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Gli sconfitti hanno lasciato ai vincitori un frutto avvelenato: una mentalità autoritaria che annulla ogni diversità, che non si preoccupa di rispettare le vicende della storia.
Così lo storico Renzo De Felice commenta la damnatio memoriae di Alfredo Pizzoni, tra i capi della Resistenza ancor oggi il meno noto, ignorato a lungo dalla storiografia, nonostante abbia guidato durante tutto il periodo della lotta di liberazione il Comitato di Liberazione Nazionale Alta Italia (CLNAI), l’organo supremo del movimento partigiano nell’Italia settentrionale.
Alfredo Pizzoni tra esperienze militari e politiche
Alfredo Pizzoni nasce a Cremona il 20 Gennaio 1894. Figlio di un ufficiale dell’esercito che servirà da generale nella Prima Guerra e di una madre futura crocerossina volontaria nella stessa, eredita dall’ambiente familiare forti sentimenti patriottici di stampo risorgimentale. Terminato il liceo a Pavia, studia ingegneria ed economia a Oxford e Londra. Richiamato alle armi allo scoppio della guerra, serve come ufficiale dei bersaglieri. Fatto prigioniero, poi rilasciato in uno scambio di prigionieri, serve in Palestina come ufficiale di collegamento con gli inglesi.
Laureatosi in giurisprudenza nel 1920, intraprende la carriera bancaria al Credito Italiano. Vicino alle associazioni combattentistiche antifasciste di Italia Libera, poi a Giustizia e Libertà, non prende la tessera del partito fascista, subendo discriminazioni sul lavoro fino a un breve licenziamento, poi rientrato, nel 1932. La necessità di tutelare la professione, sposato già con tre figli, lo induce a prendere la tessera nel 1933, su appoggio del maresciallo Emilio De Bono, amico e compagno di Accademia del padre.
Non svolge attività di opposizione aperta al regime, allo scoppio della Seconda Guerra rifiuta l’esonero dal servizio militare per dovere di patria e viene richiamato come maggiore dei bersaglieri, tuttavia nell’intima convinzione di una sconfitta inevitabile in una guerra con gli inglesi e del conseguente crollo del regime. Scampato a un naufragio durante il trasferimento del suo reparto in Africa settentrionale, viene congedato per ragioni di salute e decorato con una medaglia di bronzo, che si aggiunge a quella d’argento ottenuta nella Prima Guerra. Nell’ottobre 1942 riprende il posto di dirigente al Credito Italiano a Milano.
Pizzoni primo presidente del CLNAI
Ripresi i contatti con l’ambiente liberale familiare, in particolare l’avvocato Giustino Arpesani, il crollo del regime lo coglie a Milano membro del comitato interpartitico delle opposizioni antifasciste. Il comitato lo elegge presidente nell’agosto 1943 su indicazione dell’amico avvocato socialista Roberto Veratti, confermato nella carica su proposta del comunista Girolamo Li Causi quando il comitato si trasforma prima in CLN milanese poi nel CLNAI.
Pizzoni è di orientamento liberale, ma viene scelto perché indipendente e non aderente a nessun partito, quindi in grado di svolgere un ruolo di mediazione tra le varie componenti partitiche del comitato per garantire l’unità nella lotta clandestina.
Nel CLNAI convivono due anime. Da una parte, comunisti e socialisti vogliono un rinnovamento totale dello Stato e della società (il modello è la Russia di Stalin e Lenin) e credono che la lotta partigiana non può limitarsi a restaurare lo Stato liberale prefascista ma è premessa di una “rivoluzione popolare”; ad essi si uniscono gli azionisti nel reclamare una radicale e non ben definita “rivoluzione democratica” che coinvolga l’assetto istituzionale, intransigenti nella pregiudiziale antimonarchica. I tre partiti dell’anima “rivoluzionaria” del CLNAI assegnano il ruolo del rinnovamento proprio al movimento partigiano e ai suoi organi, i CLN, come nuovo governo del Paese, che si contrappone di fatto ai governi regi, sia militari di Badoglio che civili dei politici antifascisti a Roma.
