CONTENUTO
Roma dopo l’8 settembre 1943
In seguito all’annuncio dell’armistizio italiano dell’8 settembre 1943 e alla fuga del re e del governo Badoglio a Brindisi, Roma (che era dichiarata “città aperta” dal governo italiano il 14 agosto)è rapidamente occupata dai tedeschi con le loro truppe. Un avviso firmato dal feldmaresciallo Albert Kesselring, massima autorità militare tedesca in Italia, comparso sui muri della città l’11 settembre, dichiara Roma “territorio di guerra“, disponendo, fra l’altro, che “tutti i delitti commessi contro le Forze Armate Tedesche saranno giudicati secondo il diritto Tedesco di guerra” e che gli “organizzatori di scioperi, i sabotatori ed i franchi tiratori saranno giudicati e fucilati per giudizio sommario“.
Kesselring nomina capo della Gestapo di Roma, conferendogli direttamente il controllo dell’ordine pubblico in città, il tenente colonnello delle SS Herbert Kappler, già resosi protagonista della razzia del ghetto ebraico e della successiva deportazione, il 16 ottobre 1943, di 1.023 ebrei romani verso i Campi di sterminio. Kappler, locale comandante della Sipo e dell’SD, crea nella città un clima di terrore, arresta numerosi sospetti antifascisti e organizza in via Tasso un centro di detenzione e tortura.
Il Comitato di Liberazione Nazionale (CLN)
Fin dal 9 settembre i partiti antifascisti costituiscono a Roma il Comitato di Liberazione Nazionale (CLN), assumendosi il compito di dirigere il movimento di liberazione in tutta l’Italia occupata. Una giunta militare assume il ruolo di dirigere la lotta nella città di Roma, a partire da ottobre. Nella giunta ci sono rappresentanti dei sei partiti antifascisti: Partito Comunista Italiano (PCI), Partito Socialista Italiano di Unità Proletaria (PSIUP), Partito d’Azione (PdA), Democrazia Cristiana (DC), Partito Liberale Italiano (PLI) e Democrazia del Lavoro (DL).
I Gap, Gruppi di Azione Patriottica
A Roma tra le formazioni partigiane più attive ci sono i GAP, i Gruppi di Azione Patriottica, unità delle brigate Garibaldi che dipendono dal Comando militare del Partito Comunista Italiano. Essi operano prevalentemente in città con azioni di sabotaggio e attentati in luoghi pubblici. Sono protagonisti di diverse azioni, la prima delle quali il 18 ottobre 1943, quando attaccano con bombe a mano un corpo di guardia della Milizia Volontaria della Sicurezza Nazionale.
In seguito compiono un attacco con bombe a mano contro militari tedeschi il 18 dicembre e un attentato dinamitardo il 19 dicembre contro il Tribunale di guerra tedesco, che ha sede all’Hotel Flora in via Veneto. Si inizia dunque a progettare un attacco per il 23 marzo 1944, venticinquesimo anniversario della fondazione dei Fasci italiani di combattimento, avvenuta il 23 marzo 1919.
Il piano di attacco in via Rasella
Nel marzo del 1944 alcuni partigiani notano che un grosso gruppo di soldati tedeschi percorre quasi ogni giorno alcune strette strade nel centro di Roma. Si tratta dell’11ª Compagnia del III Battaglione del Polizeiregiment “Bozen”, appartenente alla Ordnungspolizei (polizia d’ordine) e composto da reclute altoatesine.
La regolarità del loro percorso, i ranghi compatti in cui marciano e le strette strade che percorrono, rendono il gruppo un bersaglio ideale per un’azione di guerriglia. Giorgio Amendola, responsabile principale dei GAP, ordina l’azione compiuta da 12 di gappisti, tra cui Carlo Salinari, Franco Calamandrei, Rosario Bentivegna e Carla Capponi. Essa consiste nella detonazione di un ordigno esplosivo al passaggio di una colonna di soldati in marcia e nel successivo lancio di quattro bombe a mano artigianali sui superstiti.
