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Andrea Gaggero, vita dell’(ex)prete partigiano che lotta per la pace

Un sacerdote proveniente da una famiglia operaia genovese, Andrea Gaggero si prende cura anche di ladri e prostitute. Membro attivo della Resistenza ligure, viene arrestato e deportato prima a Bolzano e poi a Mathausen. Si avvicina agli ideali del comunismo e prende parte alle iniziative dei Partigiani della Pace. Processato dal Sant’Uffizio per “grave disubbidienza”, continua da laico il suo impegno per la pace, l’antifascismo e la giustizia sociale.

di Matteo Bernunzo
6 Maggio 2025
TEMPO DI LETTURA: 14 MIN
Don Andrea Gaggero interviene al Congresso di Varsavia, Novembre 1950 (fotografia gentilmente concessa dalla famiglia)

Don Andrea Gaggero interviene al Congresso di Varsavia, Novembre 1950 (fotografia gentilmente concessa dalla famiglia)

CONTENUTO

  • “Andreino”: un giovane prete del popolo
  • “Raccomandato da quel prete”: dalla Resistenza a Mathausen
  • ”Un prete disobbediente”: dal Congresso di Varsavia al processo del Sant’Uffizio
  • ”Una vita per la pace”: dal Vietnam ai licei romani

“Andreino”: un giovane prete del popolo

Andrea Gaggero nasce a Mele, piccolo comune alle porte di Genova, il 12 aprile 1916. La sua è una famiglia di operai e contadini. Suo padre parte per la guerra prima della sua nascita e lo conoscerà solo a tre anni. Nonostante ciò, “Andreino” vive un’infanzia serena con la sua famiglia allargata, rimanendo per tutta la vita legato a questi due mondi: quello contadino e della campagna da una parte, quello operaio dall’altra (1). Il piccolo Andrea a scuola è molto studioso e in questi anni frequenta, insieme ad altri ragazzi, una piccola chiesa. Tenuta dai frati Agostiniani, vi organizzano riunioni, feste, recite, piccoli spettacoli teatrali. Colpito dai loro modi semplici e popolari, vicini alla gente comune, “Andreino” inizia a maturare la scelta di diventare sacerdote.

Nonostante l’opposizione della madre, la cui famiglia aveva una tradizione molto laica e con il benestare del padre, per il quale, in fondo, quella scelta di vita sarebbe stata meglio che andare in fabbrica, a dodici anni Gaggero entra in seminario. Tuttavia, più che una “sistemazione” confortevole il giovane Andrea sente molto di più una spinta ideale che lo porterà a stare tra la “sua” gente. Nel 1938 lascia il seminario, con stupore di chi vedeva in lui le premesse per una brillante carriera ecclesiastica, per unirsi alla congregazione di San Filippo Neri. Gaggero sente stretta l’idea di sottostare all’organizzazione rigidamente gerarchica della Chiesa. Si sente molto più a suo agio, invece, tra i Filippini, che basano la loro organizzazione della vita collettiva e del lavoro su principi molto più “democratici”. 

Durante il periodo del seminario, il giovane Andrea ha già dei contatti con il mondo degli antifascisti e dei comunisti in clandestinità. Ascolta i discorsi di un suo zio con altri suoi compagni. Quando gli chiede cosa sia il “Picciddì” a cui fanno spesso riferimento, gli viene risposto che si tratta del Partito Comunista d’Italia. Nel 1938 si trasferisce a Roma per frequentare l’Università Gregoriana e due anni dopo viene ordinato sacerdote. Poco prima dell’entrata in guerra dell’Italia, Andrea rientra a Genova, dove svolge l’attività sacerdotale nella chiesa di San Carlo e presso l’Oratorio dei Filippini.  

Nella stessa via si trova la casa dove nacque Mazzini. L’attività pastorale di Don Gaggero ricorda una canzone di De André: predilige il dialogo con la parte più popolare ed emarginata del quartiere, operai del porto, donne, ma anche ladri e prostitute. Per dirla con le sue parole: “Ai grandi ladri non si dice mai in faccia che sono ladri: si dice ladro a un povero diavolo che va a rubare un pacchetto di sigarette”.