Dall’altra, l’anima “moderata” dei liberali e democristiani assegna alla lotta partigiana il compito di liberare il Paese da fascisti e tedeschi, per tornare poi all’ordinamento liberale prefascista garante delle libertà affossate dal fascismo. Più convinti i liberali, concordi i democristiani che aggiungono l’esigenza di mantenere un’identità cattolica al nuovo Stato.
Il PCI accoglie all’inizio con favore Pizzoni, proprio perché utile a bilanciare le altre componenti, inclusa quella azionista di Ferruccio Parri, che cerca senza successo di porsi come interlocutore privilegiato degli Alleati. Inoltre, Pizzoni garantisce un collegamento con gli ambienti della borghesia economica milanese e lombarda, è in grado di raccogliere i primi sostegni finanziari all’attività clandestina nell’Italia occupata del Nord, che giungono da anticipazioni bancarie appoggiate a gruppi e famiglie importanti come Falck e Edison.
Infine, conoscitore del mondo anglosassone e padrone della lingua inglese, Pizzoni è in grado di instaurare rapporti di fiducia e mantenere collegamenti diretti con gli angloamericani, non riusciti ad altri membri del comitato, come Pertini e Sogno che li hanno cercati in una missione congiunta a Roma con esito fallimentare, o come gli azionisti Damiani e Tino che hanno incontrato uomini dei servizi inglesi in Svizzera con modesto risultato.
Pizzoni alla guida del CLNAI
Pizzoni svolge diverse missioni di collegamento con gli Alleati, specie inglesi, che gli danno fiducia per la sua indipendenza dai partiti, dei quali diffidano, per i suoi sentimenti e trascorsi patriottici, oltre che per un’estrazione sociale che sembra garantire un indirizzo del CLNAI moderato e non “rivoluzionario”.
Dopo due missioni preparatorie in Svizzera, in marzo-aprile e in ottobre-novembre del 1944, il 14 novembre Pizzoni guida una lunga missione, con Parri, Pajetta e Sogno, nell’Italia liberata, faticando a far accettare agli Alleati la presenza del comunista Pajetta nei colloqui con esponenti dei comandi militari angloamericani a Roma (minaccia di non andare se non avesse partecipato anche il rappresentante comunista).
Pajetta è giudicato da Pizzoni “intelligente, attivo e onesto, uno dei pochi uomini che dal lungo languire in prigione non ha tratto né acidità di carattere, né eccessiva tristezza – e questo sta a dimostrare le sue alte doti di mente e di cuore”. Pajetta rimane a Roma, ma nei ricordi di Pizzoni si dedica, da uomo di partito, peraltro non diversamente da altri, più all’attività del suo partito che ai rapporti con Alleati e governo per conto del CLNAI.
La delegazione incontra esponenti politici dell’Italia liberata e il presidente del Consiglio Bonomi, in un incontro “gelido, un vero disastro”, nel giudizio di Pizzoni, che ricava una pessima impressione della politica romana che definisce “irreale”, inconsapevole della lotta che si combatte al Nord. Pizzoni interpreta in questi giudizi la differenza di spirito tra la politica romana, che ha ripreso la sua attività in continuità con le istituzioni e le burocrazie dello Stato monarchico, e quella del Nord occupato, in piena lotta militare e politica clandestina.
L’Italia del Sud non ha vissuto la resistenza armata, durata alcuni mesi solo in quella centrale, a parte i primi scontri a Roma dopo l’8 settembre e l’episodio clamoroso ma isolato delle giornate di Napoli. Sono due Italie che si incontrano e gli uomini del Nord non trovano a Roma lo stesso ambiente di Milano o Torino. E’ una differenza che pesa nei rapporti tra i partiti del CLNAI, inclusi quelli moderati, e il governo romano, dove pure siedono rappresentanti dei medesimi partiti. “Non è colpa di nessuno – scrive Federico Chabod – gli avvenimenti stessi hanno prodotto tale differenza”.
