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Alexis de Tocqueville: cenni biografici
Alexis Henri Charles de Clèrel de Tocqueville nasce a Parigi il 29 luglio 1805, figlio di Louise Rosambo e del prefetto Hervè de Tocqueville. Entrambi i genitori appartengono all’antica nobiltà francese ed entrambi sono sostenitori della monarchica, in particolare della famiglia dei Borbone di Francia. Per questo motivo vengono accusati di cospirazione nel 1793 con conseguente pena di morte in seguito ai fatti rivoluzionari, ma verrà successivamente revocata grazie alla caduta del rivoluzionario francese Robespierre, allora membro del Comitato di Salute Pubblica.
La prima educazione di Tocqueville si può far risalire agli studi della biblioteca del padre, colma di opere e di saggi dei più grandi pensatori illuministi francesi del XVIII secolo, come Montesquieu, Voltaire e Rousseau. Inoltre, da giovane frequenta l’Università di Metz, in cui è colpito da una grave crisi religiosa che segna il resto della sua vita. Nel 1826 si reca in Italia, dove scrive Il viaggio in Sicilia, considerato da molti il primo esperimento sociologico di Tocqueville.
Sebbene sia stato nominato giudice per un breve periodo nel 1827, decide di intraprendere la carriera di giudice alla Corte di Versailles. Con l’ascesa al trono di Luigi Filippo d’Orléans nel 1830, Tocqueville sviluppa un conflitto spirituale e ideologico sui valori democratici e liberali emersi con forza durante la rivoluzione, nonché sui valori conservatori instillati nella sua famiglia fin dall’infanzia. Già allora emergevano il contrasto tra politica e società. Alla fine decise di giurare fedeltà al nuovo monarca Luigi Filippo.

All’età di 20 anni, Tocqueville è già noto come scrittore e studioso, storico e sociologo francese e nel 1831 visita gli Stati Uniti con il suo amico Gustave de Beaumont. Egli è incaricato, da una commissione governativa, di osservare e analizzare la giustizia penitenziaria americana. Si trattava di un sistema per trovare rimedio alla terribile situazione del sistema penale francese. A differenza dei viaggiatori comuni, Tocqueville non si concentra sulle meraviglie naturali o storiche che caratterizzano questo paese, ma ne coglie invece i dettagli morali, giuridici ed economici esplorando anche la società nei suoi aspetti più profondi.
Infatti, si reca in America per apprendere l’essenza della democrazia liberale, con l’obiettivo di importare questa forma di governo nel suo paese, al fine di correggere le terribili tendenze e degenerazioni del processo democratico francese. Si concentra sia sulla competizione che sulla cooperazione sociale. Questi elementi, quasi del tutto assenti nel sistema francese, sono considerati pilastri del sistema americano, dove tutti gli individui sono socialmente uguali e sono fortemente disprezzati le classi sociali chiuse o di altre forme di privilegio.
Qui, nel trionfo del liberalismo, Tocqueville scrive la sua opera più importante, Democracy in America, (La democrazia in America). Questo lavoro si concentra sulla democrazia rappresentativa repubblicana, che Tocqueville condivide pienamente, ma al tempo stesso mette in luce le debolezze intrinseche della suddetta struttura politica e sociale. L’opera viene redatta e pubblicata in due parti, la prima nel 1835 nella quale evidenzia la politica americana nel suo insieme, mentre la seconda nel 1840, in cui presenta una critica incessante al governo reggente francese e ai valori rivoluzionari ormai deteriorati.
L’interpretazione nel suo lavoro è chiara e, contrariamente a molte teorie moderne a lui contemporanee, secondo Tocqueville non esistono aspetti comuni tra la Rivoluzione americana e la Rivoluzione francese, infatti dalla prima emersero indipendenza e libertà, mentre dalla seconda violenza e terrore. La democrazia in America è solo l’inizio della sua straordinaria carriera come scrittore e critico della Francia moderna.
Nel 1836 scrive un articolo intitolato La situazione politica e sociale della Francia prima e dopo il 1789, nella rivista «London and Westminster Review» curata dall’inglese John Stuart Mill, che fu ripreso quasi vent’anni dopo, intorno al 1852, per la preparazione e la pubblicazione delle sue ultime opere, in particolare L’antico regime e la Rivoluzione, in cui lo stesso Tocqueville analizza dettagliatamente e approfondisce l’impatto della Rivoluzione nella società francese e i cambiamenti politici e sociali che l’accompagnarono.
