CONTENUTO
“La Prima guerra mondiale apparve ai contemporanei come un fatto nuovo di eccezionale importanza sopratutto per le sue dimensioni, che le meritarono la definizione di Grande guerra: mai prima del 1914 si erano visti tanti uomini in armi, mai erano stati usati armamenti tanto micidiali, mai si erano verificate perdite umane così enormi, mai erano state mobilitate tante risorse, mai era stata distrutta in un conflitto una così grande quantità di ricchezza. Inoltre, per la durata e per l’estensione dei teatri delle operazioni, la guerra del 1914-1918 superò tutte quelle che si erano combattute in Europa dalla fine delle guerre napoleoniche in poi. Ma più che per questi aspetti quantitativi la Grande guerra segnò una svolta nella storia del mondo per le sue conseguenze: essa, infatti, accelerò e fece precipitare alcuni processi di sviluppo già in atto determinando nella situazione mondiale mutamenti di grande importanza“. (Storia dell’Italia moderna 1914-1922, Giorgio Candeloro, vol. VIII, Feltrinelli)
Attentato di Sarajevo, riassunto
L’attentato di Sarajevo del 28 giugno 1914 rappresenta l’inizio di uno degli eventi più drammatici della storia contemporanea: la Prima Guerra Mondiale. Quel fatidico giorno, l’arciduca Francesco Ferdinando d’Austria, erede al trono austro-ungarico, e sua moglie Sofia, duchessa di Hohenberg, si trovano in visita ufficiale a Sarajevo, capitale della Bosnia, annessa da pochi anni dall’Impero austro-ungarico. Tuttavia, la loro presenza non è ben vista da tutti: un gruppo di giovani nazionalisti serbi, legati alla società segreta Mano Nera, ha pianificato di assassinare l’arciduca per protestare contro l’occupazione austriaca.
Il primo attentato avviene nel corso della mattinata, quando Nedeljko Čabrinović lancia una bomba verso l’auto di Francesco Ferdinando. L’ordigno esplode in ritardo, ferendo altre persone ma lasciando illeso l’arciduca. Nonostante il pericolo scampato, Francesco Ferdinando decide di proseguire ugualmente la visita in città. Poco dopo, mentre la sua auto prende per errore una strada diversa dal percorso previsto, si trova proprio davanti ad un altro cospiratore, il diciannovenne Gavrilo Princip, il quale non perde l’occasione ghiotta che gli si presenta inaspettatamente e spara due colpi: entrambi sono micidiali per i due coniugi.
Un aspetto curioso dell’attentato è la casualità con cui avviene: Gavrilo Princip si trova in quel punto per puro caso, dopo essersi fermato in una panetteria per comprare un panino. Inoltre, la pistola che usa è una semiautomatica poco sofisticata, ma sufficiente per cambiare il corso della storia. Ancora più sconcertante è che il primo a soccorrere Francesco Ferdinando sia un medico bosniaco, simpatizzante della causa nazionalista, che purtroppo non riesce a salvargli la vita. Questo attentato, frutto di coincidenze e sfortunate fatalità, accende la miccia che porterà, poco più di un mese dopo, allo scoppio della Prima Guerra Mondiale.
La Belle Époque prima di Sarajevo
All’inizio dell’estate del 1914 l’Europa vive nel clima sereno e spensierato della Belle Époque. Da quasi un secolo, ovvero dalla fine dell’era napoleonica, il continente non è teatro di conflitti ed è diffusa tra l’opinione pubblica la sensazione di andare incontro ad un avvenire d’inarrestabile progresso materiale e scientifico. Del resto l’ultima guerra tra due potenze europee è stata combattuta nel 1870, quando in poco più di due mesi l’esercito prussiano ha sconfitto l’esercito francese e occupato Parigi: proprio nella reggia di Versailles il 18 gennaio 1871 il cancelliere Otto von Bismarck proclamava la nascita del II Reich tedesco.
Non mancano quindi le ragioni per illudersi che una guerra generale sia un qualcosa di superato anche perché la fiducia nella diplomazia è incrollabile, nutrita e sostenuta dalla fede assoluta e positiva che si ha nell’uomo e nella sua ragionevolezza. Nonostante ciò per i vertici militari e per gli osservatori più attenti la situazione politica europea nell’estate del 1914 appare meno tranquilla di quel che possa sembrare; a preoccupare le cancellerie e gli stati maggiori dei diversi eserciti sono principalmente la corsa al riarmo e le rivalità geopolitiche delle potenze, e la questione balcanica sempre più incandescente.
