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Le fonti su Alessandro Magno
La storia antica può vantare diversi personaggi che detengono un posto di rilievo nell’immaginario collettivo dei posteri. Tra questi va annoverato Alessandro III di Macedonia, comunemente noto come Alessandro Magno. Tale denominazione compare per la prima volta nell’opera di Efippo di Olinto, uno dei suoi storici.
La Cagnazzi la spiega come una diretta derivazione dell’uso persiano di definire il re di Persia “Gran re”, ricordando che lo stesso sovrano, dopo la vittoria di Gaugamela, volle presentarsi come legittimo successore di Dario. In seguito il soprannome sarebbe stato funzionale a distinguerlo dagli altri omonimi e, non secondariamente, avrebbe rappresentato anche un riconoscimento delle sue grandi imprese.
La ricostruzione della sua vita è alquanto problematica, anche a causa della popolarità che, ottenuta fin da subito, lo rese ben presto una figura leggendaria. Le prime fonti sulla sua vita sono i libri scritti dagli storici che volle portare con sé nella spedizione in Asia. Com’è facile intuire, sono favorevoli al sovrano e influenzarono anche le opere successive che ci forniscono un resoconto completo o quasi del regno alessandrino: il XVII libro della Biblioteca storica di Diodoro Siculo, l’Anabasi di Alessandro composta da Arriano di Nicomedia e la Vita di Alessandro, il cui autore è Plutarco.
Infanzia di Alessandro Magno e morte di Filippo II di Macedonia
Da queste testimonianze letterarie si apprende che Alessandro nacque nel 356 a. C. da Filippo II, re di Macedonia, e la sua quinta moglie, la principessa epirota Olimpiade. Plutarco ci fornisce con precisione anche il giorno della nascita, indicandolo nel «sesto giorno del mese di Ecatombeone, che i Macedoni chiamano Loo» (Plutarco, Vita di Alessandro 1,3,5). Esso corrisponde al 20 luglio del nostro calendario. L’autore riconduce, inoltre, le origini del re al figlio di Zeus, Eracle, per parte paterna e al nonno di Achille, Eaco, per parte materna. Si tratta ovviamente di una ricostruzione mitica, alla cui diffusione contribuì lo stesso sovrano.
Veritiera è, al contrario, la notizia secondo cui il padre affidò la sua educazione ad Aristotele e lo associò agli affari di governo fin da giovane. La svolta si verificò nell’estate del 336 a.C., quando Filippo II venne assassinato a Ege da una guardia del corpo durante i festeggiamenti per il matrimonio della figlia Cleopatra.
Giustino (Epitoma Historiarum Philippicarum Pompei Trogi XI, 2,1) racconta che durante le esequie Alessandro «ordinò di uccidere i complici dell’uccisione presso il tumolo del padre». Al di là di questo aneddoto non verificabile, la congiura, alla quale forse non fu estraneo, gli consentì di salire al trono, grazie anche all’appoggio determinante di Antipatro, un nobile della corte macedone.
La spedizione in Persia di Alessandro Magno
In quello stesso anno, dopo aver ottenuto dai Tessali il comando della loro lega e dal sinedrio della Lega di Corinto il ruolo di ἡγεμών (comandante), consolidò le frontiere settentrionali del suo regno con le campagne contro i Triballi, i Peoni, i Geti e gli Illiri. Represse, inoltre, la rivolta di Tebe, ingannata dalla falsa notizia della morte di Alessandro, lasciando poi la decisione sulla sorte dei vinti alla Lega di Corinto. Essa, su pressione verosimilmente del sovrano stesso, decretò la completa distruzione della città e la riduzione in schiavitù degli abitanti superstiti.
Riaffermata la sua autorità agli occhi degli Greci, poté dedicarsi alla grande impresa che il padre non aveva avuto il tempo di realizzare: la spedizione contro la Persia, motivata pretestuosamente con la volontà di punire i Persiani per aver distrutto i templi greci nel 480/479 a.C. e di liberare le poleis d’Asia dal dominio barbaro.
Partito dalla Macedonia nella primavera del 334 a.C., compì alcuni gesti simbolici finalizzati a ribadire questo significato panellenico della spedizione. Secondo Diodoro Siculo (Biblioteca storica 17,17,2-3), egli, infatti, avrebbe visitato la tomba di Achille e avrebbe onorato con sacrifici Aiace e altri eroi achei.
Arriano (Anabasi di Alessandro 1,11,8) racconta che avrebbe onorato anche Priamo per placare la sua ira contro la stirpe di Neottolemo, di cui si reputava discendente. Eresse altari a Zeus e Atena su entrambe le rive dell’Ellesponto e avrebbe scagliato la propria lancia sul suolo per indicare che avrebbe conquistato quella terra.
Alcune fonti (nello specifico, Tolomeo, Anassimene, Onesicrito, Duride, Callistene, Arriano, Aristobulo e Plutarco) ci forniscono anche dati relativi all’esercito di Alessandro al momento della sua partenza per l’Asia, indicando tuttavia il numero dei soldati in modo difforme. La discordanza può essere spiegata ipotizzando che alcuni autori abbiano tenuto conto del contingente macedone che già si trovava in Asia, mentre altri non l’abbiamo incluso nel calcolo.