L’opera si presenta come uno studio della società francese precedente al 1789, con la volontà di dimostrare che il «prima» ed il «dopo» non fossero poi così diversi e intende mostrare il modo in cui l’antico regime fosse sopravvissuto in molte delle sfaccettature caratterizzanti alla nuova società francese. L’opera ebbe un forte impatto sul pubblico, anche per via dell’intenzione dell’autore che spesso, nella trattazione, si rivolge alla società contemporanea.
Tocqueville successivamente si rende conto che non è sufficiente guardare solo alla struttura sociale dell’America; ma è necessario confrontare la brillante analisi che ha prodotto in un anno di ricerca con altri moderni sistemi di governo. Infatti visiterà per ben due volte l’Inghilterra tra il 1833 e il 1836, e andrà per un periodo in Svizzera.
Nel 1836 il nobile normanno sposa Mary Mottley, una giovane inglese protestante, conosciuta a Versailles prima della rivoluzione del 1830 che morirà prematuramente. Sia la cittadinanza inglese sia le origini non aristocratiche della ragazza inglese sono due elementi che non passano inosservati alla sua famiglia. Tocqueville vive da cittadino del nuovo mondo e non si fregia dei propri titoli nobiliari, anche quando la Restaurazione gli avrebbe consentito di farlo.
Dal 1839 in poi, quindi, Tocqueville è sempre molto attivo nella politica francese, prestando servizio in diverse commissioni parlamentari e per circa 12 anni viene eletto deputato al parlamento della regione di Valognes in Normandia, dapprima alla Camera finché rimane in vigore la Monarchia di luglio, dove assume una posizione liberale e scrive importanti relazioni, concentrandosi sulla riforma penitenziaria, sull’abolizione della schiavitù nelle colonie e sul ruolo della Francia nella colonizzazione dell’Algeria; poi nell’ Assemblea Costituente e nell’Assemblea Legislativa durante la Seconda Repubblica. Inoltre ottiene importanti riconoscimenti per la propria opera intellettuale e sociale, entrando all’Accademia delle Scienze morali e politiche e tre anni dopo all’Académie française.
Nel 1848, con l’abdicazione di Luigi Filippo, che Tocqueville si schiera a favore di Luigi Napoleone Bonaparte il quale lo nomina Ministro degli Esteri, questa sarà l’ultima carica politica da lui detenuta. Tuttavia, il Ministro ritiene che una nuova rivoluzione potrebbe condurre all’instaurazione di un regime totalitario, come era già accaduto durante il periodo del Terrore giacobino. Questa preoccupazione si rivelerà giustificata quando Napoleone III concentrerà il potere nelle sue mani. A quel punto Tocqueville esprime il suo disappunto nei confronti del radicale autoritarismo instaurato nel paese.
È quindi costretto a dimettersi nel 1849 e viene brevemente incarcerato per atti violenti contro il sistema statale durante il colpo di stato di Luigi Napoleone del 1851, e per essersi opposto, difendendo i princìpi democratici liberali, all’ascesa del nuovo imperatore Napoleone III. Già due anni prima, egli aveva commentato: «il corvo cerca di imitare l’aquila», intendendo che il nipote voleva imitare lo zio. Tuttavia, il fallimento della democrazia e l’esclusione dalla politica permettono a Tocqueville di concentrarsi alla stesura della sua opera, L’Ancien Régime et la Revolution, in cui muove una dura critica agli ideali rivoluzionari e al loro sviluppo nel contesto sociale francese.
Tocqueville viaggia molto nel corso della sua vita, come già accennato, in America, Inghilterra e Germania, per indagare l’influenza della democrazia rappresentativa sul capitalismo industriale su larga scala che fiorisce in tutta Europa nel XIX secolo in cui iniziano a svilupparsi contemporaneamente le tendenze repubblicane. Tocqueville è colpito per la prima volta da una malattia polmonare nel 1852 e, a causa della sua cattiva salute, si spostò molte volte in cerca di guarigione. Questo lo costrinse a riposarsi giungendo perfino in Italia, in cui trascorse circa due anni nella città di Sorrento. Mentre si trova a Cannes, muore di tubercolosi il 16 aprile 1859, all’età di 53 anni. Le sue spoglie vengono sepolte nel villaggio che ancora oggi porta il suo nome.

