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Gli anni Trenta in Italia sono il periodo in cui il calcio esce dal pionierismo per diventare lo sport più seguito: gli italiani, anche grazie ad un interesse maggiore da parte di giornali e radio, si innamorano follemente di questo sport nato meno di un secolo prima in Inghilterra. Anche grazie al fascismo, nascono stadi ed impianti che servono ad unire l’attività sportiva alla parata di regime. “Uno stadio in ogni città” è (in pratica) il claim del partito fascista in quel periodo ed in ogni città si costruiscono in tempi brevi impianti molto grandi. La propaganda poi fa il resto.
Il calcio abbraccia il professionismo: non è più un hobby, non più una cosa da pionieri, ma diventa serio e porta società, allenatori e giocatori a guadagnare diverse migliaia di lire. Cambia tutto: schemi, tecnica, approccio.
Nella stagione 1929/1930 si disputa il primo campionato di Serie A (il trentesimo in totale) a girone unico, dove in un solo girone sono comprese diciotto squadre di tutta Italia da nord a sud. A vincere è l’Ambrosiana Inter guidata in attacco da un ventenne che si dice essere un predestinato del calcio, Giuseppe Meazza. Meazza diventa il primo influencer del calcio, il primo calciatore prestato alla pubblicità (e pagato da questa), il futuro del calcio italiano.
Se i nerazzurri di Milano, al loro terzo titolo, sono guidati in attacco da Meazza, in panchina c’è un allenatore di cui si dice un gran bene e che, a soli 34 anni, vince il suo primo scudetto. Un allenatore ungherese ed un innovatore, un uomo che ha il calcio nel sangue e che, come Meazza, è un predestinato: Arpad Weisz.
Da Solt alla passione per il calcio. Le Olimpiadi e la voglia di allenare
Arpad Weisz nasce nella cittadina di Solt, a settanta chilometri dalla capitale Budapest, allora facente parte dell’Impero austro-ungarico, il 16 aprile 1896. Figlio di Lazzaro e Sofia, al piccolo Arpad sono impartiti i dettami della religione ebraica anche se i suoi genitori non erano ortodossi.
Sin da subito, Arpad Weisz si appassiona al gioco del football. Ha quindici anni, è tecnico e veloce. Di calcio allora non si vive ed il giovane Arpad si iscrive, dopo il diploma liceale, a giurisprudenza: lo scoppio della Prima guerra mondiale lo porta all’arruolamento e parte volontario nell’esercito austro-ungarico dove viene catturato dai soldati italiani il 28 novembre 1915 nel corso della IV battaglia dell’Isonzo sul Monte Mrzli, nei pressi di Tolmino (oggi in Slovenia) e poi imprigionato a Trapani.
Tornato libero, Weisz riparte dal calcio giocato e tra il 1922 ed il 1924 milita come ala sinistra nel Torekyes di Budapest e poi con gli allora cecoslovacchi del Maccabi Brno. Nel 1924 Weisz approda in Italia, accettando l’offerta dell’Alessandria, allora militante in Prima divisione.
Arpad vi arriva dopo aver preso parte alle Olimpiadi estive del 1924 a Parigi. A convocarlo è Gyula Kiss, ma la squadra è eliminata dall’Egitto negli ottavi. Weisz non scende mai in campo. Complessivamente con la Nazionale magiara, Weisz gioca sei partite senza segnare. Tra l’altro è in campo nell’amichevole con l’Italia a Genova il 4 marzo 1923 terminata 0-0.
Erano gli anni in cui il cosiddetto “calcio danubiano” (giocato tra Cecoslovacchia, Austria ed Ungheria) era il modello e lo stile di gioco più innovativo, copiato ed ammirato. Tutti si appassionano a quel tipo di calcio praticato in quella parte di Europa, cercando di carpirne i segreti tecnico-tattici.
Dopo l’anno alessandrino, Weisz passa all’Inter dove gioca undici gare nel torneo di Prima divisione, segnando tre reti. Weisz però si infortuna al ginocchio, riesce a tornare in campo, ma poi si ritira. Se si fosse infortunato oggi, magari dopo poche settimane o pochi mesi sarebbe potuto tornare in campo, ma la chirurgia della fine degli anni Venti non è come quella di oggi.