Gli incontri con gli Alleati rappresentati dal generale Maitland Wilson del Comando Supremo Alleato del Mediterraneo (SACMED) conducono il 7-8 dicembre al risultato politico del riconoscimento alleato del CLNAI come il rappresentante del movimento partigiano nell’Italia occupata e al risultato, non meno importante per la continuazione della lotta clandestina e armata, di un protocollo finanziario che prevede un finanziamento mensile di 160 milioni al CLNAI.
Nel contempo, sono ratificate le condizioni alleate, in parte già definite in Svizzera: un comando unificato delle forze partigiane assegnato a un ufficiale del governo romano gradito agli Alleati (sarà Raffaele Cadorna, già al Nord in clandestinità, posto al comando del Corpo Volontari della Libertà, nome ufficiale dell’esercito partigiano) e l’impegno del CLNAI al mantenimento dell’ordine nel momento della liberazione fino all’arrivo e all’insediamento del governo militare alleato, cui avrebbe passato i poteri provvisoriamente assunti.
Gli accordi con gli Alleati aprono la strada il 26 dicembre all’accordo con il non meno diffidente governo di Roma, nel quale questo, “sola autorità legittima”, delega il CLNAI a rappresentarlo nella lotta contro fascisti e tedeschi nell’Italia occupata.
Gli accordi di dicembre sanciscono una posizione subordinata del CLNAI al governo di Roma, per di più un ruolo temporaneo sino all’insediamento del governo militare alleato. Svanisce di fatto in quei giorni la prospettiva “rivoluzionaria” di un CLNAI governo di fatto al Nord, perseguita dai partiti della sinistra, in particolare dagli azionisti. Non a caso, Parri definisce gli accordi “al ribasso”. L’esecutivo del PSIUP, in particolare Sandro Pertini, contesta l’accordo con gli Alleati come un asservimento agli inglesi e il ruolo del CLNAI di “delegato” del governo Bonomi una subordinazione al governo del re.
Dal loro punto di vista, i “rivoluzionari” colgono il significato degli accordi romani. Vince la soluzione moderata di un ordinato ritorno allo stato prefascista, alle sue istituzioni e apparati burocratici, fatte le dovute epurazioni. Tuttavia, occorre osservare il momento in cui gli accordi sono conclusi. Ai primi di dicembre in Grecia iniziano gli scontri, che sfoceranno in aperta guerra civile, tra i partigiani comunisti e le forze di occupazione inglesi, fiancheggiate dai partigiani democratici anticomunisti. La situazione greca accresce la diffidenza alleata anche verso le forze partigiane italiane, tra le quali si conosce la forte presenza comunista.
Inoltre, gli Alleati accordano la loro legittimazione al governo di Roma, che è il garante delle clausole armistiziali da parte italiana, il cui rispetto è la loro priorità. Infine, il potere “contrattuale” degli Alleati è sostenuto dal semplice fatto che essi hanno in mano le risorse essenziali alla sopravvivenza della Resistenza al Nord: armi e soldi. In questo quadro il bilancio degli accordi romani assume un peso non proprio al ribasso, forse anche maggiore di quanto sembrano consentire il momento e i rapporti di forza.
Pizzoni gestisce personalmente le finanze del CLNAI, con giroconti non registrati tra le sedi milanesi e romane del Credito Italiano e della Banca Commerciale, senza registrazioni contabili per segretezza, garantiti solo dalla sua persona, che riscuote fiducia tra i vertici delle due banche. È stato calcolato che il mantenimento di un partigiano alla fine del 1943 è di mille lire al giorno, salite nel ‘45 a tremila e anche più nelle zone più difficili.
Senza i finanziamenti assicurati da Pizzoni i partigiani avrebbero dovuto ricorrere a requisizioni e tassazioni forzate sul territorio che, oltre a essere insufficienti, avrebbero compromesso l’immagine della Resistenza presso la popolazione civile, specie contadina. Quanto alle armi, il poco di buono che giunge ai partigiani proviene dai lanci angloamericani. Soldi e armi: si può dire che senza quest’opera di Pizzoni, garante politico della Resistenza del Nord verso gli Alleati e di finanziamenti indispensabili all’attività clandestina e partigiana, la Resistenza al Nord sarebbe stata praticamente ridotta a sola testimonianza.