Francesco Ferdinando d’Asburgo erede al trono d’Austria
Il 25 giugno del 1914 l’arciduca Francesco Ferdinando, nipote dell’imperatore d’Austria-Ungheria Francesco Giuseppe e erede al trono, arriva in visita ufficiale in Bosnia-Erzegovina accompagnato dalla moglie, la duchessa Sofia Chotek. In vista di una possibile successione al trono, sempre più probabile considerando l’avanzata età di Francesco Giuseppe, l’erede ha iniziato a fare politica e a manifestare una personale opinione in merito alla questione balcanica. Egli sostiene, infatti, la necessità di riequilibrare i rapporti politici all’interno dell’impero ai danni della popolazione ungherese e in favore degli slavi.
Assolutamente contrario a una guerra contro la Serbia, Francesco Ferdinando è fautore del “trialismo“, ovvero dell’attuazione di una politica di amicizia nei confronti degli slavi che mira nel concreto alla creazione dentro l’impero asburgico-ungherese di una terza monarchia formata dall’unione di Bosnia, Dalmazia e Croazia. Il filo-slavismo dell’arciduca, però, oltre ad essere guardato con sospetto dalla corte austriaca, gli aliena paradossalmente le simpatie dei nazionalisti serbi più radicali che puntano alla creazione di un grande Stato slavo egemonizzato dalla Serbia.
Il risentimento nei confronti degli Asburgo è assai diffuso tra le correnti irredentiste tanto che alla fine del 1913, quando viene annunciata la visita di Francesco Ferdinando in Bosnia, un giornale serbo incita in maniera inequivocabile gli irredentisti all’azione:
“Serbi, prendete tutto ciò che potete: coltelli, fucili, bombe e dinamite. Compite una giusta vendetta. Morte alla dinastia degli Asburgo, un pensiero eterno agli eroi che alzano la mano contro di essa”.
Ad accogliere prontamente questo invito all’azione è un diciannovenne di nome Gavrilo Princip, figlio di un postino e dalla salute minata dalla tubercolosi, appartenente all’associazione nazionalista “Giovane Bosnia”. Assieme a due complici Nedeljko Čabrinović e Trifko Grabež, Princip varca il confine tra la Bosnia e la Serbia alla fine di maggio; i tre giovani sono armati di sei bombe a mano e quattro rivoltelle Browning generosamente concesse dalla società segreta serba “La Mano Nera“.
Una volta giunti in Bosnia gli attentatori si mettono in contatto con Vaso Čubrilović, Cvjetko Popović, Danilo Ilić e Mehmed Mehmedbašić con i quali organizzano il piano per l’attentato. Come punto dell’azione viene scelta la strada di Sarajevo che costeggia il fiume Miljacka.
Francesco Ferdinando e la moglie Sofia arrivano il 25 giugno in Bosnia dove soggiornano presso la stazione termale di Idilze. Ad accoglierli e accompagnarli nei vari spostamenti è in quei giorni il governatore militare della Bosnia, il generale Oskar Potiorek. La sera del 27 l’erede al trono offre un sontuoso banchetto alle autorità militari in attesa dell’ingresso ufficiale a Sarajevo previsto per il giorno successivo. Durante le conversazioni tenute un ufficiale consiglia di annullare la visita nella capitale per timore di possibili disordini; i coniugi reali però mettono da parte ogni timore:
“In questo paese tutti, anche la popolazione serba, ci hanno accolti con tanta amicizia, con tanta cordialità, con tanto spontaneo calore, che ne siamo profondamente felici”.
L’attentato di Sarajevo, l’assassinio di Francesco Ferdinando
Sarajevo, 28 giugno 1914. E’ la ricorrenza di un’importante festa religiosa ortodossa, il Vidovdan, il giorno di San Vito, che coincide con la battaglia combattuta in Kosovo nel 1389 dai serbi che in quell’occasione sono riusciti a contrastare il tentativo di invasione dei turchi. Anche per l’arciduca d’Austria Francesco Ferdinando e per la moglie Sofia, in visita ufficiale in Bosnia-Erzegovina, è un giorno speciale: è il quattordicesimo anniversario del loro matrimonio.