Democrazia e distorsioni
Nel corso dei secoli molti intellettuali, siano essi filosofi o scrittori, si sono appassionati al tema della democrazia. Tocqueville è uno degli scrittori più interessati al tema, e in particolare alle distorsioni che possono derivare dall’uso improprio di questa forma di governo. Egli appartiene alla prima generazione di scrittori vissuti dopo la Rivoluzione francese, i quali pongono molte domande, ma riescono ad ottenere poche risposte. Affronta alcuni problemi e cercando di risolverli ne fa la missione della sua vita.
Il problema principale affrontato da Tocqueville, di cui si occupa per molti anni, è il problema della democrazia dopo la Rivoluzione francese, che può portare sia alla libertà sia al dispotismo. Pertanto, questo argomento sarà al centro dell’attenzione. Perché da qui si giunge ad un bivio che porta a due direzioni completamente opposte. Una volta avviato il processo democratico, questo non può essere fermato dal momento che lo sviluppo dell’uguaglianza è universale e trascende l’umanità. Questo processo, che ha già sconfitto la monarchia e il feudalesimo, non sarà mai limitato dalla nobiltà e dalla borghesia.
Di conseguenza, secondo l’autore, l’uguaglianza può essere vista non solo come un processo inarrestabile, ma anche come un modo di esprimere e mobilitare le energie delle persone, poiché le azioni dello Stato sono esse stesse il risultato del suo passato. Pertanto, a seconda delle azioni delle persone, possiamo trovarci di fronte alla democrazia liberale o alle sue variabili repressive, e tutte queste sono difficoltà che devono essere risolte non solo nella patria del filosofo, la Francia, ma in tutto il mondo, e questo può causare a problemi.
L’attenzione su ciò che accade in Francia è il risultato delle difficoltà che sta attraversando il Paese. Questo perché, dopo la gloria della repubblica figlia dalla Rivoluzione francese, con la Restaurazione il Paese ritorna alla monarchia. Secondo Tocqueville le sfide sono enormi, soprattutto se il fine ultimo è realizzare una democrazia liberale che superi la “Tirannide della maggioranza”.
Per le sue idee dunque si può considerare Tocqueville un liberale, le sue azioni sono certamente più razionali e consapevoli di quelle dei suoi contemporanei. Il filosofo tenta, infatti, di vedere un fine nella Storia, ma secondo lui questo obiettivo non è altro che la creazione di istituzioni che consentano un’esistenza libera. La critica dell’autore alla Restaurazione è chiara, partendo dall’idea di fondo che il processo democratico non può essere fermato, giunge ad affermare che il tentativo di contenere un processo in continuo movimento risulterebbe artificiale e ingiustificato.
La democrazia in America
Nella sua prima opera sulla democrazia La democrazia in America, redatta e pubblicata in due parti, viene evidenziata proprio la democrazia rappresentativa repubblicana, che lo stesso Tocqueville condivideva pienamente, pur denotando le debolezze intrinseche in essa. L’opera viene considerata espressione tipica del liberalismo francese del XIX secolo. Tocqueville ha un’intuizione che va oltre il liberalismo della Restaurazione, la quale diverrà, in seguito, la base del suo intero sistema politico. Egli riconosce che sono in corso grandi cambiamenti politici e sociali, e che l’umanità si sta avvicinando all’uguaglianza di condizioni.
Nell’opera appare evidente fin da subito la sua posizione, e contro molte teorie a lui contemporanee spiega che la Rivoluzione francese e quella americana non hanno niente in comune, in quanto quella francese portò violenza e terrore, mentre quella americana condusse alla libertà. Infatti, vengono scelti da Tocqueville gli Stati Uniti perché erano l’unico paese nato come una vera e propria democrazia piuttosto che da una monarchia capovolta.