Ha scritto Renzo De Felice:
Pizzoni si trovò nel bel mezzo dello scontro tra due opposte visioni: da una parte i partiti della Resistenza che nella maggior parte puntavano all’insurrezione generale e a fare dei CLN gli strumenti di un potere nuovo “democratico” e “popolare” e perciò non volevano “disarmare” e sottomettersi ai “moderati” del governo di Roma; dall’altra gli Alleati a cui interessava fare dei CLN gli organi di un regolare trapasso dei poteri all’amministrazione centrale italiana, evitare una “intempestiva” insurrezione che avrebbe distratto le forze partigiane dal compito principale di disturbare i tedeschi e favorire l’avanzata anglo-americana, e infine di disarmare e smobilitare i partigiani per un ordinato ritorno alla vita normale.
Pizzoni è consapevole del ruolo e dei limiti dei partiti nella Resistenza:
Naturalmente i politici puri costituivano, e tenevano molto a esserlo, l’aristocrazia del movimento: il passato dava loro diritto al rispetto dei più recenti gregari; dalle loro menti scaturiva la linfa che alimentava gli spiriti dei combattenti per la libertà. Per contro, la loro unilateralità di visione, e l’evidenza degli scopi, prevalentemente di partito, ai quali tendevano, diminuiva, alla lunga, la loro autorevolezza perché il fine vero della Resistenza diventava sempre più quello di arrivare alla Liberazione, con onore e con la massima incolumità di uomini, di ricchezze e di attrezzature, lasciando agli Italiani, finalmente liberi, il diritto e la facoltà di esprimere le loro idee, di prendere le decisioni riguardanti l’avvenire.
Sono parole di un liberaldemocratico, che assegna alla Resistenza il compito di ripristinare la libertà di autodeterminazione di un popolo, non l’imposizione di una soluzione politica di parte, socialista o di altro genere. La Resistenza come lotta di liberazione dalla dittatura, né guerra civile né guerra rivoluzionaria. Se essa avesse preso connotazione di partito avrebbe perduto credibilità e autorevolezza presso lo stesso popolo italiano.
La destituzione di Alfredo Pizzoni dal CLNAI
Il 19 aprile 1945, quando Pizzoni si trova a Roma a negoziare il rinnovo della convenzione finanziaria, viene decisa dal CLNAI la sua destituzione dalla presidenza, su iniziativa comunista e socialista, in particolare di Pertini, da Pizzoni giudicato “coraggioso, ma fanatico e squilibrato”, un “piccolo tribuno da comizio, anche se benemerito per i lunghi anni sofferti in prigione”. La decisione viene ratificata il 27 aprile all’unanimità (inclusi quindi anche liberali e democristiani), alla presenza di Pizzoni, ad insurrezione avviata, con gli Alleati in arrivo e i fascisti ormai in fuga con il loro duce, in una riunione dove le critiche al presidente e le ragioni della sua rimozione vengono affidate al comunista Emilio Sereni.
La sua rimozione dalla presidenza del CLNAI è motivata con l’esigenza di dare al movimento partigiano settentrionale una guida chiaramente politica, di un esponente di partito, cioè di sinistra, dati i rapporti di forza interni al CLNAI. Viene aggiunta, tra le motivazioni, con il metodo dell’attacco personale accompagnato a quello politico, anche la tessera fascista di Pizzoni del ’33, argomento strumentale, perché noto anche prima, certo anche nel ’43, quando Pizzoni è stato nominato presidente. Viene sostituito alla presidenza dal socialista Rodolfo Morandi.
