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Il 9 agosto del 48 a.C. si svolge in Tessaglia la battaglia di Farsalo, l’ultimo scontro tra Cesare e Pompeo. La schiacciante vittoria di Caio Giulio Cesare segna la definitiva sconfitta di Pompeo e la fine della guerra civile.
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L’inizio della guerra civile: Cesare contro Pompeo
Con l’uscita di scena nel 53 a.C. di Marco Licinio Crasso, protagonista insieme a Caio Giulio Cesare e Pompeo Magno del “primo triumvirato“, si spezza il precario equilibrio che mantiene in piedi l’impero romano. Pompeo a questo punto si presenta come l’uomo forte e l’unico in grado di mantenere l’ordine a Roma. La classe senatoria, più nel dettaglio la fazione degli optimates, vede in lui il garante e il difensore delle istituzioni repubblicane.
Cesare, invece, completa la sottomissione della Gallia e allo scadere del suo mandato chiede al senato di essere nominato console. La sua richiesta è respinta e gli viene intimato di rinunciare al comando militare; Cesare, allora, in segno di sfida, attraversa nel 49 il Rubicone, il fiume romagnolo che segna il limes tra Italia e Galla Cisalpina, dando inizio alla guerra civile.
Prima della battaglia di Farsalo
Il generale romano avanza velocemente con il suo esercito impadronendosi di Rimini, Arezzo e Gubbio. Pompeo, accompagnato da molti senatori repubblicani, raggiunge Brindisi e si imbarca per l’Oriente, dove può contare su importanti clientele per organizzare un numeroso esercito e affrontare al meglio il rivale.
Cesare non insegue subito il proprio antagonista ma raggiunge Roma e compie una serie di abili mosse sia militari che politiche: strappa la penisola iberica alle truppe fedeli a Pompeo; tiene a freno le forze estremiste dei “populares“, per inaugurare una politica moderata ingraziandosi, in tal modo, il ceto medio; adotta la linea della “clementia” nei confronti degli avversari e di coloro che non prendono posizione.
Nominato console Cesare salpa da Brindisi, all’inseguimento di Pompeo, con sette legioni, alle quali se ne aggiungono successivamente altre cinque guidate dal fidato Marco Antonio.
La battaglia di Farsalo: 9 agosto 48 a.C.
Lo scontro decisivo tra i due antagonisti si svolge il 9 agosto del 48 a.C. In una vasta pianura circondata da molte colline e situata in Tessaglia, presso Farsalo, i due eserciti vengono schierati per la resa dei conti. La battaglia di Farsalo rappresenta un evento spartiacque per la storia romana: in essa, infatti, non si decide solo il destino dei due comandanti supremi, ma anche quello della “Res publica romana”.
Cesare parte da una situazione di svantaggio: ha un esercito numericamente inferiore rispetto a quello di Pompeo (ottanta coorti contro centodieci, per un totale di 22 mila uomini contro 35-40 mila) e si trova in un territorio a lui poco noto e assai ostile. Tra le fila avversarie regna, invece, la fiducia dopo l’energico discorso di Pompeo che sminuisce il valore e la forza dell’esercito di Cesare.
Quest’ultimo ha però un vantaggio che si rivelerà decisivo per le sorti della battaglia. Il comandante della cavalleria di Pompeo è, infatti, Tito Labieno, che precedentemente ha combattuto con lui in Gallia prima di passare al nemico. Labieno è abituato ad applicare una tattica che consiste nell’attaccare sul lato debole dell’avversario per poi convergere verso il centro contro il grosso dell’esercito nemico.
Consapevole di ciò Cesare stacca dal lato destro del suo esercito sei coorti di soldati e le posiziona come riserva; in tal modo, separando le coorti dall’ala, oltre ad avere un’unità mobile pronta ad accorrere nel momento del bisogno, egli mostra un finto lato debole, prevedendo che la cavalleria pompeiana gli andrà subito contro.
Durante la battaglia di Farsalo tutto va secondo le previsioni di Cesare: Labieno muove subito la sua cavalleria all’attacco del lato destro, mentre il grosso della fanteria di Cesare, guidato da Marco Antonio, attacca il centro dello schieramento nemico, rimasto, per ordine di Pompeo, fermo ad aspettare la carica dell’avversario (tale disposizione viene considerata successivamente da Cesare come un fatale errore tattico di Pompeo).
Quando la cavalleria di Labieno entra in contatto con l’ala destra dell’esercito di Cesare, questi lancia la riserva e stringe i cavalieri avversari in una tenaglia: a quel punto l’unica possibilità di salvezza per Labieno e i suoi è la ritirata. Marco Antonio, nel frattempo, manda all’attacco i propri fanti e il grosso dell’esercito di Pompeo, vedendo in ritirata i cavalieri, cede terreno agli avversari.
Con la ritirata di Labieno e il progressivo indietreggiamento del grosso del proprio esercito, Pompeo considera perduta la battaglia e fugge insieme a tutto lo stato maggiore. In questo modo salva la sua vita e quella dei suoi ufficiali, ma perde sul campo di battaglia circa 15.000 soldati.
La fine della battaglia di Farsalo e la resa dei pompeiani
Le truppe di Cesare, vittoriose sul campo, non danno tregua ai pompeiani. Il comandante conduce i suoi all’assalto dell’accampamento avversario, difeso oramai soltanto da alcune coorti e qualche truppa ausiliaria.
All’alba del giorno seguente i pochi pompeiani che ancora combattono si arrendono e chiedono pietà al comandante vincitore. Cesare con poche parole scaccia ogni timore e li tratta con sorprendente clemenza, ordinando ai suoi che non sia fatto agli avversari alcun male. Dietro tale decisione non c’è soltanto un atto di clemenza verso il nemico sconfitto, ma è possibile intravedere un chiaro ed efficace strumento di propaganda politica.
Subito dopo la battaglia di Farsalo Pompeo si rifugia in Egitto nella speranza di trovare un posto sicuro alla corte di Tolomeo XIV; va invece incontro ad un tragico destino. Il faraone, infatti, temendo possibili ritorsioni da parte di Cesare, lo fa decapitare prima ancora che il generale romano riesca a mettere piede sulla riva.
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