CONTENUTO
L’insurrezione generale, verso la liberazione italiana
Il 19 aprile 1945, mentre gli Alleati dilagano nella valle del Po, il Comitato di Liberazione Nazionale Alta Italia (CLNAI) emana il proclama “Arrendersi o perire!” dando il via all’insurrezione generale in tutti i territori ancora occupati dai nazifascisti:
Arrendersi o perire!
La battaglia finale contro la Germania hitleriana volge a passi rapidi e sicuri verso il trionfo definitivo delle potenze alleate dei popoli democratici. La cricca hitleriana e fascista sente venire la propria fine e vuol trascinare nella rovina estrema le ultime forze che le restano e, con esse, il popolo e la nazione. È una lotta inutile ormai per i nazifascisti, è un suicidio collettivo. Una sola via di scampo e di salvezza resta ancora a quanti hanno tradito la patria, servito i tedeschi, sostenuto il fascismo: abbassare le armi, consegnarle alle formazioni patriottiche, arrendersi al Comitato di liberazione nazionale.
Arrendersi o perire!
È l’intimazione che deve essere fatta a tutte le forze nazifasciste, a quelle tedesche come a quelle italiane, a quelle volontarie fasciste come a quelle coscritte del cosiddetto esercito repubblicano. Sia ben chiaro per tutti che chi non si arrende sarà sterminato. Sia ben chiaro per i componenti delle forze armate del cosiddetto governo fascista repubblicano che chi sarà colto con le armi in mano sarà fucilato. Solo chi abbandona oggi, subito, prima che sia troppo tardi, volontariamente, le file del tradimento, solo chi si arrende al Comitato di Liberazione Nazionale, consegna le armi – quante armi può – ai patrioti avrà salva la vita, se non si sarà macchiato personalmente di più gravi delitti. Il Comitato di Liberazione Nazionale e le formazioni armate del Corpo dei Volontari della Libertà non accettano e non accetteranno mai – in armonia con le decisioni dei capi responsabili delle Nazioni Unite – altra forma di resa dei nazifascisti che non sia la resa incondizionata. Che nessuno possa dire che, sull’orlo della tomba, non è stato avvertito e non gli è stata offerta un’estrema ed ultima via di salvezza.
Tutte le forze partigiane attive nel Nord Italia facenti parte del Corpo Volontari della Libertà devono attaccare i presidi nazifascisti imponendo la resa. Dalle montagne, i partigiani confluiscono verso i centri urbani del Nord Italia, occupando fabbriche, prefetture e caserme. Nelle fabbriche occupate dagli operai entrati in sciopero insurrezionale viene dato l’ordine di proteggere i macchinari dalla distruzione.
Liberazione: Emilia Romagna
Dal 19 aprile la divisione partigiana “Bologna” guidata da Aldo Cucchi “Jacopo” dà inizio all’insurrezione nel capoluogo emiliano. La mattina del 21 aprile entrano a Bologna i soldati del II Corpo polacco del generale Anders con i partigiani abruzzesi della Brigata Maiella, i soldati italiani dei gruppi di combattimento “Friuli” e “Legnano” e due divisioni di fanteria americane. Dopo scontri all’interno dell’area cittadina da parte di partigiani e forze regolari contro franchi tiratori e centri di resistenza fascisti, entro la serata viene completata la liberazione della città.
Il 21 aprile inizia l’insurrezione a Ferrara e il 22 a Modena. Le brigate cittadine affrontano aspri scontri contro le truppe tedesche in ritirata e contro i reparti fascisti, in attesa dell’arrivo delle colonne motorizzate alleate. I partigiani si impegnano a cercare di bloccare le truppe tedesche in rotta a Casaltone e a Fornovo, dove, in quest’ultima località, si uniranno nelle ostilità con le truppe Alleate brasiliane già impegnate nella campagna d’Italia, nell’ultima grande battaglia campale in territorio italiano, conosciuta come la battaglia della Sacca di Fornovo.
Tra il 24 e il 25 aprile gli alleati liberano anche Reggio Emilia e Parma, dove la resistenza cittadina ha già preso in parte il controllo dei luoghi più importanti, e il 29 aprile Piacenza.
La liberazione di Genova
Dal giorno 23 i soldati tedeschi sono ormai in balia delle forze partigiane che stanno progressivamente tagliando le vie di fuga, le ferrovie, i collegamenti telefonici. A Genova il comandante della piazza, generale Günther Meinhold, cerca di trattare, senza successo, con i partigiani della Divisione garibaldina Pinan-Cichero, guidati da Aldo Gastaldi “Bisagno”, appostati sulle montagne che dominano la città, mentre il capitano di vascello Berninghaus organizza la distruzione del porto.
Violenti scontri si accendono al centro della città tra le squadre GAP e i reparti tedeschi e fascisti, mentre i garibaldini della brigata Balilla raggiungono Sampierdarena. Il generale Meinhold firma la resa del presidio alle ore 19:30 del 25 aprile nelle mani del capo del CLN locale, l’operaio Remo Scappini, dopo che i garibaldini di “Bisagno” bloccano tutte le vie di uscita. Il capitano di vascello Berninghaus e il capitano Mario Arillo della Decima MAS continuano tuttavia la resistenza, decisi a eseguire le distruzioni previste.