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“Raccomandato da quel prete”: dalla Resistenza a Mathausen

L’8 settembre Gaggero prende contatto con Giovanni Tarelli, avvocato socialista e poi comunista, che sarà il primo sindaco democraticamente eletto a Genova nell’Italia repubblicana. Partecipa alla costituzione del Comitato di Liberazione della Liguria ed inizia a svolgere l’attività partigiana. Don Gaggero è, probabilmente, l’unico sacerdote ad aver fatto parte di un comando regionale militare dell’esercito partigiano, pur, come ammette lui stesso, non avendo mai preso in mano una rivoltella. Si occupa invece di aspetti organizzativi, anche grazie alla sua conoscenza dell’Appennino ligure.

La sua chiesa diventa un punto di riferimento per la lotta partigiana, ospitando le riunioni dei dirigenti antifascisti. Il sacerdote non è solo un elemento di collegamento tra i partigiani e i rappresentanti dei vari partiti politici, ma assume grandi rischi personali. Nella sua autobiografia, racconta, con leggerezza e ironia, diversi episodi di quei mesi difficili. Si trova a dover nascondere esplosivi sotto le vesti usate per la liturgia, rimediare abiti da portuali per undici prigionieri sovietici in fuga o scalare la facciata dell’oratorio per rientrarvi dopo una riunione finita in tarda serata. Questi sono solo alcuni degli episodi significativi che racconta Gaggero, che in questo periodo collaborava strettamente con il comunista Paolo Diodati.

Siamo ora nel giugno del 1944. Una serie di violazioni delle regole della lotta clandestina da parte di un comandante dei GAP, una lite tra la moglie di un vecchio compagno e una fornaia per cinquecento lire false, l’imprudenza di un ingegnere antifascista che fa il nome di “quel prete” che teneva i contatti con i partigiani. Inizia così, con l’arresto di Don Gaggero, il suo lungo calvario nelle mani dei nazi-fascisti. Prima di essere tradotto in questura, il sacerdote riesce ad avvertire i compagni di ciò che è successo, affidando il messaggio ad una giovane durante una finta confessione. Durante i primi interrogatori riesce a sviare i sospetti, ma il suo nome esce nuovamente fuori durante le torture ad altri partigiani prigionieri. A questo punto, Don Gaggero subisce ogni genere di tortura, ma continua a negare di essere coinvolto in attività partigiana e di essere solo un prete che aiutava “i poveracci” come poteva.

Don Andrea Gaggero interviene al Congresso di Varsavia, Novembre 1950 (fotografia gentilmente concessa dalla famiglia)

Nella sua autobiografia racconta molti episodi terribili della prigionia, come quello della moglie del segretario del PCI ligure, che subisce un aborto per via delle torture ricevute dai fascisti o la fucilazione di un giovane gappista. Don Gaggero, dopo circa quaranta giorni di interrogatori e torture, non parla, consapevole che se cade lui, cade tutto il Comitato di Liberazione ligure. Nel tardo agosto, i fascisti e le SS organizzano un processo pubblico contro una trentina di antifascisti. Tra questi c’è Don Gaggero, il quale, dando per scontata la condanna a morte, si lancia in forti accuse contro i loro aguzzini, accusando i fascisti di essere i veri traditori della patria, della libertà e della fratellanza tra gli uomini. 

A sorpresa, viene emessa una sola condanna a morte, per un giovane partigiano già moribondo. Le altre sentenze sono lunghe condanne alla prigionia. A fine agosto, Gaggero e una ventina di antifascisti vengono confinati in un campo di prigionia a Bolzano. La detenzione a Bolzano durerà tre mesi. Don Gaggero viene scelto per un incarico al servizio di un colonnello delle SS e questo gli permette una certa libertà di movimento. Può così continuare a svolgere attività antifascista, prendendo contatti con il CNL locale.