La società presieduta da Enrico Olivetti lo promuove allenatore. Nel mentre, per affinare tecnica e teoria, Weisz vola in Sud America e si avvicina allo studio del calcio (e della tecnica) della Nazionale allora più forte del Mondo, l’Uruguay, campione olimpico a Parigi e ad Amsterdam (1924 e 1928). Weisz ha deciso: vuole diventare allenatore.
Alessandria e Ambrosiana Inter: i primi successi. Le esperienze di Bari e Novara
La prima esperienza su una panchina Weisz la fa in Italia, diventando il vice di Augusto Rangone (già Commissario tecnico della Nazionale italiana tra il 1922 ed il 1924) nell’Alessandria nella stagione 1925/1926: torna così nella squadra (e nella città) che lo ha visto militare sempre in Prima divisione (la “madre” dell’attuale Serie A).
Il salto di qualità Weisz lo fa la stagione successiva, quando lo chiama l’Inter del presidente Senatore Borletti dove sarebbe stato primo allenatore e non più di vice. Weisz, ad appena 30 anni, si dimostra un innovatore e non solo perché usa il Sistema, ma anche perché cambia i metodi di allenamento e la preparazione fisica e mentale dei suoi giocatori. Per intenderci: entra in campo durante gli allenamenti, urla, sprona, consiglia, indossa tuta e scarpini.
Weisz allena l’Ambrosiana Inter nel triennio 1926-1928 e tra il 1929 ed il 1931. Quell’Inter ha un buon tasso tecnico, avendo in rosa gente del calibro di Luigi Cevenini III, Fulvio Bernardini e Anton Powolny. Quell’Inter può anche contare su un ragazzo milanese di allora venti anni che fa cose importanti con la formazione giovanile: Giuseppe Meazza. E proprio Weisz lo “toglie” dalla formazione giovanile e lo fa giocare stabilmente in prima squadra.
In sei stagioni complessive in nerazzurro, Arpad Weisz (che vede il cognome italianizzarsi in “Veisz” su imposizione fascista) vince un campionato (stagione 1929/1930) ed ottiene due quinti (1926/1927 e 1930/1931) ed un settimo posto (1927/1928). Ritorna all’Inter nel biennio 1932-1934 chiamato da Ferdinando Pozzani dove raggiunge il secondo posto in classifica dietro alla Juventus e perde la finale di Coppa dell’Europa centrale contro l’Austria Vienna dopo aver eliminato First Vienna e Sparta Praga. Quella è la sua ultima stagione sulla riva interista del Naviglio.
Durante gli anni interisti, Arpad Weisz sposa, il 24 settembre 1930 a Szombathy, la connazionale Ilona “Elena” Rechnitzer, ebrea non ortodossa, di otto anni più giovane. Il 7 luglio 1930 a Milano nasce il loro primogenito, Roberto: nome italiano e battezzato con rito cattolico.
Nel 1930, in collaborazione con Aldo Molinari, allora dirigente nerazzurro, Weisz da alle stampe “Il giuoco del calcio” tramite la casa editrice di Alberto Corticelli, un manuale calcistico che ebbe la prefazione di Vittorio Pozzo, allora Commissario tecnico della Nazionale italiana (che vincerà tra il 1934 ed il 1938, due Mondiali ed un titolo olimpico): Molinari trattò la parte regolamentaria, Weisz scrisse dei principi di gioco, le basi tecniche, i metodi di allenamento e i ruoli in campo.
La stagione 1931/1932, Weisz allena il Bari alla prima volta della sua storia in massima serie: vittoria nello spareggio salvezza del 16 giugno 1932 contro il Brescia e “galletti” salvi. Weisz diventa un l’idolo (calcistico) della città di San Nicola.
Nell’estate 1934 Arpad Weis si sposta di 50 chilometri verso ovest dalla “sua” Milano ed accetta l’offerta del Novara, in Serie B, conducendo la squadra al secondo posto in classifica a tre punti dal Genoa. Rimane in Piemonte fino al gennaio 1935.
Il 2 ottobre 1934, la moglie “Elena” da alla luce la secondogenita Clara e anche lei sarà battezzata come il fratello maggiore. A fine gennaio 1935 Weisz lascia il Novara, ingaggiato dal Bologna. E nella città di San Petronio nasce il mito di Arpad Weisz.
