipendenza italiana; parliamo infatti del coinvolgimento di circa 260.000 uomini tra esercito franco – sardo e austriaco. Descriveremo la struttura dei vari eserciti e lo svolgimento della battaglia in seguito, ma adesso facciamo un passo indietro e analizziamo ciò che fa da sfondo all’evento, contestualizzando la vicenda e cercando di capire come nasce questo sentimento anti – austriaco, carburante degli scontri.
Le località di Solferino e San Martino si trovano nel territorio mantovano che, dal 1815 anno del Congresso di Vienna, è divenuto parte del Regno Lombardo – Veneto, uno Stato dipendente dal Regno d’Austria. Questo evento consolida l’influenza asburgica in Lombardia, ma attenzione, perché nonostante l’atteggiamento moderato adottato dai nuovi regnanti nei confronti degli oppositori, il malcontento della popolazione (soprattutto borghese e filonapoleonica) residente nell’area è sempre presente.
E’ vero che d’ora in poi il territorio migliora economicamente, ma è anche vero che ciò ha un costo: questo “agio economico” si ottiene in cambio di un regime caratterizzato dal soffocare le libertà democratiche e tale situazione è uno dei motivi che porta ai moti patriottici del 1821 e del 1831.
Fino a questo momento gli ideali liberali (in chiave anti – austriaca) sono sentiti più dalla borghesia che dalla popolazione contadina, quest’ultima più o meno indifferente alla questione dato che, nonostante tutto, svolge la propria attività lavorativa e riesce a soddisfare le proprie necessità. Le cose però iniziano a cambiare grazie alla sempre più forte propaganda mazziniana (caratteristica degli anni ‘30 e ‘40) che porta allo scoppio di tutta una serie di rivolte cittadine nei confronti degli occupanti stranieri, conducendo addirittura le città di Milano e Venezia ad instaurare un proprio governo (parliamo dei famosi moti patriottici del 1848 nati sulla scia dei precedenti).
Nonostante il crescente astio nei propri confronti, gli austriaci riescono comunque a mantenere il controllo di molte aree del nord Italia, in particolare dopo aver sconfitto il re Carlo Alberto di Savoia a Custoza (27 luglio 1848) e determinando così il conseguente fallimento della prima guerra d’Indipendenza italiana.
A questo punto gli scontri armati sono terminati, ma il risentimento nei confronti degli austriaci rimane sempre presente nella popolazione della penisola e ciò, dopo la stipula degli “Accordi di Plombières” (tra Cavour e Napoleone III, anno 1858) e la nascita dell’alleanza sardo – francese (gennaio 1859), porta ad un riacutizzarsi delle ostilità, gettando le basi per quella che sarà, di lì a poco, la seconda guerra d’Indipendenza italiana, culminata con la battaglia di Solferino e San Martino combattuta il 24 giugno 1859.
Il preludio della battaglia di Solferino e San Martino
Siamo nel giugno del 1859. Gli austriaci in Lombardia hanno subìto varie e ripetute sconfitte, tra cui quella più importante riportata a Magenta (4 giugno 1859) da parte dell’esercito franco – sardo con a capo Napoleone III e Vittorio Emanuele II di Savoia.
A questo punto gli asburgici hanno ormai perso Milano e su intenzione del loro Imperatore Francesco Giuseppe, si ritirano ad est oltre il fiume Mincio, all’interno della cosiddetta area del “quadrilatero”[1] al fine di adottare una specifica tattica, già vista precedentemente durante la prima guerra d’Indipendenza: ricompattare l’esercito tra le fortezze del quadrilatero al fine di riorganizzarsi per affrontare l’esercito franco–sardo, oramai in marcia da Milano verso Brescia e il Lago di Garda.
Dall’altro lato, l’intento di Napoleone III e di Vittorio Emanuele II è quello di strappare la Lombardia dalle mani austriache per poi spostare il grosso dell’esercito facendogli attraversare il fiume Mincio. A questo piano si contrappone la strategia austriaca che, dopo aver riorganizzato l’esercito, ha come obiettivo quello di intercettare le truppe nemiche mentre attraversano il fiume Chiese (subaffluente del Po), stabilendosi in una posizione tattica favorevole.
Questi appena illustrati sono i piani dei due schieramenti, ma come vedremo in seguito, le cose andranno diversamente.