Dopo nuovi scontri con i partigiani delle Divisioni Cichero e Mingo comandati da Anton Ukmar “Miro” e Grga Cupic “Boro” scesi in città la sera del 26 aprile anche gli ultimi reparti nazifascisti si arrendono. I partigiani salvano il porto dalla distruzione. Catturano 6.000 prigionieri che consegnano agli alleati giunti il 27 aprile a Nervi. Solo la batteria tedesca di Monte Moro resiste ancora arrendendosi solo alle truppe statunitensi in arrivo.
La liberazione di Torino
La liberazione del Piemonte
In Piemonte le formazioni partigiane scendono dalle montagne e puntano su tutte le città principali rischiando lo scontro frontale con le divisioni tedesche in ritirata. Le unità di “Giustizia e Libertà” si dirigono su Cuneo. Le Brigate Garibaldi di Pompeo Colajanni “Barbato” e Giovanni Latilla “Nanni” e gli autonomi di Enrico Martini “Mauri” puntano su Torino e le Brigate Garibaldi di Eraldo Gastone “Ciro” e Vincenzo “Cino” Moscatelli avanzano su Novara.
Il 25 aprile iniziano gli scontri per Cuneo. Dopo aver costretto alla resa le unità dell’esercito di Salò (divisioni “Monterosa” e “Littorio”), i reparti partigiani giellisti di Ettore Rosa, “Detto” Dalmastro, “Gigi” Ventre, Nuto Revelli, Giorgio Bocca, affrontano duri combattimenti con i tedeschi decisi a mantenere il controllo delle comunicazioni.
Solo il 29 aprile, dopo alcune trattative con i tedeschi, finalmente le forze partigiane gielliste, a cui si sono uniti i garibaldini dei comandanti Comollo e Bazzanini e gli autonomi di Pietro Cosa, liberano la città.
A Torino, alcune colonne naziste si avviano verso Ivrea, per attendere gli alleati e arrendersi. I reparti fascisti repubblichini radunano alcuni reparti e ingaggiano aspri scontri con i partigiani che raggiungono la città il 28 aprile. Due divisioni di fanteria tedesche del “gruppo Liebe” riescono a ripiegare, dopo violenti combattimenti, attraverso l’abitato.
Alcuni reparti della RSI decidono di abbandonare il capoluogo piemontese per avviarsi nella Valtellina. Il grosso dei fascisti torinesi della Brigata Nera Athos Capelli rimasti in armi continua a combattere. Le Brigate Garibaldi di Giovanni Latilla “Nanni”, Vincenzo Modica “Petralia” e “Barbato”, gli autonomi di Enrico Martini “Mauri”, i reparti “Giustizia e Libertà”, liberano gran parte della città dopo violenti combattimenti e salvaguardano i ponti in attesa dell’arrivo degli alleati che giungono a Torino il 1º maggio.
La liberazione di Milano
Fin da marzo a Milano è costituito un “Comitato insurrezionale” formato da Luigi Longo, Sandro Pertini e Leo Valiani che la mattina del 24 aprile, dopo le prime notizie provenienti da Genova, prende la decisione di dare inizio all’insurrezione nel capoluogo lombardo.
La sera dello stesso giorno le brigate SAP danno inizio ai combattimenti nelle fabbriche della periferia. Altri reparti garibaldini si avvicinano da sud e da ovest. Il 25 e il 26 i partigiani fanno notevoli progressi e raggiungono la cerchia dei Navigli.
Alcuni reparti fascisti hanno già abbandonato la città. I tedeschi restano in armi nei loro quartieri, senza combattere secondo gli ordini del generale Wolff. La Brigata Nera Aldo Resega abbandona le sue posizioni dentro la città, la Guardia Nazionale Repubblicana si scioglie spontaneamente. La Guardia di Finanza si unisce agli insorti. La Decima MAS, invece di ripiegare in Valtellina, rimane accasermata e si arrende senza combattere.
Il 27 aprile alle ore 17:30 arrivano in città con poche difficoltà i garibaldini delle brigate dell’Oltrepò Pavese guidate da Italo Pietra “Edoardo” e Luchino Dal Verme “Maino”. Il 28 aprile arrivano i partigiani delle Brigate Garibaldi della Valsesia di Cino Moscatelli, provenienti da Novara. Altri reparti occupano Busto Arsizio e le strade per la Valtellina.
Il pomeriggio del 28 aprile a Milano in piazza Duomo si tiene una grande manifestazione popolare per celebrare la liberazione della città e la vittoria della Resistenza con la presenza di molti capi partigiani e politici. Le truppe alleate arrivano a Milano il 1º maggio 1945.
Fine della Resistenza
Il 29 aprile la Resistenza italiana termina formalmente. Il termine effettivo della guerra sul territorio italiano si ha solo il 3 maggio, con la resa incondizionata delle forze nazifasciste all’esercito alleato come stabilito dalla resa di Caserta firmata il 29 aprile 1945. Il 2 maggio il generale britannico Alexander ordina la smobilitazione delle forze partigiane, con la consegna delle armi.
25 aprile 1945, vincitori e vinti nelle immagini dell’Istituto Luce
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- S. Peli, Storia della Resistenza in Italia, Einaudi, 2017
- M. Flores – M. Franzinelli, Storia della Resistenza, Laterza, 2019
- C. Pavone, Una guerra civile. Saggio storico sulla moralità nella Resistenza, Bollati Boringhieri, 2006