I successi con il Bologna: lo squadrone “che tremare il Mondo fa”
La Bologna del 1935 è una Bologna ricca e sportivamente avanzata: l’impianto principale è lo stadio “Littoriale” (inaugurato il 31 ottobre 1926 alla presenza di Benito Mussolini a cavallo, poi vittima di un attentato cui scampò) con oltre 50mila spettatori, fiore all’occhiello dell’architettura fascista locale e nazionale. Ma la squadra di calcio fatica ad imporsi, chiusa dalla “voracità” della Juventus che dalla stagione 1930/1931 sta facendo incetta di scudetti. Arpad Weisz sostituisce il connazionale Laojos Kovacs. Nella zona limitrofa al “Littoriale” trovano casa i Weisz. Il figlio Roberto frequenta la seconda elementare in città.
Weisz a Bologna rimane fino all’ottobre 1938, scrivendo una grande pagina di calcio nazionale ed europeo allenando una squadra passata alla storia con il soprannome di “squadra che tremare il Mondo fa”: dopo il sesto posto nel campionato 1934/1935, nel campionato 1935/1936 il Bologna di Sansone, Andreolo, Monzeglio e Schiavio vince il suo terzo titolo nazionale interrompendo la “tirannia” della Juventus vincitrice di ben cinque scudetti consecutivi. Weisz diviene il primo allenatore a vincere due scudetti con due squadre diverse.
Il Bologna vince il titolo anche nella stagione 1936/1937: se la stagione precedente ha vinto per un punto davanti alla Roma, ora il distacco con la Lazio seconda è di tre. La città, feudo elettorale di Leandro Arpinati, uno dei principali esponenti del fascismo (già vice segretario del Partito e presidente della Federcalcio, Federatletica, Federnuoto), è ai suoi piedi.
Weisz porta il Bologna anche sul tetto d’Europa vincendo, il 6 giugno 1937, il Torneo dell’Esposizione internazionale di Parigi contro il Chelsea. Reguzzoni e soci eliminano nei quarti i francesi del Sochaux (4-1), in semifinale i cecoslovacchi dello Slavia Praga (2-0) ed in finale si impongono 4-1 con tripletta di Carlo Reguzzoni e Giovanni Busoni. Bologna capitale del calcio italiano ed europeo? Assolutamente sì. La fama di Weisz supera i confini nazionali, anche perché il suo Bologna si è permesso di battere una squadra inglese, loro che fino a quel momento non vogliono giocare contro le squadre europee perché sono i “maestri” e i mastri non giocano contro gli allievi.
La stagione 1937/1938 vede il Bologna arrivare quinto in classifica ed in quella successiva Weisz, che rifiuta un’offerta da parte della Lazio, guida la prima squadra fino al 16 ottobre 1938, dopodiché lascia la panchina felsinea all’austriaco Hermann Felsner, già allenatore del felsinei tra il 1920 ed il 1931. A fine campionato, il Bologna vince il suo quinto titolo nazionale.
Ben otto giocatori della Nazionale campione del Mondo nel 1934 e nel 1938 sono “allievi” di Weisz: Meazza, Allemandi, Castellazzi, Demaria, Schiavio, Andreolo, Biavati e Ceresoli. Ma la vita dei Weisz è già cambiata.
Le leggi razziali e l’addio di Weisz all’Italia. L’approdo nel Paesi Bassi, l’invasione tedesca, la deportazione. La morte
Nel 1938 il clima politico e le relazioni internazionali in Europa sono molto tese e complicate. A complicare di più le cose è la conferenza di Monaco (29-30 ottobre 1938) con cui si decide l’influenza della Germania verso Cecoslovacchia e Sudeti, abitati da persone di origine tedesca e passati alla neonata Cecoslovacchia nel 1918 con il trattato di pace di Saint Germain, che divide l’allora Impero austro-ungarico e che porta alla nascita dell’Austria.