Arrivati al 21 giugno, l’esercito franco – sardo oramai partito da Milano in direzione Brescia (quindi verso est), supera il fiume Chiese disponendosi su un fronte di circa 20 km che da Desenzano del Garda scende fino a Carpenedolo, raggiungendo Castiglione delle Stiviere. A questo punto della marcia, l’esercito si divide in due parti: Vittorio Emanuele II costeggia il Lago di Garda, mentre Napoleone III passa dalle pianure a sud.
Intanto, il giorno seguente (22 giugno), gli austriaci passano il Mincio e si dividono anch’essi in due armate: la 1a armata capitanata dall’Imperatore Francesco Giuseppe diretta verso est, nell’area di Carpenedolo. La 2a armata, con a capo il Comandante Ludwig von Benedek, diretta a nord – ovest verso Desenzano del Garda.
Nella stessa giornata, sia Napoleone III che Francesco Giuseppe inviano dei ricognitori per capire la posizione dell’uno e dell’altro, questo perché fino ad ora nessuno conosce l’esatta posizione degli schieramenti coinvolti: i franco – sardi credono che gli austriaci siano asserragliati nel quadrilatero, mentre gli austriaci pensano che l’esercito franco – sardo si trovi ancora nella zona di Brescia, oltre il fiume Chiese.
Proprio per questo motivo, il 23 giugno gli austriaci si stabiliscono nei pressi di Solferino e San Martino, con il piccolo centro di Cavriana (geograficamente arretrato verso est rispetto ai due centri menzionati) che fungerà da Quartier Generale asburgico una volta iniziata la battaglia.
Anche l’esercito franco – sardo si avvicina a Solferino e San Martino, senza sapere che in quelle località si sono già stabiliti gli austriaci. Questi ultimi a loro volta non sanno della loro vicinanza con lo schieramento nemico (come già detto), anche perché il territorio è caratterizzato da una serie di colline che impediscono la visibilità; nessuno immagina che saranno proprio le colline mantovane ad essere teatro dello scontro e con l’arrivo di Vittorio Emanuele II a San Martino e di Napoleone III a Solferino, gli eserciti dei tre condottieri si troveranno faccia a faccia senza preavviso, dando inizio alle ostilità. Siamo arrivati al 24 giugno, giorno della battaglia.
Uno scontro inevitabile: l’area di Solferino
Alle prime luci dell’alba, mentre gli austriaci si preparano a fare colazione, scoppia l’inferno. La battaglia ha luogo in più zone, non solo a Solferino e a San Martino, come dimostrato dai contatti e dai conseguenti scontri avuti fra i vari schieramenti: tra Castiglione delle Stiviere e Solferino si confrontano il I corpo francese e il V corpo austriaco.
Più a sud, tra Medole e Guidizzolo, il II e il IV corpo francese con il III e il IX corpo austriaco. Infine, verso nord, a Madonna della Scoperta e a San Martino, l’armata di Vittorio Emanuele II incontra l’VIII corpo austriaco.[2] Nonostante l’abbondanza dei luoghi teatri di scontri più o meno consistenti, Solferino e San Martino risultano i punti nevralgici della battaglia, dunque si è scelto di analizzarli specificatamente.[3]
A Solferino, due brigate austriache e quattro battaglioni di Kaiserjäger (Cacciatori dell’Imperatore) si posizionano sulla collina arroccandosi in tre punti chiave: le case del villaggio, il cimitero e la rocca. Una delle particolarità ricorrenti dell’esercito austriaco è quella di sfruttare al meglio il paesaggio durante le azioni militari e l’arroccarsi in questi luoghi ha permesso ad essi di riversare un fuoco continuo sulle truppe francesi, queste ultime intente a cercare il corpo a corpo.
Napoleone III (così come Francesco Giuseppe), è consapevole della sua forza nel combattimento ravvicinato e questo approccio può essere la chiave di volta per sfondare le linee austriache qui a Solferino. Oltretutto, conquistandole si sbloccherebbe l’intero fronte a favore dei franco – sardi, potendo così aggirare con più facilità gli altri reparti dell’esercito asburgico disposti sull’intera linea.
Nonostante le ripetute cariche francesi, gli austriaci riescono a respingere il nemico per ben quattro volte ma, essendo Francesco Giuseppe lontano alcuni km dal fronte (precisamente a Cavriana), non riesce ad ordinare in tempo un contrattacco che gli avrebbe permesso di guadagnare terreno sui francesi.
