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La guerra franco prussiana: dal piano di Bismarck al telegramma di Ems
Si può considerare la battaglia di Sedan, combattuta fra il 31 agosto e il 2 settembre 1870, una delle battaglie decisive della storia: è infatti l’atto conclusivo della Guerra franco-prussiana, passaggio ultimo ed obbligato per l’unificazione tedesca e la nascita dell’Impero germanico.
L’unificazione della Germania sotto l’egida prussiana è il principale obiettivo politico del cancelliere Otto von Bismarck, protagonista indiscusso del sistema delle potenze europeo dell’Ottocento. Determinato a perseguire il suo scopo manu militari, dopo aver vinto la guerra contro l’Austria nel 1866 e affermato l’egemonia della Prussia nell’area tedesca Bismarck necessitava ancora di impegnare il suo paese in un conflitto dove potesse ergersi a guida degli stati tedeschi contro una potenza ostile.
La Francia dell’imperatore Napoleone III, impegnata da anni contro il rischio di uno strapotere prussiano, si candida ad essere un perfetto avversario sul quale imperniare questa nuova fase del processo di unificazione, come l’Impero asburgico quattro anni prima. La Prussia ha bisogno, però, che sia la Francia a dare inizio alle ostilità.
Il casus belli si manifesta nella primavera del 1870 con la vicenda della corona di Spagna, offerta al principe Leopoldo Hohenzollern Sigmaringen, appartenente ad un ramo della famiglia reale prussiana: la Francia davanti a questa ipotesi, temendo un accerchiamento, protesta e minaccia un intervento armato, inducendo Berlino, nel mese di luglio, a ritirare la candidatura.
Napoleone III, però, dà istruzioni all’ambasciatore in Prussia di avanzare una richiesta ulteriore: i reali prussiani avrebbero dovuto assicurare che neanche in avvenire la candidatura del principe sarebbe stata un’opzione praticabile. Il re di Prussia Guglielmo I, in quel momento in vacanza nella località termale di Ems, liquida bruscamente l’ambasciatore francese rifiutando di prendere un impegno di tal sorta.
L’aiutante di campo del sovrano invia al primo ministro Bismarck un telegramma riportante l’accaduto: il cancelliere ritiene l’occasione propizia per fomentare il conflitto con i francesi e rende pubblica una versione rimaneggiata del dispaccio che appare così estremamente duro e categorico. La Francia, provocata, abbocca all’amo prussiano e dà inizio all’azione militare.
La guerra franco prussiana: le operazioni militari
La Francia inizia le operazioni con un approccio offensivista, occupando la città di confine di Saarbrucken. A seguito della notizia che i prussiani stanno preparando attacchi massicci, però, l’esercito di Napoleone III si impegna soprattutto in manovre difensive, invero abbastanza confuse.
I primi scontri veri e propri si hanno nelle località francesi di Wissembourg, Spicheren e Froeschwiller e si rivelano estremamente sanguinosi, con perdite sostanzialmente pari da entrambe le parti. La prima collisione tra il grosso dei due eserciti, a Gravellot-St.Privat il 18 agosto, mostra l’elevata precisione e letalità delle mitragliatrici e dei fucili francesi, gli chassepot.
I prussiani subiscono perdite elevatissime, ma la situazione viene bilanciata dalla potenza della loro artiglieria, che ha come punta di diamante i cannoni Krupp a retrocarica. I francesi in questa occasione, pur avendo conseguito un vantaggio tattico mettendo in rotta gli avversari, decidono di non proseguire con un inseguimento delle truppe nemiche ma di ritirarsi a Metz[1]. In questo modo i prussiani hanno modo di riorganizzarsi e di imparare dagli scontri precedenti: evitano di lanciare attacchi di cavalleria, che sarebbero fermati dalla potenza di tiro francese, e assegnano un ruolo da protagonista all’artiglieria.
L’esercito prussiano, sotto il comando del generale Helmuth von Moltke, mette in atto una manovra di avvolgimento “a tenaglia”: attorno a Sedan, sul confine con il Belgio, si stringono l’Armata della Mosa comandata dal principe ereditario di Sassonia e la Terza Armata con la guida del principe ereditario di Prussia. Quest’ultima avrà il compito di bloccare un’eventuale ritirata dei francesi verso occidente.
Queste manovre intrappolano, di fatto, l’armata francese guidata dal generale Patrice de MacMahon, che stava muovendo per soccorrere le truppe del maresciallo Bazaine assediate dal nemico nella roccaforte di Metz.
Il 1 settembre 1870 la battaglia ha inizio prima dell’alba: i prussiani, così disposti, riescono ad accerchiare la fanteria francese con una linea ininterrotta di batterie d’artiglieria e danno inizio ad un massiccio bombardamento. I tentativi della cavalleria francese di aprirsi un varco nelle fila del nemico sono vani, e l’esercito di Napoleone III va in rotta, portando ad uno dei disastri più grandi della storia militare francese.