Winston Churchill, allora parlamentare tory (e futuro Premier britannico), a seguito dell’evento politico nel capoluogo bavarese, pronuncia una frase che fa (veramente) la storia: “Regno Unito e Francia dovevano scegliere tra disonore e guerra. Hanno scelto il disonore, avranno la guerra”. Ed infatti, la Germania nazista annette l’Austria con l’Anschluss il 12 marzo 1938, il 15 marzo 1939 invade la Cecoslovacchia smembrandola in Protettorato di Boemia e Moravia e Slovacchia, il 22 maggio 1939 stipula il Patto d’Acciaio con l’Italia, il 23 agosto 1939 firma con l’URSS il patto Von Ribbentrop-Molotov con il quale stabiliscono di non aggredirsi, di non coalizzarsi con forze politiche che mirano ad invadere l’una o l’altra e dividersi la Polonia in sfere di influenza. Il 1° settembre 1939 invade la Polonia, il 3 settembre 1939 le due Nazioni che scelgono il disonore dichiarano guerra alla Germania facendo scoppiare la Seconda guerra mondiale. Tutti sanno poi cosa successe da lì all’8 maggio 1945.
Facciamo un passo indietro al 1938, anno in cui Italia e Germania iniziano ad intensificare i loro rapporti. Visto che sin dal 1933 in Germania era partita la campagna di odio, repressione e discriminazione verso le persone di religione ebraica, nel luglio 1938 esce il “Manifesto della razza”, il 18 settembre 1938 Mussolini espone queste leggi a Trieste e a novembre il re Vittorio Emanuele III, in quanto capo di Stato, le promulga. L’Italia conosce il “razzismo di Stato” anche se il nostro Paese non è mai stato né razzista né tanto meno antisemita nella sua storia. Ma il Duce ha deciso così e l’Italia ha, come la Germania, le “sue” leggi razziali.
Alcuni esempi? Dal 5 settembre 1938 gli studenti ebrei non possono iscriversi a scuola classica ma solo in scuole dedicate solo a persone di religione ebraica; il 7 settembre nascono, in pratica, gli “ebrei stranieri”.
Il decreto che “colpisce”, ad esempio, Weisz è il Regio Decreto Legge 7 settembre 1938 n. 1381 il cui articolo 4 recita
“Gli stranieri ebrei che, alla data di pubblicazione del presente decreto-legge, si trovino nel Regno, in Libia e nei Possedimenti dell’Egeo e che vi abbiano iniziato il loro soggiorno posteriormente al 1° gennaio 1919, debbono lasciare il territorio del Regno, della Libia e dei Possedimenti dell’Egeo, entro sei mesi dalla data di pubblicazione del presente decreto. Coloro che non avranno ottemperato a tale obbligo entro il termine suddetto saranno espulsi dal Regno a norma dell’Articolo 150 del testo unico delle leggi di P.S., previa l’applicazione delle pene stabilite dalla legge.“
All’inizio la data è il 1933, ma poi diviene 1° gennaio 1919. Quando si dice sliding doors: Weisz arrivò in Italia nel 1924 e la sua vita, se si fosse tenuto il 1933 come anno di inizio del soggiorno, sarebbe stata diversa, senza ombra di dubbio.
I Weisz diventano “ebrei stranieri” il 22 agosto 1938: nel 1938 essere ebrei conta meno dell’essere italiano, anche se si è un tecnico vincente, importante e famoso.
Molti italiani di religione ebraica sono messi all’angolo. E pensare che molti ebrei sono anche iscritti al partito fascista. Per gli italiani di religione ebraica iniziano giorni, settimane e anni molto difficili. E anche per la vita di Arpad Weisz, della moglie “Elena” e dei figli Roberto e Clara inizia un periodo molto difficile.
Anche lo sport italiano è colpito dalle leggi razziali: molti devono riparare all’estero. Ad esempio lasciano il nostro Paese Ernő Erbstein e Jeno Konrad, tecnici rispettivamente di Torino e Triestina: Erbstein torna in Ungheria, Konrad ripara in Francia e Portogallo dove allena Lilla e Sporting Lisbona per poi emigrare negli Stati Uniti d’America.
L’ultima partita di Arpad Weisz sulla panchina del Bologna è la vittoria casalinga contro la Lazio alla quinta giornata vinta per 2-0 con i gol degli oriundi Puricelli ed Andreolo. E’ il 16 ottobre 1938. Weisz si dimette da allenatore del Bologna il 22 ottobre 1938 e parte alla volta della Francia. Molti non capiscono come mai non parte per l’Uruguay (dove ha abitato per “studi calcistici” dopo il suo infortunio quando giocava nell’Inter) o perché non torna in Ungheria, ma il Paese magiaro nel 1938 è guidato dall’ammiraglio Miklós Horthy, vicino al fascismo prima e al nazismo poi. Meglio la Francia, quindi.