Alle 12.00, nessuna posizione chiave è stata ancora espugnata dai francesi, così Napoleone III, per evitare una “seconda Borodino”, fa intervenire la Guardia Imperiale (circa 5.000 uomini) appoggiata dai temuti Zuavi (milizia algerina) e il risultato si dimostra efficace: dopo le 14.00 circa, grazie all’intervento della Guardia, degli Zuavi, di due brigate della divisione Forey e della divisione Bazaine, cimitero, rocca e villaggio vengono conquistati, costringendo gli austriaci a ritirarsi nonostante i rinforzi inviati qualche ora prima dall’Imperatore su consiglio del Maresciallo Nugent.
Alle ore 17.00 circa, Solferino è finalmente in mano francese. In più, altri settori del fronte in cui erano coinvolte le truppe di Napoleone III vengono conquistati da questi ultimi; il Generale MacMahon prende San Cassiano a sud, il Generale Neil conquista Guidizzolo e il Comandante Canrobert avanza da Medole per rinforzare le altre linee del fronte.
Nonostante il tentativo di rincuorare i propri uomini, l’Imperatore Francesco Giuseppe non riesce a far mantenere alla propria 1a armata le linee, così lascia il suo Quartier Generale di Cavriana per ritirarsi. I francesi decidono di non inseguire i propri nemici (poiché hanno bisogno di riprendersi e per un sopraggiunto temporale che limita gli spostamenti),[4] ma nonostante la sconfitta oramai certa e la loro perdita di posizione a Solferino, gli austriaci continuano a resistere nel settore di San Martino. Sono le ore 17.30 circa.
Re Vittorio Emanuele II a San Martino
L’area compresa tra Desenzano del Garda e Madonna della Scoperta è parte dell’area di marcia dello schieramento del Regno di Sardegna comandato dal Re Vittorio Emanuele II. Più o meno al centro delle località appena citate (teatro anch’esse di scontri armati) vi è San Martino, il cui punto più elevato è quello su cui sorge il roccolo, posto su una collina dai dolci pendii e che permette di rimanere sopraelevati di una trentina di metri circa rispetto al livello medio del suolo.
Tutta quest’area, insieme ad altre collinette su cui vi sono altrettanti cascinali, forma un vero e proprio altopiano, perfetto per mascherare le prime linee difensive e per dirigere il fuoco d’artiglieria e di fanteria (anche se facilmente aggirabile).[5] Per far proprie le posizioni più elevate, bisogna conquistare tutti i cascinali e ovviamente, come visto anche a Solferino, gli austriaci hanno occupato tutti questi punti rialzati, organizzando efficaci difese.
Il Feldmaresciallo von Benedek, che comanda la 2a armata, conosce bene l’importanza di mantenere queste posizioni, così organizza una difesa formata da tre linee: la prima, quella avanzata, permette alle truppe di essere sopraelevate di 10 m. circa rispetto al livello medio del suolo circostante. La seconda, di massima resistenza, ottima per il tiro incrociato. Infine la terza, detta linea di retroguardia, totalmente in piano e adatta per l’organizzazione dei rifornimenti.
Come per i francesi a Solferino, anche qui le truppe di Vittorio Emanuele II non sanno che gli austriaci occupano le aree strategicamente migliori, infatti alle 7.00 del mattino, i 1.000 uomini della 5a divisione Cucchiari cercano di salire i pendii ma vengono falciati e respinti dagli austriaci. A supporto dell’attacco sardo arrivano anche 3.500 uomini e 4 cannoni della brigata Cuneo e inizialmente pare che la linea austriaca ceda, ma l’arrivo di 7.000 soldati e 29 cannoni austriaci di rinforzo bloccano ogni sogno di gloria.
Alle 11.00, un nuovo attacco da parte della brigata Casale diretto sulle posizioni di San Martino inizia con grande impeto, ma l’ottima organizzazione delle linee austriache e l’arrivo regolare di rinforzi asburgici fanno fallire l’attacco sardo. Le cose, però, iniziano a cambiare quando i rinforzi del reggimento Acqui si uniscono alla lotta e a poco a poco riescono a guadagnare terreno sui pendii collinari.
L’organizzazione austriaca ha previsto molto, difatti von Benedek cerca di aggirare le truppe sarde intente ad affrontare frontalmente le proprie linee poste sui pendii, in maniera tale da creare un fuoco incrociato e mandare in rotta il proprio nemico. Compreso il movimento austriaco, le truppe sarde rinforzano le divisioni e le brigate occupate nel combattimento schierando le riserve, e questo permette loro di ricompattarsi.
Durante le prime ore pomeridiane, scende in campo lo stesso Re Vittorio Emanuele II, pronto ad incoraggiare i propri uomini prima di assaltare la collina, ma nonostante l’impeto, gli austriaci continuano a resistere.