I due reali viaggiano su un auto scoperta, una Daimler da turismo, in compagnia di Oskar Potiorek; a scortarli vi è una folta schiera di soldati e alte personalità. Il corteo attraversa le strade principali della città invase da una folla festante e nel momento in cui arriva sulla strada che costeggia il fiume una bomba viene lanciata contro l’auto dell’arciduca; l’ordigno rimbalza sulla cappotta ed esplode vicino una delle auto di scorta.
Nell’esplosione rimane ferito un aiutante di Potiorek che viene portato immediatamente in ospedale. Nedeljko Čabrinović che ha lanciato la bomba ingoia una capsula di cianuro e si getta nel fiume, ma il veleno non fa effetto e le guardie lo arrestano facilmente. Dopo qualche attimo di disorientamento il corteo riprende il percorso e raggiunge il municipio dove ha luogo un ricevimento per i reali; Francesco Ferdinando, ancora scosso dall’attentato esclama con tono alterato ai presenti: “Vengo a Sarajevo in visita e mi lanciano le bombe! E’ una cosa indegna!“.
Finita la breve cerimonia l’arciduca chiede di essere accompagnato all’ospedale per sincerarsi delle condizioni di salute dell’ufficiale rimasto ferito. Il corteo allora riparte ma paradossalmente l’autista non viene informato del cambiamento del tragitto e imbocca la strada prevista dal protocollo, mostrando in questa circostanza tutta la superficialità e l’improvvisazione organizzativa delle autorità.
Quando Potiorek si accorge che l’autista sta sbagliando strada si rivolge a lui intimandogli di fare retromarcia e imboccare la giusta direzione. Proprio lì si trova in quel momento lo studente bosniaco Gavrilo Princip che vedendo passargli davanti l’auto scoperta su cui viaggiano i due coniugi estrae prontamente la sua Browning e spara due colpi. Il primo ferisce l’arciduca alla vena giugulare, mentre il secondo colpisce la duchessa all’addome. Per entrambi le ferite sono fatali: la duchessa muore subito per emorragia interna; Francesco Ferdinando, invece, riesce a ricevere l’estrema unzione prima di spirare.
Anche Princip, come Nedeljko Čabrinović prima di lui, tenta subito il suicidio con il cianuro, ma dopo aver sparato i colpi viene immediatamente bloccato dai presenti, arrestato e portato in carcere dove lo raggiungeranno entro pochi giorni anche gli altri autori della congiura. I suoi due colpi di pistola mettono in moto un meccanismo perverso e inarrestabile; soltanto pochi decenni prima il cancelliere tedesco Otto von Bismarck aveva profetizzato che una “maledetta sciocchezza nei Balcani” avrebbe potuto provocare una guerra di vaste proporzioni.
Attentato di Sarajevo, verso la Prima guerra mondiale
La notizia dell’assassinio di Sarajevo scuote le cancellerie di tutto il continente; a Vienna l’evento suscita un leggero sgomento e l’ottantacinquenne Francesco Giuseppe manifesta turbamento ma nessun dolore per la morte dell’erede al trono. Il 1 luglio le salme dell’arciduca e della consorte sono solennemente trasportate in Austria; inizialmente si pensa di celebrare due funerali separati visto il rango inferiore della duchessa Sofia, ma per evitare lo scandalo pubblico alla fine si decide di esporre le due salme in una piccola cappella e di celebrare un funerale di basso profilo.
Dopo pochi giorni le prime pagine dei quotidiani europei mettono da parte la notizia dell’attentato di Sarajevo e riprendono ad affrontare i temi legati alle vicende interne delle varie nazioni. Il compito di evitare un conflitto generale se lo assumono le cancellerie dei vari Stati. A livello diplomatico la reazione dell’Austria è molto dura e tra i vertici militari è diffuso il desiderio di impartire una dura lezione alla Serbia.
I principali fautori di una guerra contro i serbi sono il generale Franz Conrad e il ministro degli Esteri Leopold Berchtold, mentre l’imperatore Francesco Giuseppe vuole prima assicurarsi l’appoggio tedesco in caso di un conflitto. Per questo motivo il 5 luglio una delegazione austriaca si reca a Berlino dove il kaiser Guglielmo II promette il pieno appoggio militare all’alleato prima di imbarcarsi per una crociera estiva in Norvegia.