La sua ricerca si concentra sui fondamenti della democrazia americana, rovesciando l’idea settecentesca secondo cui la democrazia era una forma di governo adatta solamente alle piccole repubbliche. La società americana, inoltre si mostra particolarmente democratica dal momento che il tessuto sociale si basa sull’uguaglianza tra tutti i cittadini e include gli emigrati che si stabilirono nel Nord America.
In questo senso, il concetto di uguaglianza mira non solo all’uguaglianza di ricchezza, ma anche all’uguaglianza di intelligenza. Dunque, le leggi democratiche sono il risultato della maggioranza del popolo e sono quindi mirate agli interessi del popolo, a differenza dei regimi aristocratici che mirano agli interessi di una minoranza del popolo.
Pertanto, l’obiettivo della democrazia è promuovere il benessere della maggioranza della popolazione. Per raggiungere questo obiettivo, le democrazie osteggiano la sovranità popolare, che riflette e rispecchia la sovranità dei monarchi. Secondo Tocqueville, infatti, l’interesse di pochi deve essere eliminato a vantaggio dell’interesse di molti. Al fine di mantenere una società democratica, i diritti individuali devono essere accantonati.
Tali diritti sono visti come poco importanti e possono essere sacrificati a favore dei diritti della società e del bene comune. Tocqueville attraverso la sua opera vorrebbe mettere in luce tutti i pericoli posti proprio dall’uguaglianza in una società democratica, ad esempio il rischio – attraverso l’eccessiva uguaglianza – di rendere più facile ai sovrani l’accentramento del potere nelle proprie mani, favorendo di conseguenza il dispotismo.
In questo modo, il potere centrale tende a rafforzarsi, mentre gli individui diventano più deboli, più isolati e molto più facilmente manipolabili. Pertanto, secondo Tocqueville, il futuro della società dipende dalla capacità dello Stato di garantire che l’uguaglianza porti alla libertà e alla prosperità piuttosto che alla schiavitù e alla povertà.
La “Tirannia della maggioranza”
Dopo aver analizzato le caratteristiche più vantaggiose del sistema democratico americano, Tocqueville passa ad affrontare i pericoli della democrazia, affermando che questi possono essere visti come minacce invisibili e che sono inerenti alla democrazia stessa. Secondo Tocqueville la minaccia più grande da temere è la “Tirannia della maggioranza”. Questo perché, attraverso la sovranità popolare, si tende a omologare e conformare la società, non riconoscendo i molteplici punti di vista e le pluralità presenti. Egli infatti se da un lato vede il vantaggio della maggioranza in un sistema democratico perché ritiene che coloro che governano per il popolo siano proprio la maggioranza, dall’altro lato egli dubita che questa sia la migliore forma di governo americano.
Secondo il magistrato francese, le società democratiche moderne come gli Stati Uniti sono caratterizzate da un certo tipo di dispotismo non tirannico. Il problema è che il termine “tirannide della maggioranza” non consiste solo nell’idea che i pochi devono obbedire alla volontà dei molti, ma risiede nel fatto che i molti controllano l’opinione pubblica e polarizzano la società verso un’unica idea. La “tirannide della maggioranza” non è quindi una tirannia materiale che compromette il corpo, ma una tirannia più sottile esercitata sulla mente degli individui.
Infatti, per la sua stessa natura, le democrazie hanno sempre escluso coloro che rappresentavano posizioni tutt’altro che moderate, ma estreme, e molto distanti sia dalla maggioranza sia dalla minoranza. Secondo Tocqueville, il potere della maggioranza, quando degenera, appare ancora più potente di quello dei sovrani assoluti d’Europa, e il suo potere è così vasto da poter influenzare il pensiero degli individui. La maggioranza chiede anche la conformità ad un modello prestabilito, che porta alla realizzazione di un’idea unica, negando così la libertà individuale.
Tocqueville sostiene che, la maggior parte degli individui, vedendo cadere gli stati democratici nell’anarchia, commette l’errore di considerare il governo, presente in questi stati, debole e impotente. Però la vera motivazione è che, quando scoppia la guerra fra partiti, il governo perde il controllo della società. Di conseguenza il motivo per cui lo Stato democratico crolla, non è dato dalla mancanza di forze o di risorse, ma è dato dall’abuso della sua forza e dal cattivo impiego delle proprie risorse. Quindi l’anarchia nasce, quasi sempre, dalla tirannide e dall’incapacità non dall’impotenza.