Un giorno, durante una perquisizione, il sacerdote viene scoperto dalle SS con un pacco di posta clandestina e una somma di denaro fornita dal CLN. Sebbene riesca ad avvertire i compagni, la situazione di Don Gaggero si fa ancora più difficile. Nuovamente torture e interrogatori. Andrea teme di parlare. All’improvviso, il 2 novembre 1944, giorno dei morti, l’interprete locale dei tedeschi gli rivela di aver sentito la voce della defunta madre che gli chiedeva di aiutare “quel povero disgraziato”. Viene rilasciato così dalle SS, ma una volta tornato nel campo di prigionia di Bolzano, viene nuovamente picchiato e sbattuto in una cella minuscola per quasi un mese.

Un giorno, nella cella davanti alla sua, viene trascinato un uomo piccolo, basso, tozzo. Si tratta di Enzo Sereni, fratello dell’importante dirigente comunista Emilio Sereni, il principale organizzatore del movimento dei Partigiani della Pace nel dopoguerra. Enzo è invece un sionista socialista, sostenitore della convivenza pacifica tra ebrei ed arabi. Era stato paracadutato dagli Alleati per partecipare alla lotta antifascista ma è stato catturato. Poco dopo la detenzione a Bolzano, verrà portato a Dachau, dove sarà fucilato il 4 novembre.

A metà dicembre, Don Gaggero e altri quattrocento prigionieri vengono caricati su un treno merci. Il convoglio attraversa paesaggi di montagne innevate, boschi di pini e abeti, piccole casupole sparse. Sono in viaggio verso campo di concentramento di Mathausen, in Germania. La maggior parte di loro non farà mai ritorno. I prigionieri vengono spogliati dei propri beni, dolorosamente rasati e spogliati. Le docce sono bollenti o gelide. Ammassati al freddo nei pagliericci dei casermoni: ecco il Natale per i prigionieri di Mathausen. Don Gaggero, nel suo ruolo di prete, cerca di mantenere vivo lo spirito dei suoi compagni di prigionia. Ma nelle durissime condizioni del campo, a rischio è anche la sopravvivenza fisica.

Anche nel campo di concentramento esiste l’organizzazione clandestina del Partito Comunista, guidata da Giuliano Pajetta. Don Gaggero, insieme ad altri italiani, entra a farne parte. Il racconto dei rischi e dei modi con cui il dirigente comunista cerca di aiutare il gruppo di antifascisti a sopravvivere e di come la vita del campo annichilisca le persone è straziante. Molti prigionieri muoiono per il freddo, la fame, il lavoro forzato e la disciplina durissima. Solo una forte determinazione spirituale o data da un ideale politico permettono ad alcuni di loro di mantenere viva la speranza di poter tornare a casa.

La fame di cibo è paragonabile alla fame di notizie sulla lenta avanzata alleata. Il 25 aprile è un giorno come gli altri a Mathausen, tranne per un fatto: un compagno genovese, conoscenza di lunga data di Gaggero, gli corre incontro in lacrime per annunciargli che Genova è libera e i tedeschi si sono arresi ai partigiani. Mathausen è l’ultimo tra i principali lager a essere liberato, con l’ingresso, il 5 maggio 1945, di elementi della 3a Armata statunitense.

”Un prete disobbediente”: dal Congresso di Varsavia al processo del Sant’Uffizio

Tornato a Genova, segue un periodo di cure per riprendersi dagli effetti della denutrizione. Molto presto, però, viene approcciato da esponenti della Democrazia Cristiana, che vorrebbero sfruttare la sua figura e la sua testimonianza a fini di propaganda politica. Don Gaggero rifiuta, amareggiato ma con fermezza: intende il suo impegno spirituale e politico in netto contrasto con la politica della DC e della Chiesa. 