L’attacco di via Rasella del 23 marzo 1944
Il luogo scelto per l’attacco è via Rasella, una parallela di via del Tritone. In un bidone della spazzatura vengono sistemate 18 kg di esplosivo misto a spezzoni di ferro. Un gruppo di partigiani si apposta nelle vie vicine per attaccare con 4 bombe a mano i tedeschi dopo le esplosioni. Rosario Bentivegna, travestito da spazzino, sistema il bidone nella strada.
Intorno alle 15.30, circa mezz’ora in ritardo rispetto all’orario previsto, i soldati tedeschi compaiono in fondo alla strada. Un altro partigiano, Franco Calamandrei, dà il segnale levandosi il cappello. Bentivegna accende la miccia dell’esplosivo e si allontana. Un’altra partigiana, Carla Cappone, lo aspetta poco distante: lo copre con un impermeabile per nascondere l’uniforme da spazzino e si allontana insieme a lui.
L’esplosione causa la morte di 32 soldati tedeschi e un altro soldato muore il giorno successivo (altri nove decederanno in seguito). Anche 2 civili italiani muoiono nell’esplosione: Antonio Chiaretti, partigiano della formazione Bandiera Rossa, ed il tredicenne Piero Zuccheretti. Altri quattro sono uccisi nella sparatoria con cui i tedeschi reagirono all’esplosione.
Infatti, i soldati superstiti, credendo che le bombe sono lanciate dall’alto, rispondono sparando a lungo contro i piani elevati degli edifici circostanti. In questi edifici vengono eseguiti i primi 100 arresti di cittadini ignari. I gappisti rimangono tutti illesi e sfuggono al successivo rastrellamento.
L’eccidio delle Fosse Ardeatine
Il 24 marzo, senza nessun preavviso, segue una violenta rappresaglia tedesca. In maniera del tutto discrezionale e dopo un giro di comunicazioni tra i comandi dell’esercito tedesco, si decide che per ogni tedesco ucciso dieci italiani devono morire, scelti tra i detenuti politici e comuni di Regina Coeli, del carcere di via Tasso, e tra quelli rastrellati in via Rasella.
Herbert Kappler compila la lista delle vittime. Il giorno seguente, 24 marzo 1944, a meno di 24 ore dall’azione di Via Rasella e senza che sia emesso nessun bando o comunicato radio per ricercare i partigiani responsabili dell’attacco, i militari della Polizia di Sicurezza al comando del Capitano delle SS Erich Priebke e del Capitano delle SS Karl Hass, massacrano 335 civili italiani, di cui 75 ebrei, nei pressi di una serie di cave di pozzolana abbandonate alla periferia di Roma, sulla via Ardeatina. Si consuma così l’eccidio delle Fosse Ardeatine. I corpi delle vittime verranno ritrovati solo verso la fine di luglio del 1944, dopo la liberazione di Roma.
Il comunicato del 24 marzo
Soltanto il giorno dopo, a mezzogiorno del 25 marzo, i tedeschi danno la notizia ufficiale dell’attentato e della rappresaglia compiuta. Sui giornali pubblicano il comunicato che è emanato dal comando tedesco di Roma alle 22:55 del 24 marzo. Il comunicato afferma che muoiono 32 uomini della Polizia tedesca. Cosicché tutti i comunicati e gli articoli pubblicati in quei giorni annunciano l’uccisione di 320 prigionieri.
Le vittime della strage sono in realtà 335. Alla cifra di 320, Kappler aggiunge altre quindici persone: dieci per il trentatreesimo soldato morto la mattina del 24 marzo e cinque per errore. La loro uccisione non è resa nota.
Alessandro Barbero racconta eccidio delle Fosse Ardeatine
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L’ordine è già stato eseguito. Roma, le Fosse Ardeatine, la memoria di Alessandro Portelli
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