Il fallimento degli assalti è continuo, così alle 19.00 l’esercito sardo si riorganizza per sferrare l’ennesimo attacco, forte di quattro reggimenti e due brigate; i 12.000 uomini del “Sovrano Sardo” avanzano verso le bocche da fuoco di circa 18.000 austriaci e alla fine riescono a sfondare la linea asburgica sfruttando l’artiglieria e facendo penetrare la cavalleria e due brigate sul fianco nemico.
Sono le ore 20.00 e gli austriaci abbandonano San Martino su ordine di von Benedeck, dopo aver appreso la notizia che anche Solferino è caduta in mano francese, così le truppe asburgiche si ritirano oltre il fiume Mincio e giunti alla sera del 24 giugno, l’esercito franco-sardo può dirsi totalmente vittorioso.
Battaglia di Solferino e San Martino: schieramenti e tattiche a confronto
La battaglia di Solferino e di San Martino viene erroneamente vista come uno scontro in cui la carica alla baionetta regna sovrana. Vi sono delle incongruenze in questo concetto, dove la definizione di “totale scontro con baionetta” nasce forse dal voler esaltare imprese eroiche e fisiche tipiche più dell’antichità che della modernità.
Quest’idea ha portato a sottostimare l’importanza dell’artiglieria; per esempio i francesi, se pur con cannoni numericamente inferiori rispetto agli austriaci, si dimostrano più letali di questi ultimi, dato che Napoleone III sfrutta i nuovi cannoni a canna rigata (gittata e precisione migliorata), mentre i suoi nemici ancora usano, così come le truppe di Vittorio Emanuele II, cannoni a canna liscia, meno precisi e con portata inferiore. Lo stesso si può dire dei moschetti, anch’essi a canna rigata. In entrambi i casi il loro uso è consistente.
Tutti questi elementi ci permettono di capire come il livello tecnologico sia migliorato rispetto ai decenni passati e ciò si scontra, dall’altro lato, con l’applicazione di tattiche e manovre belliche in cui gli avanzamenti frontali regnano ancora sovrani; le tattiche militari di movimento e schieramento non vanno di pari passo con il progresso della tecnologia da guerra e così il risultato è un numero di morti e feriti estremamente elevato (una situazione analoga si osserverà anche durante la I Guerra Mondiale).
Se molto ha significato la meccanica dell’arma da fuoco, anche il tipo di schieramento, di comando e di approccio allo scontro hanno determinato notevolmente gli esiti dei vari combattimenti: in generale, gli austriaci si tengono sulla difensiva proprio perché, come detto prima, sanno sfruttare alla perfezione il territorio e ne sono consapevoli.
Da questo capiamo perché hanno deciso di evitare gli scontri corpo a corpo prediligendo l’uso delle armi da fuoco (controllo del nemico da posizioni elevate e/o fortificate). A questa impostazione austriaca va incontro, invece, l’antiquata tattica sarda dell’attacco frontale ad oltranza, come visto a San Martino. Qui, in questo settore, si può decisamente constatare la maggior concentrazione degli scontri alla baionetta, ma se poi ci spostiamo sul versante francese, a Solferino, vediamo come l’uso dell’arma da fuoco sia preponderante (così come in tutti gli altri luoghi in cui ci si scontra).
Da tenere in considerazione anche il tipo di comando e la formazione degli eserciti: lo schieramento franco-sardo (in particolare dalla parte francese) ha comandanti e soldati professionisti, che hanno dimostrato nel corso degli anni il proprio valore. E’ un esercito di qualità, anche se i reparti sardi vedono la presenza di molti volontari e quindi truppe non professioniste.
Gli austriaci, invece, hanno un esercito che sfrutta molto la coscrizione e i volontari, capitanati da comandanti il cui ruolo è dato più per origine familiare che per capacità,[6] (ad eccezione del qualitativo von Benedek). Alla luce di questi elementi, si accetta il risultato finale della battaglia, che ha portato alla vittoria lo schieramento franco-sardo (senza nulla togliere alla comunque presente qualità militare austriaca).
Bilanci e testimonianze dal fronte
Il risultato della carneficina è tremendo. Tutti gli schieramenti hanno subito gravi perdite tra morti, feriti e dispersi. Qui sotto cerchiamo di riassumere numericamente il bilancio di fine giornata:[7]
- Esercito di Napoleone III: 1.700 morti, 8.600 feriti e 1.500 dispersi/prigionieri
- Esercito di Vittorio Emanuele II: 900 morti, 4.000 feriti, 800 dispersi/prigionieri
- Esercito di Francesco Giuseppe: 2.300 morti, 10.900 feriti, 8.700 dispersi/prigionieri
I numeri non sono indifferenti, complici anche il tipo di tattica militare, il terreno di scontro e le nuove tecnologie militari applicate, come analizzato poc’anzi. Nonostante gli asettici numeri, l’evento può essere rianimato dalle numerose testimonianze di chi, indipendentemente dallo schieramento di appartenenza, ha vissuto quei momenti.