L’esigenza dei partiti della sinistra, comunisti, socialisti e azionisti, di dare una guida politica al CLNAI trova la sua spiegazione in quel preciso momento storico in cui si apre il confronto con il governo romano per la costruzione della nuova Italia. Essi intendono dare forza al cosiddetto “vento del Nord”, cioè l’esigenza di un radicale rinnovamento delle strutture statali che non ritengono garantito dal governo monarchico.
Tuttavia, essa mal cela la diffidenza verso una figura indipendente come Pizzoni, di orientamento comunque liberale, e il timore che anch’egli non sia garanzia di tale rinnovamento, tanto più che aleggia il sospetto che potesse essere egli il futuro presidente del Consiglio post-liberazione, grazie anche ai rapporti di fiducia con gli anglo-americani, cosa che spinge alla rimozione prima dell’arrivo degli Alleati. Ai primi di dicembre del ‘44, durante la prima missione al Sud, Pizzoni è stato invitato a Londra dal Foreign Office per un incontro con Churchill e Eden, rifiutato dallo stesso Pizzoni perché gli inglesi hanno posto la condizione che andasse solo, cosa che contrasta con la regola di collegialità da lui seguita nel CLNAI.
La diffidenza verso Pizzoni non appare giustificata in sede storica. Pizzoni appartiene pienamente alla Resistenza settentrionale e al “vento del Nord”, benché per lui non soffia certo in direzione del socialismo. Critica il “proclama” Alexander, non meno dei partiti del CLNAI, parlandone con lo stesso generale. Inoltre, i suoi colloqui con esponenti politici romani, incluso Bonomi, maturano la sua convinzione che “noi del Nord non avremmo mai ammesso che questo uomo, sia pure esempio e guida di antifascismo per tanti anni, potesse reggere le sorti dell’Italia liberata”, giudizio che si estende alla classe politica romana.
Infine, le sue antiche simpatie per Giustizia e Libertà, la sua conoscenza della democrazia anglosassone, fanno di lui un liberaldemocratico, non un liberale monarchico conservatore propenso alla restaurazione tout court dello stato prefascista. Ma questi orientamenti del Pizzoni sono superati dalle urgenze politiche del momento dei partiti del CLNAI (a parte i liberali, tutti poco legati allo stato liberale prefascista, inclusi i democristiani) e non vengono colti dalle componenti più rigidamente ideologiche di essi, come i comunisti alla Longo e i socialisti alla Pertini, che considerano comunque Pizzoni uomo di destra.
All’atteggiamento comunista non è forse estranea l’insistenza di Pizzoni presso i generali Alexander e Clark per accelerare la presa di Trieste da parte anglo americana per tutelare l’italianità della città dalle mire titine, quando il PCI ha già deciso di “agevolare” l’opera dei compagni iugoslavi sul confine orientale.
Le ragioni della rimozione, benché dichiarate dal comunista Sereni, sono in realtà se non condivise almeno accettate senza particolari resistenze da tutti i partiti del CLNAI. Socialisti e comunisti aggiungono la diffidenza verso un rappresentante della classe borghese e gli azionisti la necessità di una guida politica innovativa. Il liberale Arpesani e il democristiano Achille Marazza non avrebbero messo in discussione Pizzoni, ma liberali e democristiani non hanno molti motivi per rischiare l’unità della vittoria cui partecipano al Nord per difenderlo, al di là della loro debolezza politica nel comitato rispetto alle forze di sinistra.
In fondo, anche per i “moderati” del CLNAI Pizzoni è sacrificabile, non hanno bisogno di un mediatore indipendente con gli ambienti della borghesia lombarda e settentrionale con la quale sono in grado di avere rapporti diretti, i liberali per antiche consuetudini, i cattolici per il retroterra di borghesia cattolica, non certo annientato dal regime precedente e appoggiato dall’intatta influenza della Chiesa. Inoltre anche i democristiani del Nord, legati al movimento partigiano, devono preservare il rapporto con la Resistenza senza lasciarlo al monopolio delle sinistre nel momento dell’apertura del confronto con il mondo politico romano, inclusi i compagni di partito meno inclini a raccogliere nelle loro vele il “vento del Nord”.
