Adolf Hitler (1889–1945) è stato il leader del Partito Nazionalsocialista tedesco dei lavoratori e dittatore della Germania dal 1933 al 1945. Tra le figure centrali del Novecento, ha segnato la storia europea con l’instaurazione del regime nazista e il suo aggressivo espansionismo militare che ha provocato la Seconda guerra mondiale. L’ideologia totalitaria e antisemita del nazismo ha generato l’Olocausto e condotto alla profonda devastazione del continente. La vita di Hitler si conclude amaramente con il suicidio nel bunker di Berlino, il 30 aprile 1945.
E’ il 1889. Benito Mussolini ha sei anni, Iosif Stalin dieci, Winston Churchill venticinque quando Adolf Hitler viene alla luce, il pomeriggio del 20 aprile del 1889 a Braunau sull’Inn, al confine tra l’Austria e la Baviera. Scriverà il futuro Fuhrer nella sua opera Mein Kampf: “Provvidenziale e fortunata mi appare adesso la circostanza che il destino mi abbia assegnato come luogo di nascita precisamente Branau sull’Inn. Giace, infatti, questa cittadina sulla frontiera dei due Stati tedeschi la cui riunione sembra, se non altro a noi giovani, un compito fondamentale che va realizzato a tutti i costi. Questa piccola città di frontiera mi sembra il simbolo di una grande missione”.
I genitori di Adolf sono Alois Hitler e sua cugina Klara Poelzl i quali ottengono la dispensa del Vaticano per potersi sposare. Il padre Alois è un doganiere, è un uomo violento e volgare che intende fare del figlio un modesto funzionario. Secondo alcuni esperti, che hanno analizzato la personalità di Hitler, pare che sul carattere del giovane abbiano influito negativamente, e in modo decisivo, i burrascosi rapporti tra i genitori e la seria dipendenza del padre dall’alcool, con tutte le sue spiacevoli conseguenze in ambito familiare.
Gli insegnanti di Adolf definiscono il ragazzo pronto, intelligente e vivacissimo, tuttavia già dalle scuole medie i suoi voti sono scadenti e il rapporto tra lui e i docenti diventa complicato. Il suo insegnante di francese Eduard Hemmer si esprimerà con tali termini: “Era ben dotato, anche se solo in alcune materie, ma non sapeva controllarsi e, a dir poco, era considerato un attaccabrighe, un testardo, un presuntuoso di cattivo umore, incapace di sottomettersi alla disciplina scolastica”.
In seguito alla morte del padre il 2 gennaio 1903 a causa di un attacco di apoplessia, Adolf si trasferisce con la madre a Linz e da qui, dopo aver abbandonato gli studi, si reca a Vienna che rappresenterà per lui il “ricordo vivente del periodo più triste” della sua esistenza. In questa città trascorre cinque anni, dal 1907 al 1912, cercando di dare una risposta alle sue aspirazioni artistiche. Viene, però, respinto per ben due volte dalla Accademia delle belle arti e conduce una vita di stenti, esercitando diversi mestieri e trascorrendo negli ospizi le sue nottate. Le giornate le vive illustrando delle cartoline che vende grazie alla collaborazione di alcuni venditori ambulanti, frequentando caffè, leggendo giornali e libri che gli capitano casualmente tra le mani.
Nel maggio 1913 Hitler, per non essere costretto a svolgere servizio militare per la monarchia asburgica, raggiunge Monaco di Baviera dove porta avanti lo stesso stile di vita. In questo periodo oscuro inizia ad elaborare le sue teorie esistenziali avendo in odio i socialisti, la democrazia e gli ebrei nei quali intravede il principio stesso del male e della distruzione, “l’elemento spurio che cerca di assicurarsi l’egemonia mondiale attraverso la corruzione sistematica, il delitto intenzionale contro la razza e l’intossicazione metodica della vita pubblica”[1]. Il 1 agosto 1914 Hitler è tra la folla esultante al momento della dichiarazione di guerra della Germania, nella gremita piazza dell’Odeon di Monaco. Il giovane ha trovato finalmente uno scopo.