Nello specifico, per quanto riguarda gli Stati Uniti, egli ritiene che i governi delle repubbliche americane siano molto più centralizzati ed energici di quelli di molte altre monarchie assolute in Europa, e quindi non possano essere distrutti dalla debolezza.
Tuttavia, Tocqueville conclude la sua discussione sulla “tirannia” suggerendo diversi “antidoti” per far fronte alla “Tirannide della maggioranza”. Il primo è lo “spirito della legge” nel suo ruolo di forza di compensazione contro la democrazia degenerativa. Ciò significa che i giudici della Corte Suprema devono garantire la massima integrità giudiziaria possibile, perché non devono cambiare idea, né cercare di raggiungere nessun tipo di consenso. Il secondo “antidoto” è l’associazionismo e sarebbe un buon rimedio alla “Tirannia della maggioranza” perché potrebbe unire le persone attorno a un’idea e quindi attaccare l’impero morale del giudizio convenzionale.
Religione e Società
Per quanto riguarda la religione, Tocqueville ritiene che le istituzioni religiose consentano il mantenimento di una repubblica democratica. Per il magistrato, la religione è un elemento fondamentale a cui rivolge particolare attenzione e una discussione approfondita sia ne La democrazia in America sia nel L’antico regime e la Rivoluzione.
Il magistrato francese si dedica allo studio del rapporto tra politica e religione per comprendere come queste due dimensioni influenzano la società, le leggi e i costumi. Secondo Tocqueville però la religione corre il rischio di non essere creduta in nessuna situazione. Egli infatti scrive in una lettera a Claude-François Corcelles, politico, diplomatico e deputato francese:
«Se conoscete una ricetta per credere in Dio, datemela. Se non basta la volontà per credere, ci vorrà molto tempo perché diventi devoto. […] Le religioni, volendo estendere il proprio potere al di fuori dell’ambito religioso, rischiano di non essere credute in alcun ambito. Se la religione sembra ripugnare allo spirito del nostro tempo per qualcuno dei suoi aspetti, dall’altra parte essa risponde meravigliosamente a parecchi dei bisogni più pressanti della nostra epoca […]. Le va riconosciuto, essa può esercitare un’influenza costante ed efficace sulla regolarità dei costumi privati e, con ciò, assicurare con forza, seppur in maniera indiretta, la buona condotta dei pubblici affari […].
Tocqueville ha una visione laica e nello specifico si pensa fosse ateo, tuttavia, come già Voltaire, Machiavelli e Rousseau prima di lui, attribuisce un ruolo importante alla sfera religiosa, come stimolo alla moralità delle masse popolari (religione civile), può quindi essere definito un fautore dell’ateismo cristiano. Sebbene la moglie parli di conversione in punto di morte (Tocqueville aveva smesso di praticare la religione all’età di 16 anni), l’amico Beaumont la smentisce.
Dunque per Tocqueville la religione, in particolare quella cristiana, può essere considerata il principale dispositivo di salvezza delle società democratiche. Contro la morale laica dell’ateo virtuoso di Bayle e d’Holbach, l’autore de La democrazia in America, afferma che la moralità dell’agire è assicurata dal suo fondamento religioso. Soltanto a partire dalla religione si potrebbe dedurre un sistema etico solido, dal quale a sua volta ricavare i costumi, le abitudini e le leggi di un popolo. La religione rappresenterebbe, quindi, l’elemento primo e imprescindibile della moralità e dunque la conditio sine qua non della libertà, non solo morale ma anche politica.
Una funzione comune a tutte le religioni, per Tocqueville, consiste nel fornire una serie di barriere insormontabili all’inclinazione dello spirito umano di problematizzare ogni cosa. Ogni religione offre, infatti, una soluzione netta, precisa e comprensibile per la folla e molto durevole ad un certo numero di questioni fondamentali. La religione impone così di accettare alcuni postulati essenziali che pongono un freno all’anarchia intellettuale a cui, diversamente, la mente umana sarebbe condannata. A questa funzione della religione, cioè, in sintesi, al fatto che essa ponga un limite all’azione erosiva del dubbio, corrisponderebbe un effetto positivo anche sul piano politico, come risulterebbe evidente nella realtà americana.