Il partito cattolico gli sembra troppo ambiguo su grandi questioni come la scelta tra Repubblica e Monarchia, troppo compromesso con i potentati capitalistici, con la guerra fascista e con elementi del passato regime che cercavano, attraverso il trasformismo, di riciclarsi nell’Italia liberata. La sua visione, invece, del ruolo della Chiesa come mediatrice nella frattura che si sta creando, con la Guerra Fredda, tra Est e Ovest, si scontra con l’adesione esplicita da parte della Santa Sede allo schieramento atlantico. 

In particolare, il prete partigiano si scontrerà aspramente con l’arcivescovo di Genova, Giuseppe Siri, che ritiene un residuo di una Chiesa particolarmente conservatrice. D’altra parte, nel clima di forte contrapposizione ideologica del secondo dopoguerra, Gaggero viene accusato di essere troppo vicino ai comunisti, così come altre personalità e movimenti di ispirazione cattolica giudicati eccessivamente simpatizzanti del PCI o dell’Unione Sovietica.

Nel racconto di Gaggero, la sua adesione, di fatto, al comunismo, è stata una adesione spontanea, concreta, che nasce dal contesto familiare, dalla sua esperienza antifascista, molto legata alla tradizione operaia e popolare, da una visione ideale e romantica di una umanità basata sulla fratellanza e sulla pace. Un’adesione che non vede in contrasto con la propria fede e il proprio impegno religioso.

Don Gaggero condivide, con i comunisti, l’esperienza della Resistenza e del lager e spende parole di grande entusiasmo e solidarietà nei loro confronti, riconoscendone il valore politico e soprattutto umano, che condividono con i cattolici più progressisti. Inoltre, si rende conto che il proprio impegno pastorale non è sufficiente a superare, o anche solo alleviare, le gravi contraddizioni di una società afflitta da diseguaglianze sociali, miseria, sfruttamento, egoismo e privilegio. 

Da qui la necessità di definirsi comunista, di condividere con i comunisti alcune importanti battaglie, sebbene da indipendente, non iscritto al Partito. Come si diceva allora, un “compagno di strada”. Sono i primi anni della Guerra Fredda a livello internazionale ma anche nel Paese, tra i rischi di una nuova guerra mondiale e il mancato rinnovamento economico, politico e sociale dell’Italia repubblicana. In questo clima, Gaggero non ha dubbi e decide di impegnarsi, insieme ai comunisti, in quella che diventerà la battaglia più importante della sua vita: la lotta per la pace.

Dopo il ritorno a Genova accetta, su richiesta del segretario locale del PCI, di tenere un discorso in una conferenza sulla pace intitolata “Dai campi di sterminio alla bomba atomica”(2). Il popolo del suo quartiere accorre in massa a sentirlo. L’iniziativa sarà il suo primo incontro con il movimento per la pace. Nel 1950, il movimento internazionale dei Partigiani della Pace culmina con l’appello di Stoccolma per la messa al bando della bomba atomica, che solo in Italia raggiungerà i 16 milioni di firme.

Il movimento è notoriamente vicino all’Unione Sovietica. Oggi sappiamo che nacque per una intuizione politica dello stesso Stalin. I Partigiani della Pace riuscirono in una certa misura, specialmente in Italia, a legare le esigenze del movimento comunista internazionale e della politica estera sovietica al genuino sentimento popolare di rifiuto di una nuova guerra e di strumenti di distruzione di massa come la bomba atomica. 

Le iniziative del Movimento riescono, infatti, a costruire per la prima volta un “pacifismo” di massa e non elitario, che coinvolge, nei primi anni della Guerra Fredda, non solo gli elettori dei partiti di sinistra ma anche esponenti locali ed elettori della Democrazia Cristiana, liberali, perfino qualche monarchico. Il Primo Congresso dei Partigiani della Pace si era tenuto nell’Aprile del 1949 a Parigi, ma Don Gaggero non vi ha partecipato. Viene invece invitato da Giuliano Pajetta, a nome del Partito Comunista, al Secondo Congresso, che si terrà nel novembre del 1950 a Varsavia. Dopo un incontro con Ambrogio Donini, un altro celebre dirigente del PCI, Don Gaggero accetta di partecipare al Congresso di Varsavia, dove stringe un forte legame con Emilio Sereni. Il suo discorso è il secondo della prima seduta, subito dopo quello introduttivo del fisico francese Joliot-Curie e viene accolto da enormi applausi e una forte emozione dalla platea internazionale, venendo poi eletto come membro del Comitato Mondiale della Pace (3). 