Questo confronto anche per essi è meglio garantito da una guida politica del CLNAI, cioè dei partiti. Per tutte queste ragioni, per gli uni come per gli altri, Pizzoni esaurisce il suo compito, nel momento della vittoria non è più necessario, se non ingombrante. Infine, neppure gli Alleati hanno interesse a creare dissidi con il CLNAI proprio nei giorni della vittoria finale, non c’è necessità di difendere il presidente del CLNAI quando l’intero comitato sta per uscire di scena.
L’indipendenza dai partiti e la posizione super partes che è stata la forza di Pizzoni nella lotta clandestina diventa ora la sua debolezza e il suo isolamento. Tuttavia, la sua rimozione non è senza conseguenze. Il generale Raffaele Cadorna, giudicherà la liquidazione di Pizzoni “un grave danno alla causa nazionale”. Essa non favorisce una crescita di ruolo del CLNAI agli occhi degli Alleati, che mantengono come interlocutore privilegiato il governo romano. Inoltre, la borghesia settentrionale, che forse avrebbe per sua maggiore apertura potuto aderire a soluzioni non certo socialiste, ma comunque riformatrici, nella costruzione della nuova Italia, garantita da propri esponenti come Pizzoni, si ritrae diffidente verso le caratterizzazioni partitiche resistenziali, specie di sinistra, fino ad accettare poi la soluzione moderata “romana”.
Alfredo Pizzoni torna alla vita privata
La damnatio memoriae dell’uomo che ha guidato la Resistenza italiana nei suoi venti mesi di lotta politica clandestina e militare inizia subito dopo la sua rimozione dal CLNAI ed è durata mezzo secolo. La rimozione di Pizzoni dall’indagine storica ha precluso lo studio di aspetti ineludibili per la ricostruzione della storia della Resistenza italiana, su tutti la sua storia “economica”, cioè i finanziamenti ricevuti, materia a tutt’oggi trascurata: seguendo il loro percorso, provenienza e utilizzo, si poteva ricostruire tanta parte delle dinamiche della lotta partigiana, della stesa formazione delle sue unità, come anche l’identificazione di ambienti politici e sociali che si connettevano con varie motivazioni alla lotta partigiana.
Pizzoni non è dimenticato dagli Alleati che liberano l’Italia, insignito nel 1948 della Medal of Freedom, la più alta onorificenza statunitense. Harold MacMillan, che era a capo della commissione Alleata in Italia, lo ricorda nelle sue memorie, “un uomo di buon senso e di forti sentimenti patriottici, pare (anche se non del tutto) un inglese”. Pizzoni, amareggiato dall’allontanamento, torna alla sua professione e diviene presidente del Credito Italiano fino alla sua morte nel 1958.
Lascia ai figli uno scritto di ricordi, con l’espressa volontà che non fosse pubblicato prima di venticinque anni dalla sua morte. Il motivo di questa condizione si capisce quando i ricordi divengono un libro nel 1993, pubblicato da Einaudi per il Credito Italiano, nel quale non sono risparmiati giudizi severi verso esponenti di primo piano del comitato e della Resistenza. Per la stessa ragione, l’editore Einaudi non distribuisce il libro e preferisce cedere i diritti a Il Mulino che lo pubblica nel 1995, quando giunge finalmente al pubblico con la prefazione di Renzo De Felice.
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- A. Pizzoni, Alla guida del CLNAI. Memorie per i figli, Il Mulino, Bologna 1995.
- R. De Felice, Rosso e Nero, (a cura di P. Chessa), Baldini e Castoldi, Milano 1995.
- T. Piffer, Il banchiere della Resistenza. Alfredo Pizzoni il protagonista cancellato della guerra di liberazione, Mondadori, Milano 2005.
- E. Di Nolfo, La Repubblica delle speranze e degli inganni, Ponte alla Grazie, Firenze 1996.
È stato una grande persona. Come tutti i grandi ha dato fastidio. Ma il tempo gli ha dato ragione.