Arruolatosi nell’esercito tedesco con acceso entusiasmo, Adolf combatte coraggiosamente durante la prima guerra mondiale senza modificare quello che è da sempre il suo temperamento. Infatti i compagni suoi commilitoni lo ricorderanno come un uomo silenzioso e taciturno che, a volte, si accendeva per lanciarsi in grandi diatribe patriottiche. Sfuggito miracolosamente alla morte durante i combattimenti in trincea ne deduce che la provvidenza lo protegge preservandolo e chiamandolo ad alti destini futuri. Convinto delle ragioni della Germania, Hitler rimane profondamente sconvolto dalla sconfitta; colpito “dai gas nel 1918, era all’ospedale al momento dell’armistizio, momentaneamente accecato”[2].
Combattente ferito e decorato, il caporale Hitler interiorizza a fondo l’esperienza del conflitto. Sempre a Monaco conosce Ernst Rohm il quale gli procura un piccolo impiego che gli consente di emergere dall’anonimato. Siamo nel 1919 e nella capitale bavarese pullulano i gruppi ultranazionalisti: uno di questi è il Comitato dei lavoratori indipendenti (Freier Arbeiter Ausschuss) fondato nella primavera del 1918 dal fabbro Anton Drexler. Hitler partecipa per la prima volta alle riunioni di questo piccolissimo partito il 12 settembre, ricevendone subito la tessera di iscrizione. La sera del 16 ottobre il Partito dei Lavoratori tedeschi affida proprio a lui l’incarico di parlare durante una riunione pubblica all’interno della grande birreria Hofbrauhaus Keller; in sala sono presenti centodieci persone e Hitler fa il suo debutto come secondo oratore dell’incontro. Parla inizialmente a “voce bassa e quasi monotona” per poi infiammarsi progressivamente “trascinando l’uditorio fino a creare una sorta di isterismo collettivo”[3]. Il debutto si trasforma in un successo completo. Hitler prende in mano il partitino di Drexler che viene ribattezzato Partito nazionalsocialista tedesco dei lavoratori.
Girando per la Germania Hitler recluta adepti tra i quali ci sono anche intellettuali disoccupati come Alfred Rosenberg (teorico del nazismo) e Joseph Goebbels (futuro Ministro della propaganda). Il momento sembra propizio per rovesciare la traballante Repubblica di Weimar: viene organizzato per il 9 novembre 1923 un colpo di Stato passato alla storia come Putsch di Monaco. Il tentativo insurrezionale fallisce miseramente, Hitler sopravvive, viene arrestato e condannato a qualche anno di carcere. Durante la prigionia scrive il “Mein Kampf” (La mia battaglia) che diventa il testo programmatico della politica seguita, a partire dal 1925, dal partito nazionalsocialista che, nel corso degli anni, aumenta progressivamente i consensi all’interno del paese.
Uscito dal carcere di Landsberg Hitler ha le idee chiare nel dettare la nuova strategia politica del Partito Nazista: “Quando riprenderò a lavorare attivamente sarà necessario cambiare metodo. Invece di mirare alla conquista del potere mediante una rivoluzione armata, dovremo rimanere tranquilli e combattere i deputati cattolici e marxisti in seno al Reichstag. Se è vero che sconfiggerli con l’arma del voto richiede più tempo che eliminarli con le armi, almeno l’esito sarà garantito dalla loro stessa Costituzione. Prima o poi avremo la maggioranza, e dopo la Germania”[4]. La crisi economica scoppiata nel 1929 offre una grossa mano a Hitler e ai suoi seguaci e velocizza l’adesione di molti tedeschi alle idee politiche del nazismo che viene premiato alle urne elettorali. Il 30 gennaio 1933 Hitler viene nominato cancelliere del Reich dal Presidente Paul von Hindenburg; inizia pochi mesi dopo la dittatura di Hitler che dura dodici anni.