Nessuno a Bologna muove un dito per aiutarlo o difenderlo nonostante tutto quello che ha dato alla città in quegli anni: né dall’Ara, né i dirigenti, né i giornalisti, né la squadra, né i tifosi. Il 27 ottobre 1938, sulle colonne del “Il Resto del Carlino”, si comunica che Weisz non è più il tecnico del Bologna: poche righe per liquidare l’allenatore che ha portato una squadra italiana a vincere in Europa e a far “tremare” il Mondo. E pensare che solo l’anno prima, Weisz ed il Bologna sono premiati da Mussolini in persona dopo la vittoria della Coppa dell’Expo e che poteva andare alla Lazio, squadra cara al regime.
Tutti rompono con i Weisz, forse per paura di ritorsioni, forse perché sono ebrei e gli ebrei non devono avere rapporti con gli ariani italiani. Il 10 gennaio 1939 con moglie e figli, Arpad Weisz lascia Bologna e si dirige a Parigi dove soggiorna in una sorta di hotel per poi andare a vivere nei vicini Paesi Bassi. I Weisz si trasferiscono a Dordrecht, nell’Olanda meridionale. Weisz non rimane senza calcio ed accetta l’offerta del Football Club Dordrecht. Si pensa che Weisz non abbia trovato ingaggio in Francia e per questo motiva si sia spostato verso i Paesi Bassi dove, appunto, trova una squadra. A portarlo a Dordrecht, Karel Lotsy, dirigente del club olandese.
La squadra biancoverde non è una grande del calcio nazionale (anche se ha in bacheca due Coppe nazionali) e rispetto all’Italia il livello del campionato è dilettantistico. Weisz capisce che la sua carriera fa diversi passi indietro visto anche il suo curriculum, ma sa di non avere altra scelta: allena il Dordrecht o rimane appiedato con moglie e figli a carico. Con il tecnico ungherese in panchina due stagioni, il FC Dordrecht raccoglie due quinti posti. Ajax, Feyenoord e le altre squadri olandesi sono più forti, ma Weisz ha fatto un miracolo sportivo.
Nel frattempo, la situazione in Europa, dopo la fuga dei Weisz, cambia radicalmente: l’Europa è completamente in guerra, la Germania sfonda a nord invadendo Danimarca e Norvegia, a est punta ad invadere l’URSS (“operazione Barbarossa”, iniziata il 22 giugno 1941), a sud conta sull’appoggio dell’Italia (in guerra dal 10 giugno 1940 al fianco dei tedeschi), invade il Belgio e riesce ad invadere anche la Francia (a partire dal 10 maggio 1940 con la Campagna di Francia) e la divide in due parti (a nord la zona occupata tedesca, a sud la Repubblica di Vichy). Ovviamente non mancano i Paesi Bassi, invasi il 14 maggio 1940.
Ed i nazisti fanno in ogni Paese invaso quello che fanno negli altri: restrizioni e deportazioni nei confronti nei campi di prigionia delle persone di religione ebraica. Per i Weisz significa la fine: non possono più scappare. Arpad Weisz il 29 settembre 1941 è allontanato dal Dordrecht perché la squadra non vuole avere ritorsioni da parte della Gestapo, la polizia segreta nazista.
Il 2 agosto 1942 la famiglia Weisz è arrestata e viene condotta nel campo di raccolta di Westerbork da dove, due mesi dopo, parte su un treno verso la Polonia con destinazione Auschwitz. Auschwitz è uno dei campi di concentramento più noti insieme a Birkenau, Mauthausen, Treblinka, Chełmno, Bełżec, Bergen-Belsen, Buchenwald, Dachau e Sobibór. Ad Auschwitz muoiono oltre 1,1 milioni di persone tra ebrei, dissidenti politici, zingari ed omosessuali. In queste “strutture” i prigionieri sono condannati a lavori faticosi ed inutili. Poco dopo l’arrivo dei treni, per primi sono eliminati gli anziani, diversi bambini e gli inabili al lavoro, di entrambi i sessi. Durante la prigionia muoiono tantissime persone per fatica, malnutrizione, malattie e freddo.