Così scrive il volontario diciottenne Giulio Adamoli, facente parte del secondo reggimento granatieri del Re Vittorio Emanuele II:
“…Ben presto le nostre compagnie si spiegarono in battaglia […] e quantunque non si vedesse e non si udisse ancora nulla, si presentiva che il bello non tarderebbe a incominciare. Allorchè il Varesi mi disse: Ouii, ghe semm!…Quante impressioni mi assalirono! La idea concreta di morire non mi si presentò; ma in sua vece provai una vaga apprensione anticipata del momento in cui mi sarei trovato faccia a faccia col nemico; e mentre la soddisfazione sincera di menare le mani una buona volta, dopo si lunga attesa, portava il sorriso alle labbra e un lampo negli occhi, il sangue, precipitando al cuore, faceva impallidire il viso e un leggero brivido correva giù per la spina dorsale…”
Il nostro Giulio Adamoli continua la sua descrizione del momento una volta che lo scontro prende il via:
“Alla destra […] si intravedeva la torre di Solferino fra nembi di fumo e di polvere, squarciati a volte dal lampo delle baionette e dal rosso delle uniformi francesi. Ma troppo io avevo da pensare ai casi miei per occuparmi molto dello spettacolo […]. Nei molti nostri andirivieni, a un certo momento mi ritrovai a far fuoco sul ciglio di un burrone, mentre una scarica ben nutrita dei nemici buttò a terra, morti o feriti, quasi tutti i miei compagni. Ricordo sempre il bravo provinciale della mia squadra che sparava inginocchiato al mio fianco, quando, colpito al cuore, portatavi la mano, invocato: Gesù Maria!…capitombolò giù per lo scosceso pendio, rimase penzoloni impigliato in uno sterpo, né più si mosse…”[8]
Queste testimonianze ci permettono di rivivere quei momenti, e nel caso specifico sono questi istanti che hanno determinato, dopo la battaglia di Solferino e di San Martino, la nascita della Croce Rossa su desiderio di Henry Dunant, colpito profondamente dal macabro spettacolo finale.
Note:
[1] L’area del “quadrilatero” consiste in un importante porzione di territorio compreso tra il fiume Mincio e il fiume Adige. Prende il nome dal fatto che le quattro fortezze rappresentanti i quattro punti angolari (Peschiera, Verona, Mantova e Legnago) creano un’area quadrata a scopo difensivo, difficilmente aggirabile. Fondamentale per il controllo del territorio e attiva dal 1815 al 1866.
[2] ANDREA FREDIANI 2015: “La storia del mondo in 1001 battaglie. Dagli Egizi ad Alessandro Magno, dai Romani al Medioevo, da Napoleone alla II Guerra Mondiale, fino ai giorni nostri”, Newton Compton Editori, p. 499.
[3] Per la descrizione degli scontri avvenuti in altre località, non solo a Solferino e a San Martino, si rimanda ai “libri consigliati dal sito fattiperlastoria.it”.
[4] VITANTONIO PALMISANO 2019: “1859. Palestro, Magenta, Melegnano, Solferino e San Martino”, Gemini Grafica Editrice, pp. 123-125.
[5] GIOVANNI CERINO BADONE 2009: “San Martino 1859. Analisi di una battaglia”, pp. 179-222, in “Atti del convegno 150° anniversario II Guerra di Indipendenza”, Convegno Nazionale Commissione Italiana di Storia Militare, Roma 5-6 novembre 2009, Roma 2010.
[6] Ibidem
[7] I numeri indicati sono approssimativi, ottenuti da una media calcolata su più fonti.
[8] NINA QUARENGHI 2009: “L’altra battaglia. Solferino e San Martino tra realtà e memoria”, cit., Cierre Edizioni, pp. 52-53.
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- Nina Quarenghi, L’altra battaglia. Solferino e San Martino tra realtà e memoria, Cierre Edizioni, 2009.
- Vitantonio Palmisano, La campagna del 1859 in Lombardia attraverso le memorie e la corrispondenza dei reporter al seguito degli eserciti, Gemina Grafica Editrice, 2019.