Nel complesso, le cifre riportate dagli storici antichi oscillano, comunque, tra i 35.000 e i 45000 uomini. Univoca è, al contrario, la tendenza a porre l’accento sulle ridotte dimensioni dell’esercito di Alessandro Magno e la scarsità dei suoi mezzi. Tale sottolineatura ha palesemente lo scopo di esaltare ancor di più la portata dell’impresa compiuta dal re macedone.
La prima vittoria importante arrivò nel maggio del 334 a.C., quando in Frigia Ellespontica, presso il fiume Granico, sconfisse i satrapi assicurandosi il controllo dell’Asia Minore settentrionale. L’avanzata proseguì con la conquista della Caria, della Licia e delle regioni interne della Pisidia e della Frigia. Nella capitale di quest’ultima, Gordio, egli svernò, recidendo, secondo la testimonianza di Plutarco (Vita di Alessandro 18,1-4) e di Arriano (Anabasi di Alessandro 2,3), il nodo inestricabile che legava un carro da guerra. Avrebbe, così, realizzato un’antica profezia che destinava al dominio dell’Asia colui che avrebbe compiuto tale gesto.
Dalla battaglia di Isso a Gaugamela
Preoccupato dai successi militari di Alessandro, il re persiano Dario III decise di affrontare direttamente il suo nemico contro il quale si scontrò tra l’ottobre e il novembre del 333 a. C. nella pianura di Isso. L’esito della battaglia fu favorevole all’esercito macedone e il sovrano dei Persiani fuggì in Mesopotamia.
Alessandro poté, così, avanzare verso sud, sottomettendo la Siria, la Fenicia e la Palestina, dove piegò la resistenza di Tiro conquistandola dopo sette mesi di assedio. Tranquillo fu, al contrario, il suo ingresso in Egitto, dove fu accolto favorevolmente. Qui, si recò al tempio di Ammone, nel quale, secondo le fonti antiche, sarebbe venuto a conoscenza della sua condizione di figlio di Zeus. In primavera rientrò in Fenicia, affrontando poi nuovamente Dario III a Gaugamela il 1 ottobre 331 a.C.. Anche in quell’occasione riuscì ad avere la meglio, costringendo il nemico a rifugiarsi a Ecbatana, la capitale della Media, dove cadde vittima di una congiura.
L’episodio permise ad Alessandro di considerarsi ormai re della Persia, assumendone sempre più le usanze persiane che imponevano ai sudditi ossequio e sottomissione. La sua condotta orientaleggiante destò un significativo malcontento all’interno della sua cerchia che si manifestò con forme di dissenso e congiure. Nel 327 a. C. suscitarono ulteriori malumori le sue nozze con Rossane, figlia di Ossiarte, satrapo della Sogdiana, e l’introduzione della proscinesi (un inchino accompagnato da un bacio a distanza inviato sulla punta delle dita).
Nel medesimo anno intraprese la conquista dell’India, che ebbe esito fallimentare: i soldati macedoni, infatti, arrivati al fiume Ifasi (l’odierno Beas), si rifiutarono di proseguire. Alessandro allora si rivolse ad un altro suo progetto: la navigazione dei fiumi sino all’Oceano meridionale, che raggiunse nell’estate del 325 a.C. solennizzando l’evento con grandiosi sacrifici.
La morte di Alessandro Magno
Rientrato dalla campagna indiana, fu costretto a fronteggiare rivolte e gli abusi di potere di alcuni satrapi. La sua risposta non si limitò alla repressione delle sedizioni e alla rimozione dei governatori infedeli: nella primavera nel 324 a. C., infatti, a Susa promosse le nozze fra 91 membri della sua corte e donne della nobiltà persiana, sposando egli stesso Statira, figlia di Dario III, e Parisatide, figlia di Artaserse III.
Il gesto rientrava nel suo piano di integrazione fra la componente greco-macedone e quella persiana, ma non fece altro che accrescere il malcontento dei suoi uomini che temevano di perdere la loro posizione di preminenza nell’impero. Un’altra innovazione poco digerita furono gli onori divini che pretese fossero tributati alla sua persona.
Rientrato poi a Babilonia, iniziò a organizzare una spedizione in Arabia, ma mentre era intento nei preparativi, morì, dopo dieci giorni di febbre, il 28 di Daisio (maggio- giugno) del 323 a. C. per cause ancora non accertate. Le ipotesi avanzate finora parlano di febbre malarica oppure di avvelenamento.
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- A. B. Bosworth, Alessandro Magno. L’uomo e il suo impero, Milano, Rizzoli, 2004.
- L. Breglia, F. Guizzi, F. Raviola, Storia greca, Napoli, Edises, 2015.
- S. Cagnazzi, Il grande Alessandro, «Zeitschrift für Alte Geschichte» 54, 2005.
- M. Corsaro- L. Gallo, Storia greca, Firenze, Le Monnier Università, 2010.
- C. Mossé, Alessandro Magno. La realtà e il mito, Roma-Bari, Laterza, 2003.