La maggior parte dei morti di Auschwitz proviene da Ungheria, Polonia e Francia, oltre 900mila persone muoiono nelle camere a gas e le altre 200mila di fame, malattie, uccisioni ed esperimenti. Le persone che muoiono all’inizio sono gettate in fosse comuni, ma poi, visto l’alto numero di prigionieri, sono uccisi nelle camere a gas ed i loro cadaveri sono buttati nei forni crematori. Questa pratica è definita “soluzione finale della questione ebraica”.
Dopo tre giorni di viaggio in condizioni inumane, il 5 ottobre 1942 gli Arpad si dividono per sempre: Elena, Roberto e Clara sono subito eliminati in una camera a gas a Birkenau e quel giorno Clara Weisz avrebbe compiuto otto anni; Arpad, sicuramente con il numero seriale tatuato sull’avambraccio sinistro e sul suo vestito dove portava una stella gialla, muore il 31 gennaio 1944. Un anno dopo il campo è liberato dalle truppe dell’Armata rossa. Arpad Weisz si pensa non seppe mai del destino della moglie e dei figli.
Il lungo oblio, la riscoperta, le targhe commemorative. Cosa rimane oggi di lui
Tra la fine del 1944 e le prime settimane del 1945, i nazisti sono consci (a parte Hitler e qualche militare a lui vicino) che la guerra è persa e che a breve l’Armata rossa sarebbe entrata in Germania da oriente (“operazione Vastola-Oder”), gli Alleati da ovest e l’Italia sarebbe stata liberata.
Il 17 gennaio 1945 Auschwitz è evacuato e partono le “marce della morte” dei prigionieri verso occidente. A queste marce “partecipano” i prigionieri dei campi di concentramento pronti fisicamente, mentre gli altri sono lasciati nei campi dove sarebbero stati abbandonati al loro destino.
Il campo di Auschwitz è liberato il 27 gennaio 1945 dalla 60a armata del generale Kurockin del I° fronte ucraino: sono trovate almeno 7 mila persone denutrite ed impaurite, i corpi di oltre 500 persone uccise sommariamente e nell’aria un odore nauseabondo dovuto a cadaveri bruciati nei forni crematori. Il Mondo scopre l’aberrante forza nazista verso le persone ebree e tutti quelli che non sono ariani. Una cosa di cui molti sapevano, ma che per omertà e silenzi inspiegabili è sempre stata nascosta.
Dal 2005, ogni 27 gennaio, in ricordo della liberazione di Auschwitz, si celebra la Giornata della Memoria, la ricorrenza che serve a ricordare tutte le vittime della Shoah. L’Assemblea generale delle Nazioni Unite, con la risoluzione 60/7 del 1 novembre 2005, ha dichiarato il 27 gennaio giorno di ricordo e riflessione per le vittime della follia nazista e tutti i deportati militari e politici nei campi di concentramento. Si contano oltre 6 milioni di morti nei campi di sterminio, tra questi anche Arpad Weisz, la moglie “Elena” e i figli Roberto e Clara. I nomi di tutti i morti nei campi sono conservati presso lo Yad Vashem di Gerusalemme, il memoriale costruito nel 1953 in ricordo perenne dell’Olocausto.
Di Arpad Weisz non si seppe più nulla, dimenticato da tutti. Weisz è colpito dalla cosa più triste che possa capitare ad una persona: l’oblio.
La storia di Arpad Weisz è tornata in auge nel 2007 quando il giornalista Matteo Marani, già “penna” de Il Messaggero, Il Corriere dello Sport ed Il Sole 24 ore, pubblica il libro “Dallo scudetto ad Auschwitz. Vita e morte di Arpad Weisz, allenatore ebreo”. Marani ha sempre raccontato che il nome di Arpad Weisz lo ha conosciuto quasi per caso, ma voleva sapere perché dal 1938 non si è saputo più nulla di lui. Facendo un lavoro molto preciso e lungo (“tre anni di lavoro”, ha detto il giornalista in una serie di interventi) é venuta alla luce la storia di un uomo che era ai vertici del calcio europeo e che era morto in un campo di prigionia tra sofferenze e lavori forzati dimenticato tra tutti.