Sotto le granate tedesche le truppe si trasformano da forza combattente organizzata in accozzaglia di fuggitivi, la cui maggior parte cerca con ogni mezzo di riparare dentro la fortezza di Sedan e aver salva la vita. La fanteria prussiana ha di fatto solo il compito di completare il lavoro, terminato il bombardamento, battendo il Bois de la Garenne.
Di fronte a questo disastro Napoleone III dà ordine di issare bandiera bianca, e il generale de Wimpffen viene inviato in ambasceria presso il nemico per chiedere che all’esercito francese venga garantita almeno una ritirata onorevole, con armi ed equipaggiamenti al seguito, dietro la promessa di non ingaggiare più alcun combattimento.
La richiesta viene seccamente respinta: Bismarck, infatti, sottolinea che l’interesse della Prussia è di concludere rapidamente la guerra disarmando completamente il nemico, ovvero privandolo interamente del suo esercito[2]. I prussiani chiedono pertanto che i soldati francesi si consegnino come prigionieri di guerra, minacciando altrimenti di riprendere i bombardamenti per annientare ciò che rimaneva dell’esercito del Secondo Impero[3].
Il giorno dopo i francesi decidono di sottostare all’ordine di Bismarck e von Moltke, e le truppe vengono trasferite nel campo di internamento di Iges. Le residue forze francesi, quelle del maresciallo Bazaine assediate a Metz, capitolano allo stesso modo dopo essersi sostanzialmente arrese a fronte delle ripetute offensive fallite.
Il tracollo di Sedan segna le sorti della guerra: Napoleone III viene preso prigioniero dai tedeschi mentre il suo regime viene di fatto rovesciato in patria, e i vincitori annettono già nel settembre 1870 l’Alsazia Lorena. Il 18 gennaio 1871 viene creato l’Impero tedesco, con il re di Prussia proclamato imperatore, e il conflitto tra i due paesi viene composto con il trattato di Versailles.
Dietro la battaglia di Sedan del 1870: il generale von Moltke e i suoi riferimenti teorici tra dottrina e applicazione
Per analizzare la battaglia di Sedan dal punto di vista delle teorie strategiche, è di particolare efficacia guardare alla principale fonte di ispirazione di uno dei suoi protagonisti, il generale Helmuth von Moltke, detto il Vecchio per distinguerlo dall’omonimo nipote. Capo di Stato maggiore prussiano dal 1857 e grande riformatore, von Moltke è una figura centrale nella pratica strategica dell’epoca, e sotto il profilo della dottrina si riconosce come discepolo di Carl von Clausewitz[4].
In particolare von Moltke applica (compreso nel caso di Sedan, come appare evidente) il principio clausewitziano della grande battaglia di annientamento, che diventerà il fulcro del canone continentale della strategia per i decenni a venire: senza addentrarsi nel complesso e talora disorganico universo teorico del Della guerra (1832), opera principale di Clausewitz, è fondamentale l’assunto che il centro dell’azione bellica sta nell’azione offensiva di massa, volta alla completa distruzione dell’esercito nemico, la quale diventa obiettivo militare prioritario e decisivo per le sorti del conflitto.
Secondo Clausewitz, ma soprattutto secondo i suoi interpreti, la guerra deve quindi concentrarsi in poche, grandi e risolutive battaglie campali volte ad annientare lo strumento armato dell’avversario e in questo modo riuscire a imporgli la propria volontà. È del tutto evidente, tra l’altro, il fascino che per alcuni ha esercitato il potenziale “limitante” di questa concezione sulla forza distruttiva della guerra, riducendo il conflitto alle collisioni tra eserciti regolari e confinando la violenza nel perimetro delimitato del campo di battaglia[5].
Von Moltke aderisce sostanzialmente a questo paradigma e lo traduce in costante ricerca di una massiccia offensiva che sia risolutiva del conflitto in breve tempo, ponendo enfasi sul potere e l’azione di forza diretta piuttosto che, per esempio, sull’attrito o il logoramento del nemico.
Una certa limitatezza di un’applicazione troppo stringente di Clausewitz appare, a tal proposito, dopo la vittoria sulla Francia: i prussiani faticano, infatti, ad affrontare i franc tireurs della guerra di resistenza francese, che combattono con tecniche di guerriglia, in quanto formati a condurre ostilità convenzionali contro eserciti di massa. I comandanti tedeschi rispondono a questa sfida con esecuzioni e dure azioni punitive, applicando soluzioni esclusivamente militari e non, come sarebbe stato forse preferibile, anche politiche[6].
Infatti, pur riconoscendo il suo debito nei confronti di Clausewitz e aderendo a diversi dei cardini della teoria del Della guerra, von Moltke non accetta (se non nominalmente) uno degli snodi fondamentali dell’impianto clausewitziano: la subordinazione della guerra alla politica[7]. Famosa è la frase che riassume questo concetto, «la guerra non è che la continuazione della politica con altri mezzi»: secondo il teorico prussiano la guerra non trova la propria ragione in sé stessa, ma i suoi scopi devono essere fissati dalla razionalità politica, che ne stabilisce logica e obiettivi a cui devono seguire proporzionate risorse da impiegare per conseguire risultati militari funzionali allo scopo.