Andrea Gaggero; fotografia gentilmente concessa dalla famiglia

Gaggero attribuisce ai Partigiani della Pace un ruolo centrale nell’aver impedito una nuova guerra, portando interi popoli ad esprimere il proprio desiderio di pace. Tuttavia, il suo impegno su questo fronte avrà delle importanti conseguenze. Sono gli anni della scomunica ai comunisti, dell’affermazione della DC come incontrastato partito di governo, alleata di una Chiesa fortemente anticomunista e filo-atlantica. Si può immaginare come la sua partecipazione al Congresso di Varsavia crei un certo scandalo. Il Santo Uffizio lo convoca d’urgenza a Roma, dove viene tenuto in sostanziale isolamento e in una continua condizione di disagio economico. Inizia così un vero e proprio processo che durerà due e mezzo anni. 

Secondo il racconto di don Gaggero, inizialmente cercano di incastrarlo con domande provocatorie, cercando di logorarlo trascinando il processo per le lunghe, costringendolo a rinunciare ai contatti con il Comitato della Pace e a mantenere clandestinamente quelli col PCI. Don Gaggero non abbandona le sue posizioni, nonostante la sua situazione lo porti addirittura ad ammalarsi. Fallito questo tentativo, gli avrebbero proposto un incarico privilegiato in cambio della sua rinuncia a parlare di problemi politici e sociali, offerta alla quale risponde con uno sdegnoso rifiuto.

Un comunicato pubblicato su L’Osservatore Romano annuncia che “Andrea Gaggero è stato ridotto allo stato laicale per grave disubbidienza”. Siamo alla fine della primavera del 1953. Andrea Gaggero torna quindi a Genova e torna, senza abito talare, a collaborare con i Partigiani della Pace e a portare avanti il suo impegno politico e ideale. Il 17 ottobre 1954 riceve, conferito da Pietro Nenni, il Premio Stalin per la Pace (4), il cui importo economico devolve a favore del Comitato Italiano della Pace.

Il 25 aprile del 1955 riceve finalmente, dopo vari ritardi, la medaglia d’argento al valor militare per la sua attività partigiana. Il CLN ligure aveva proposto invece la medaglia d’oro. Nello stesso anno partecipa all’assemblea del Consiglio Mondiale della Pace a Helsinki. Eletto membro della Presidenza del Movimento Italiano per la Pace parte per Vienna, dove per un anno sarà delegato presso la sede del Consiglio Mondiale.

”Una vita per la pace”: dal Vietnam ai licei romani

Nel 1962 contribuisce a organizzare, insieme ad Aldo Capitini, la prima marcia per la pace Perugia-Assisi, per poi partecipare alla costituzione della Consulta Italiana per la Pace, che riunisce diversi gruppi. La sua figura rappresenta, non senza contraddizioni, un ponte tra l’esperienza militante dei Partigiani della Pace e il nuovo movimento pacifista (5). Conosce in quest’occasione Isa Bartalini, figlia di un importante esponente del movimento pacifista e socialista, che diventerà la sua compagna (6). L’anno successivo è ad Oxford per la riunione costitutiva della International Confederation for Disarmament and Peace (ICDP), che riunisce varie organizzazioni pacifiste occidentali, divenendo membro dell’esecutivo. 