Dopo aver messo fuori gioco gli oppositori politici Hitler procede con l’epurazione dei vertici della milizia del partito, le SA, guidate dall’amico Rohm, uno delle circa duecento vittime dell’azione fulminea eseguita materialmente, tra il 30 giugno e il 2 luglio 1934, dalla Gestapo e dalle SS, un altro corpo speciale paramilitare alle dipendenze del partito e agli ordini di Heinrich Himmler (1900-1945). Fatto piazza pulita dei possibili avversari, in seguito alla morte di Hindenburg, il 2 agosto 1934, Hitler diventa Fuhrer incontrastato della Germania accentrando nelle sue mani tutti i poteri.
Consolidato il potere interno, il Fuhrer della Germania nazista si concentra sulla ripresa economica del paese e sulla riduzione della disoccupazione. Hitler è solito prendere le decisioni dopo lunghe riflessioni personali e preferisce “lasciare ad altri le preoccupazioni dell’amministrazione diretta”; il suo umore è altalenante, alle persone che hanno modo di intrattenere rapporti diretti con lui a volta appare silenzioso e assente, altre volte amabile e suadente, “talvolta in preda a furiosi accessi di rabbia e di violenze”. I suoi soggiorni preferiti sono la sua casa dell’Obersalzberg, situata nelle Alpi bavaresi, e il nido dell’aquila; in questi luoghi del cuore si abbandona a lunghe meditazioni e riceve spesso le persone intime con cui trascorre serate all’insegna di qualche piacevole conversazione e dei suoi lunghi monologhi.
Tutti gli sforzi compiuti nel corso degli anni da Hitler e dagli apparati governativi, amministrativi e militari della Germania nazista sono rivolti ad un unico e sacrosanto obiettivo: preparare il paese ad un’altra guerra per riscattare l’umiliazione subita con il trattato di pace del 1919. Le parole d’ordine sono due: riarmo ed espansione territoriale. Tutto ciò per consentire alla nazione di poter beneficiare del Lebensraum, ovvero del suo Spazio Vitale necessario a garantirne l’esistenza. Le prime vittime dell’espansionismo di Hitler sono Austria e Cecoslovacchia e, poco dopo, la Polonia, la cui invasione il 1 settembre 1939 provoca lo scoppio della seconda guerra mondiale. E proprio mentre le truppe tedesche oltrepassano la frontiera polacca il Fuhrer parla alle massime gerarchie naziste riunite all’Opera Kroll di Berlino: “La mia vita appartiene ora più che mai al popolo tedesco. Sono da questo momento il primo soldato del Reich. Indosso di nuovo questa uniforme che è sempre stata per me la più sacra e la più cara e non la toglierò finché non avremo la vittoria: se l’esito dovesse essere diverso, non sopravviverei…”[5]. Hitler, dunque, consacra la sua vita alla nazione tedesca. La valanga militare nazista dilaga in Europa centrosettentrionale, ma nel 1942 le sorti della guerra cambiano e la Germania viene chiusa in una morsa sempre più stretta. La fine di Hitler si concretizza nel bunker di Berlino, dove il 30 aprile 1945 il dittatore si toglie la vita insieme alla moglie Eva Braun, inghiottendo una capsula di cianuro e sparandosi un colpo di pistola in testa.
NOTE:
[1] Giuseppe Mayda, Hitler, Gruppo Editoriale Fabbri, Milano, 1983, p. 10.
[2] Stuart J. Woolf, La Repubblica di Weimar e l’ascesa di Hitler, in “L’età dei totalitarismi e la seconda guerra mondiale”, Mondadori, 2007, p. 235.
[3] Ibidem p. 235.
[4] Mayda, Hitler, cit. p. 33.
[5] Ibidem p. 46.
A cura di Mirko Muccilli, storico e docente, Caporedattore di Fatti per la Storia
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