Da quando la storia di Weisz è diventata mainstream, molte coscienze si sono smosse e si è deciso di fare qualcosa (anche se in ritardo) in suo ricordo. La “sua” città, Bologna, che lo caccia senza che nessuno muove un dito nell’autunno 1938, è quella che ha fatto di più. Alla memoria di Weisz, nella città di San Petronio c’è una lapide nei pressi della Torre Maratona dello stadio “Dall’Ara” (la torre che fa capolino da sempre nello stadio bolognese intitolato dal 1983 all’ex presidente felsineo) dal gennaio 2009.
In città c’è un club antirazzista e anti-antisemita (Club Internazionale Arpad Weisz) ed è intitolata a Weisz; dal 2018 la curva ospiti del “Dall’Ara”. Sono state organizzate mostre in Emilia Romagna e anche convegni dove si parla di lotta al razzismo ed alle discriminazioni. Inoltre le scuole elementari “Bombicci” di Bologna, poco distanti da dove abitavano i Weisz, dal gennaio 2013 hanno una lapide in memoria di Roberto Weisz.
Allo stadio di San Siro, a Milano, intitolato a Giuseppe Meazza (scoperto nel 1928 proprio da Arpad Weisz) dal 27 gennaio 2012 c’è una lapide in ricordo ed un anno dopo, il 15 gennaio 2013, durante il match dei quarti di finale di Coppa Italia tra Inter e Bologna, le due squadre entrano in campo con una maglia celebrativa in ricordo del loro ex allenatore.
Un’altra targa è presente, dal 28 ottobre 2013, all’interno dello stadio “Piola” di Novara scoperta prima del match serale tra i piemontesi ed il Cesena. Quella lapide ebbe un percorso tortuoso perché da tempo la città piemontese voleva ricordare l’allenatore magiaro che allenò la squadra una sola stagione nel 1934/1935, portandola al secondo posto nel campionato di Serie B. Si decide di unire la presentazione della targa con il ricordo dell’eccidio cittadino del 24 ottobre 1944 dove morirono, nelle odierne piazza Martiri e piazza Cavour, sette novaresi per mano della “squadraccia” di Vincenzo Martino, autrice il giorno stesso di un altro eccidio nei pressi di Momo dove morirono altre quattro persone.
A Bari dal febbraio 2014 il Comune ha deciso di dedicare al tecnico ungherese una via nei pressi dello stadio “San Nicola”. Lo stadio “Moccagatta” di Alessandria dal 27 gennaio 2020 ha anch’esso una targa in ricordo di Arpad Weisz, mentre non si sa se a Dordrecht c’è qualcosa dedicato allo sfortunato tecnico di Solt.
Fortunatamente il libro di Marani ha smosso le coscienze e la memoria nei confronti di un allenatore preparato, un precursore ed un innovatore. Non basta affiggere una lapide per liberarsi la coscienza da un peso. Un peso chiamato oblio, la cosa peggiore che possa capitare ad una persona. E anche immeritato (almeno calcisticamente), visto che ad oggi nessun allenatore ha vinto a 34 anni uno scudetto ed è stato il primo allenatore a portare una squadra italiana a vincere una manifestazione calcistica internazionale. Per di più contro una squadra inglese.
Arpad era il nome di un eroe magiaro (Arpad d’Ungheria, creatore della dinastia degli Arpadiani che regnarono tra il 896 ed il 1301), ma lui non deve essere considerato un eroe (e magari se fosse vivo neanche lo vorrebbe). Forse non voleva neanche essere così tanto famoso quando era un allenatore di successo: è sempre stato (così dice chi lo ha conosciuto ai tempi) schivo e riflessivo. Dopo anni di oblio, il nome di Arpad Weisz è diventato mainstream e a ricordarlo oggi ci sono targhe, libri e la volontà di tutti di non dimenticare chi ha sofferto ed è morto risucchiato nella voragine di odio che perpetrava in Europa in quegli anni per colpa di teorie e pensieri aberranti.
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- M. Marani, Dallo scudetto ad Auschwitz. Vita e morte di Árpád Weisz, allenatore ebreo, Aliberti, Reggio Emilia, 2012
- A. Weisz – A. Molinari, Il giuoco del calcio, Minerva Edizioni, Bologna, 2018.
- G. A. Cerutti, L’allenatore ad Auschwitz. Árpád Weisz: dai campi di calcio italiani al lager, Interlinea, 2020