Negli Stati Uniti, infatti, dove la legge non disciplina nel dettaglio le condotte di vita dei cittadini, e lascia anzi ampi margini di libertà alle azioni individuali, le credenze religiose pongono un freno insuperabile che impedisce di realizzare quelle azioni in contrasto con la morale cristiana, che pure le leggi permetterebbero di compiere. Infatti come «la legge permette al popolo americano di fare tutto, la religione gli impedisce di concepire di osare tutto».
La situazione in Francia è alquanto diversa. Secondo la prospettiva di Tocqueville, la fede è essenziale al mantenimento della libertà, ed è ancora più essenziale al mantenimento e alla stabilità della repubblica che a quello della monarchia, mentre l’opinione diffusa fra i sostenitori repubblicani francesi era l’opposto, cioè che la religione non fosse utile ma contraria alla repubblica. Anche, ne L’antico regime e la rivoluzione, Tocqueville tornerà sul tema religioso in relazione alla Rivoluzione del 1789, riproponendo il Cristianesimo, e il cattolicesimo in particolare, come favorevole alle società democratiche e alla loro stabilità.
Secondo l’autore, benché la passione antireligiosa fosse stata protagonista durante l’intero arco di tempo della Rivoluzione, questa forma di passione si è sviluppata nei confronti del Cristianesimo non come dottrina religiosa, ma come istituzione politica diretta. Tale ideologia si sviluppa contro il clero come classe, con i suoi privilegi di casta, e di conseguenza i sentimenti antireligiosi venivano sempre più a galla, favoriti anche dai pensatori e dalla filosofia del Settecento, in particolare dagli illuministi.
Una volta che il significato politico e la Rivoluzione stessa si imponevano all’interno della società, dopo aver distrutto gli antichi poteri costituiti, l’odio antireligioso che aveva predominato nella società andava scemando, ed è così che la Chiesa è riuscita a rinnovare la propria forza. La Chiesa veniva vista come un ostacolo da tutti i pensatori che attraverso i propri scritti diffondevano nella società il proprio pensiero, agendo come dei veri e propri educatori in materia politica per il popolo che ne assorbiva il linguaggio e il temperamento.
L’istituzione religiosa veniva considerata come un ostacolo al cambiamento, in quanto basata sull’autorità del passato e sul valore delle proprie tradizioni, mantenendo ben salda la scala gerarchica al proprio interno. Rappresentava quindi tutto ciò che gli stessi intellettuali francesi volevano spazzare via, facendo appello solo alla ragione umana e non ad una autorità ultraterrena.
Non si riusciva a comprendere che la società politica e quella religiosa erano per natura diverse, secondo Tocqueville, e che non potevano avere quindi gli stessi principi fondanti. Egli riconosce che vi erano delle linee di confine tra i due poteri e la Chiesa li aveva oltrepassati; essa aveva un grandissimo potere politico senza che ne fosse chiamata per natura e fine, e
«infatti vi si era mescolata senza esservi chiamata né dalla sua vocazione né dalla sua natura e in essi [nei poteri politici] sanciva spesso i vizi che biasimava altrove, e li copriva della sua sacra inviolabilità quasi volesse renderli immortali come lei».
Educato secondo i precetti della religione cattolica fin dalla tenera età, Tocqueville, subì un grave dissesto nel suo credo quando ebbe la possibilità di esplorare la biblioteca paterna presso la prefettura di Metz. Le grandi letture di Montesquieu, Buffon e Raynal crearono nel giovane studioso, una frattura radicale non solo con il proprio credo ma bensì, con il concetto stesso di credo.
Divenne così cruciale il rapporto tra religione e politica nella visione toquevilliana della democrazia: «l’aristocrazia aveva fatto di tutti i cittadini una lunga catena, che andava dal contadino al re; la democrazia spezza la catena e mette ogni anello da parte».
Il principio di separazione tra lo Stato e la Chiesa non riguarda esclusivamente un aspetto meramente istituzionale, relativo a poteri e competenze, piuttosto riguarda i valori e le finalità che ciascuna deve perseguire in un’ottica comunitaria: Tocqueville insiste sulla separazione dei poteri ed al contempo sulla convergenza delle finalità. La sua tipica separazione liberale tra Chiesa e Stato ispirò, tra gli altri, Camillo Benso Conte di Cavour (per la sua celebre formula «libera Chiesa in libero Stato»).