Andrea si impegna molto anche sul fronte della memoria, raccogliendo testimonianze in Polonia e nelle due Germanie relative ai campi di sterminio per quello che diventerà il Museo della Deportazione di Carpi (7). L’impegno nell’Associazione degli ex deportati lo porterà per molti anni a organizzare numerose mostre sul tema e iniziative nelle scuole romane. Rimarrà segretario della sezione romana fino alla sua morte. Sul fronte pacifista, contribuisce a fondare il Comitato per la pace nel Vietnam e ne dirige la sezione romana. La mobilitazione in solidarietà con la lotta del popolo vietnamita culminerà nella marcia Milano-Roma per la pace in Vietnam, che si conclude con una manifestazione nella capitale nel novembre del 1967.

Nei decenni successivi, Gaggero continua il suo impegno da protagonista nel movimento pacifista e nelle iniziative per l’amicizia tra i popoli e i Paesi: costituisce il Comitato parlamentare per il riconoscimento della Repubblica Democratica Tedesca, è segretario del Comitato per la liberazione del Portogallo e del Comitato Italia-Spagna, di cui è presidente Pietro Nenni. Arriviamo infine al 1988. Andrea inizia a registrare le proprie memorie, per lasciare una testimonianza della propria vita e del suo impegno per la pace e la giustizia sociale. Non riuscirà a terminare il racconto a causa di una malattia che in pochi mesi lo condurrà alla morte, l’8 luglio, nella sua casa di Cennina, nel comune toscano di Bucine. L’Archivio diaristico nazionale di Pieve Santo Stefano conserva la sua autobiografia incompleta, che viene pubblicata postuma dalla casa editrice Giunti con il titolo “Vestìo da omo“. 

Note:

1 Le informazioni riportate nell’articolo, salvo dove espressamente indicato, sono prese dall’autobiografia Vestìo da Omo, Giunti, 1991, una delle fonti principali delle ricerche sulla figura di Gaggero.

2 Sondra Cerrai, I partigiani della Pace in Italia, tra utopia e sogno egemonico, p.82, libreriauniversitaria edizioni, 2011.

3 “Don Gaggero respinge il decreto del Sant’Uffizio rivendicando il diritto di battersi per la pace”, L’Unità, 2 aprile 1953 .https://archivio.unita.news/assets/main/1953/04/02/page_006.pdf , consultato il 27/3/2025.

4 “Don Gaggero insignito a Roma del Premio Stalin per la Pace”, L’Unità, 18 ottobre 1954, consultato il 27/03/2025. https://archivio.unita.news/assets/main/1954/10/18/page_001.pdf

5 Cerrai, I partigiani della pace, pp.86-89.

6 Sull’incontro tra i due e sulla storia della famiglia Bartalini, si legga Isa Bartalini, I fatti veri. Vicende di una famiglia toscana, Edizioni Scientifiche Italiane,1996, a cura di Lilia Hartmann.

7 In particolare, riguardo la sua esperienza a Mathausen, si può leggere A.Gaggero, Mathausen. Il dovere della memoria, a cura di Tiziano Arrigoni, La bancarella editrice, 2008, Piombino.

Consigli di lettura: clicca sul titolo e acquista la tua copia!

  • Andrea Gaggero, Vestìo da omo, Giunti Editore, 1991.
  • A. Gaggero, Mathausen. Il dovere della memoria, a cura di Tiziano Arrigoni, La bancarella editrice, 2008, Piombino
  • Sondra Cerrai, I Partigiani della Pace in Italia. Tra utopia e sogno egemonico, libreriauniversitaria Edizioni, 2011.
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Tags: Resistenza italiana
Matteo Bernunzo

Matteo Bernunzo

Dopo la laurea magistrale in Storia e Società presso l'Università degli Studi Roma Tre nel 2023 con una tesi sul PCI e la lotta per la pace a Roma (1947-1953) , ha frequentato il master "Esperto in comunicazione storica: linguaggi digitali e multimedialità". Durante questo percorso, ha avuto esperienza di ricerca storica, aiuto montaggio e graphic design per una casa di produzione di documentari storici e sociali. Appassionato di storia contemporanea, archivi audiovisivi, cinema italiano e punk, si interessa di divulgazione e public history per trasmettere agli altri la sua stessa passione.

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