Rassicurato dal sostegno tedesco il governo austriaco fa il passo decisivo e alle 18:00 del 23 luglio invia un durissimo ultimatum a Belgrado, non preoccupandosi minimamente di avvisare l’altro alleato della Triplice Alleanza, ovvero l’Italia. Nel testo Vienna accusa la Serbia di aver sostenuto il terrorismo e l’omicidio politico nell’impero asburgico facendo esplicito riferimento al coinvolgimento della Mano nera nell’attentato di Sarajevo.
Ultimatum austriaco alla Serbia
Con l’ultimatum si intima, tra le varie cose, alla Serbia di:
- sopprimere le associazioni nazionaliste anti-austriache;
- interrompere ogni attività di propaganda contro l’Austria sia con i giornali e che nelle scuole;
- licenziare tutti i funzionari e gli esponenti dell’esercito ostili all’impero asburgico;
- arrestare i complici dell’attentato;
- accettare la partecipazione di funzionari austriaci alle indagini per individuare tutti i responsabili dell’assassinio.
Le diplomazia europee reagiscono con sgomento di fronte all’ultimatum austriaco le cui richieste sono palesemente concepite per essere respinte. Allo scadere delle quarantotto ore di tempo concesse e dopo essersi assicurato il pieno appoggio della Russia in caso di conflitto, il governo serbo risponde all’Austria accettando tutte le richieste ma rifiutando la clausola relativa alla partecipazione di funzionari austriaci alle indagini poiché si sarebbe in tal caso violata la sovranità nazionale del paese.
Le dichiarazioni di guerra
L’impero asburgico ritiene la risposta insufficiente e il 28 luglio 1914 dichiara guerra alla Serbia nonostante alcuni tentativi disperati della cancelleria tedesca di frenare l’alleato inducendolo ad accontentarsi di una vittoria politica e diplomatica. Il 29 luglio mentre i cannoni austriaci iniziano a bombardare Belgrado il governo russo ordina la mobilitazione nelle zone di frontiera con l’Austria. Il giorno seguente la Germania dichiara il “Kriegesgefahr“, ovvero lo stato di pericolo di guerra, al quale il 30 la Russia risponde con la mobilitazione generale.
Si arriva allora all’ultimatum inviato dai tedeschi al governo russo il 31 luglio con il quale si chiede di smobilitare l’esercito entro dodici ore, ma da Pietroburgo non arriva nessuna risposta. Il pomeriggio del 1 agosto allora la Germania dichiara guerra alla Russia e il 3 alla Francia. Il 4 agosto è il turno dell’Inghilterra che, prendendo come pretesto la violazione tedesca della neutralità del Belgio, dichiara guerra alla Germania. Seguono a ruota il 6 e il 12 agosto le dichiarazioni di guerra dell’Austria-Ungheria alla Russia e dell’Inghilterra e della Francia all’Austria e pochi giorni dopo anche l’Impero Ottomano entra nel conflitto.
L’Italia, invece, decide di restare fuori dalla guerra dichiarando la propria neutralità. Infatti nessuna clausola della Triplice Alleanza la obbliga ad entrare in guerra poiché è stata l’Austria lo Stato aggressore e non la vittima di un’aggressione. In una lettera privata scritta dal Ministro degli Esteri Antonino di San Giuliano il 2 agosto sono spiegati in modo chiaro i motivi della scelta del governo presieduto da Antonio Salandra:
“In un paese democratico come l’Italia non è possibile fare una guerra e ancor meno una grossa e rischiosa guerra contro la volontà e il sentimento della nazione. La Nazione si è subito rivelata unanime contro la partecipazione a una guerra originata da un atto di prepotenza dell’Austria contro un piccolo popolo che essa vuole schiacciare. Fortunatamente il casus foederis non c’è: né lo spirito, né la lettera del trattato della Triplice Alleanza ci costringono a unirci in questo caso con la Germania e l’Austria“.
Le grandi potenze europee si gettano così, con enorme entusiasmo, in un conflitto immane nella convinzione che la guerra sarebbe durata poco tempo. Paradossalmente nessuno dei governanti aveva realmente intenzione di combattere un guerra generale ma nessuno si impegnò con decisione per evitarla.
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