Tocqueville non approva l’anticlericalismo, ma si esprime anche contro la religione di Stato, egli accusa la commistione tra fede e politica di aver causato la crisi politico-religioso-istituzionale che ha portato alla Rivoluzione francese, la quale provò a risolvere il problema imponendo però una sua religione, il Culto dell’Essere Supremo: quindi sempre una religione imposta per fini politici, ma neppure capace di servire da esempio di moralità, poiché non avvertita come propria dalla maggioranza dei cittadini. Inoltre, la religione per Tocqueville, abitua il cittadino ad avere una pluralità di vedute e lo prepara al confronto politico, sociale e culturale.
Nonostante questa attitudine non certo ostile alla forma religiosa esteriore, oltre che alla religione della sfera privata, Tocqueville espresse una netta condanna verso la politica della Restaurazione in quanto volta a ripristinare l’alleanza tra il Trono e l’Altare, cioè tra Stato monarchico e Chiesa, che egli giudicava una cosa negativa per entrambe le istituzioni: la religione non va combattuta, ma nemmeno deve compromettersi col potere, e non va finanziata dallo Stato.
In sintonia con le vedute dell’Illuminismo, non è dello stesso avviso sull’Islam, che egli considera un pericolo per l’umanità, accusando gli insegnamenti di Maometto di una «tendenza violenta» e allo stesso tempo «sensuale». La perdita di fede spinse il sociologo a non soffermarsi solo sul credo dell’infanzia, piuttosto su tutte le religioni e sull’impatto che le stesse avevano sulla società ed il governo. Fu, infatti, l’esperienza in Algeria a permettere al giurista francese di esprimere il proprio giudizio negativo nei confronti dell’Islam.
D’altra parte, il Vangelo parla solo dei rapporti che esistono tra l’uomo e Dio, e tra l’uomo e gli altri uomini, senza imporre alcun obbligo di seguirli. Ed è proprio questa la differenza che non permetterà mai all’Islam di prevalere in un’epoca di cultura e democrazia, mentre il Cristianesimo è destinato a mantenere la sua influenza in tutti i periodi storici.
Dunque nel contrasto tra religione e politica si radica un’identità forte, nella quale queste due dimensioni convergono, ciascuna però mantenendo il proprio essere, ed è proprio la loro differenza che consente, secondo Tocqueville, di scorgere l’emblema della libertà nell’occidente.
Conclusioni su Tocqueville
Per Tocqueville, quindi, il futuro dipende dalla capacità dei Paesi di garantire che l’uguaglianza porti libertà e prosperità, piuttosto che servitù e miseria. Tocqueville iniziò analizzando la Francia come «travolta dalla rivoluzione e assediata dalla rinascita di un’aristocrazia dispotica». Le sue idee furono variamente influenzate da scrittori illuministi come Montesquieu, Voltaire e Rousseau, che avvicinarono Tocqueville al pensiero liberal-democratico.
Il viaggio negli Stati Uniti diede a Tocqueville l’opportunità di osservare nello specifico i temi che lo affascinavano e di comprenderli nella loro interezza. Ad esempio, elementi come l’antischiavismo, l’affermazione del principio di uguaglianza, la tolleranza religiosa costituivano essenzialmente le fondamenta di un’idea che si formava nel suo insieme sulla base della realtà osservata nella pratica e sul campo.
Il mito del libero mercato e l’emergere della democrazia fecero di Tocqueville uno scrittore di spicco del suo tempo, al pari dei grandi pensatori illuministi che sono il fulcro dei suoi studi e che si trovano alla radice del suo pensiero. Egli può essere considerato un autore importante la cui opera rappresenta, sicuramente, un tassello fondamentale per la comprensione della società liberale dell’Ottocento.
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- A. Tocqueville, La democrazia in America, a cura di N. Matteucci, UTET, 2014.
- A. Tocqueville, Un ateo liberale. Religione, politica, società, a cura di P. Ercolani, Edizioni Dedalo, 2008.