La società prussiana, caratterizzata da una commistione tra élite politica ed élite militare con una preminenza di quest’ultima, sembra invece aderire maggiormente alle idee di un altro teorico, lo svizzero Jomini: una volta deciso di impiegare lo strumento bellico la politica dovrebbe limitarsi a nominare un comandante all’altezza per poi farsi da parte, lasciando al dominio militare la conduzione del conflitto.
Von Moltke è uno dei principali artefici di quest’assetto politico-sociale, così come di una profonda riforma dello Stato maggiore prussiano di cui si possono osservare gli effetti anche a Sedan. Il generale dà molta importanza alla formazione di un corpo ufficiali professionale e ben addestrato, esaltando le individualità e la capacità di iniziativa e ricercando queste doti anche nei ranghi inferiori: l’obiettivo è passare dalla “tattica dell’ordine”, che prevede esecuzione cieca e acritica delle direttive superiori, alla “tattica del compito”, che è invece basata su un ampio grado di autonomia decisionale lasciato ai comandanti sul campo e in taluni casi finanche ai soldati, che non ricevono ordini precisi bensì missioni da portare a termine[8].
Questo decentramento esecutivo, a cui comunque corrispondono piani di battaglia decisi in modo accentrato dagli alti comandi, fa sì che i prussiani a Sedan e Metz possano combattere con unità relativamente piccole, mobili e flessibili, mentre i francesi rimangono ancorati alle ingombranti e rigide formazioni in colonna lasciate in eredità da Napoleone[9].
Ad onor del vero va detto che di ispirazione napoleonica è anche la delega d’autorità che rende possibile questa maggior versatilità, ma essa diventerà in ogni caso un tratto distintivo della scuola strategica tedesca fino alla Seconda guerra mondiale, e aprirà la strada alle moderne concezioni organizzative degli eserciti[10]. Ed è sempre guardando all’Empereur che von Moltke elabora il suo concetto di manovra avvolgente, applicato magistralmente a Sedan.
Se si volessero enumerare ulteriori concause della vittoria tedesca sui francesi potremmo sicuramente fare riferimento al migliore utilizzo delle nuove tecnologie, prime fra tutte la ferrovia e il telegrafo, cui von Moltke è molto attento.
La battaglia di Sedan del 1870 come modello: le conseguenze sul pensiero strategico militare
La battaglia di Sedan del 1870 è certamente il culmine della realizzazione del progetto bismarckiano di realizzare l’unificazione tedesca «con il ferro e con il sangue», e trova in von Moltke un esecutore capace di tenere insieme in modo efficace teoria e prassi e di lasciare una riconoscibile impronta non solo a livello militare ma anche sulla politica e sulla società del suo tempo, a riprova del fatto che la guerra è a tutti gli effetti un fenomeno sociale complesso impossibile da ridurre alla sola applicazione della forza.
Una battaglia, specie quando viene combattuta ispirandosi ad un corpus di idee e concetti più elaborato, è in grado di essere una pietra miliare della Storia in senso ampio. Infatti, Sedan e in generale le guerre tedesche hanno influenzato il corso dell’umanità non solo esplicando effetti immediati e diretti (la nascita dell’Impero germanico), ma anche divenendo modello e canone di conduzione delle guerre nei decenni a venire, non da ultimo per la Prima guerra mondiale, iniziata proprio con presupposti e aspettative dirette conseguenze dell’efficacia e rapidità con cui era stata combattuta e vinta la guerra franco-prussiana.
Gli Stati maggiori, e in modo non stupefacente quelli tedeschi in particolare, si aspettavano di veder replicata Sedan, nel contesto di un conflitto fatto di sanguinose battaglie campali ma di rapida e decisiva conclusione. La complessità della società di inizio Novecento e soprattutto l’evoluzione tecnologica hanno reso, come sappiamo, inattuabili queste previsioni e precipitato l’Europa in una lunga guerra di logoramento, ben lontana dal concludersi in modo fulmineo con una grande battaglia come quella vinta dai prussiani nel 1870.
Note:
[1] C. Stefanachi, Guerra indolore, Vita e Pensiero, Milano 2016, p.31
[2] Ivi, p.33
[3] Ibidem
[4] G. Giacomello, G. Badialetti, Manuale di Studi Strategici, Vita e Pensiero, Milano 2017, p. 41
[5] C. Stefanachi, Guerra indolore, cit., p.33
[6] G. Giacomello, B. Badialetti, Manuale di Studi Strategici, cit., p. 41
[7] Ivi, p. 42
[8] Ivi, p. 70
[9] Ivi, p. 71
[10] Ivi, p. 70
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- Michael Howard, The Franco-Prussian War, Routledge, Londra 2001.
- Carl von Clausewitz, Della guerra, trad.it. Bollati e Canevari, Mondadori, Milano 1970.
- Quintin Barry, Moltke and his generals: a study in leadership, Helion and Company, Warwick 2015.